Lo stesso grande angelo,
colui che già una volta l'annuncio della nascita le aveva consegnato,
era là, in attesa che levasse a lui lo sguardo, e disse:
"E tempo ora che tu appaia".
Cos'altro poteva se non essere fiera
di lui, che abbelliva ciò che in lei era più semplice?
Non fu la notte stessa - la solenne, viva, immensa -
come fuori di sé quand'egli apparve?
E quella volta che si era perduto, non si era concluso
tutto in gloria per lui, come mai s'era sentito?
Non avevano i più saggi le orecchie
scambiato con la bocca? E non era la casa
come nuova di fronte alla sua voce? Ah,
centinaia di volte, certamente,
dal fare risplendere la gioia s'era trattenuta,
quella che da lui le proveniva.
Lo seguiva, e ne provava stupore.
Ma là, a quel banchetto di nozze,
quando all'improvviso mancò il vino, -
lo guardò e lo pregò che desse un segno
e non capì che lui non lo voleva.
E poi lo fece. Lo capì più tardi,
come l'aveva spinto lei sul suo cammino:
era l'uomo, ora, dei miracoli,
e l'offerta cruenta era decisa,
inarrestabile. Sì: era scritto.
Ma era preparata fin da allora?
Lei: lei l'aveva fino a qui sospinto
nella cecità della propria leggerezza.
Attorno alla tavola ricolma di frutti e di verdure
divideva con gli altri la sua gioia, e non capiva
che l'acqua, là dove sgorgano le lacrime,
s'era per lei mutata in sangue, con il vino.
Questi, loro che senza respiro ancora
fuggivano attraverso la strage dei bambini;
oh, come inavvertitamente erano cresciuti
sulla via del loro andare.
Non appena dileguava, nel voltarsi con terrore indietro,
l'assillo della loro paura,
già traevano sul loro grigio
mulo intere città verso il pericolo;
e quando, piccoli nella regione immensa,
- un niente, quasi -i forti templi avvicinavano,
s'infrangevano gli idoli, tutti, come smascherati,
e smarrivano completamente la ragione.
E' concepibile che per il loro andare
ciascuno avesse in sé una rabbia così cieca?
Cominciarono a turbarsi di se stessi -
solo il bimbo riposava in una pace indicibile.
Pure, dovettero per poco
rassegnarsi. Poi passò -
vedi: l'albero, silenzioso sopra loro,
si protendeva adesso come un servo:
s'inchinava. Lo stesso albero
le cui fronde ai morti faraoni
per l'eterno serbano la fronte,
s'inchinava. Sentiva nuove corone
fiorire. E sostavano loro come in sogno.
Non avessi tu il candore, come potrebbe
accadere a te ciò che rischiara ora la notte?
Guarda il Dio dell'ira sopra i popoli
si fa mite, e viene in te nel mondo.
Più grande te l'eri immaginato?
Cos'è la grandezza?
Obliquamente attraverso ogni misura -
e tutte in sé le annulla
- corre in linea retta il suo destino.
Una via così non l'ha neanche una stella.
Vedi, questi re sono grandi,
ed innanzi al tuo grembo a te trascinano
tesori, quelli che ritengono i più grandi,
e tu stupisci forse a questi doni -:
ma guarda, tra le falde del tuo panno,
come ora lui sul tutto passa oltre.
Tutta l'ambra che lontano, in mare, si trasporta,
ogni gioia d'oro e quell'acreo aroma che bruciando
si disperde nei sensi e si consuma:
di fulminea brevità fu tutto questo,
e alla fine solo fu rimpianto.
Ma (lo vedrai): Egli dà gioia.
Ancora le era facile l'andare, al principio,
ma nella salita a volte lo avvertiva
il suo corpo miracoloso -
e si fermava, allora, respirando,
sugli alti monti di Giuda.
E l'angelo parlava, dandosi da fare
attorno all'uomo - e lui serrava i pugni:
«Ma tu non vedi, no, che in ogni piega
fredda è lei come divina alba ......
Eppure, l'altro a lui guardava, scuro,
e solo ripeteva: "Cosa l'ha così cambiata?.
Gridò l'angelo allora: "Falegname,
ma non t'accorgi - non ancora -
che il Signore Dio vi mette mano?
Perché sai fare tavole, davvero nella tua fierezza
vorresti tu chiamare a discolparsi
lui che dallo stesso legno, inavvertito,
fa che le foglie spuntino, che le gemme gonfino?».
Capì. E quando levò all'angelo
il suo sguardo, intimorito già com'era giusto,
questi era lontano. Tolse, allora,
lentamente il grosso suo berretto. E cantò lodi.
di Rainer Maria Rilke
Non perché l'angelo entrò lei provò timore.
Come pochi altri, quando un raggio di sole o della luna, nella notte, nella loro stanza compie la sua opera, sobbalzano -, così è accaduto a lei per la figura dell’angelo, che si presentò: non pensava quanto fosse così difficile anche per l’angelo presentarsi senza intimorire.
Non perché entrò, ma perché vicino, l'angelo curvò verso di lei un viso di giovinetto; perché lo sguardo di lui e il suo che in su rispose s'incrociarono come se tutto fosse vuoto intorno a loro, e ciò che milioni d'altri sguardi hanno cercato, raggiunto, sopportato in loro fosse penetrato: solo lei e lui; guardare e guardato, occhio e gioia dell'occhio in nessun altro luogo se non qui -; vedi, questo dà timore. Ed entrambi provarono timore.
Allora l'angelo cantò la propria melodia.
Guardate in alto, uomini. Uomini là, vicino al fuoco, voi che il cielo stellato conoscete e le stelle comprendete - qui, qui! Guardate: sono una nuova già nascente stella. Tutto il mio essere arde - e con forza tale risplende, così indicibilmente è luce piena, che il profondo firmamento non è più per me abbastanza. Lasciate ch'entri il mio splendore nella vostra esistenza: oh, gli oscuri sguardi, i cuori oscuri - notturni destini che vi colmano. Pastori, come sola sono io dentro di voi. Per me uno spazio all'improvviso esiste. Non stupite: il grande albero del pane lasciò cadere un'ombra. Sì, l'opera fu mia. Voi coraggiosi, oh, se sapeste come sul vostro contemplante volto il futuro ora risplende. In questa forte luce molte cose potranno accadere. A voi lo confido, perché siete discreti: a voi che con intensità credete tutto parla in questo luogo. La calura parla, la pioggia, la migrante schiera degli uccelli, il vento e ciò che siete, nulla predomina né cresce intorno a un vano scopo, nutrendosi di sé soltanto. Non trattenete voi le cose dentro il petto, in chiuso spazio, per tormentarle. Come trova il Suo desiderio attraverso un angelo lo sbocco, così urge in voi ciò che è terrestre. E se un roveto ha dato fiamme all'improvviso, ancora potrebbe da esso l'Eterno chiamarvi - i Cherubini,quando vollero accanto al vostro gregge andare oltre, non riuscirono a meravigliarvi: sul vostro stesso viso vi prostraste, pregaste e diceste che questa era la terra.E così era. Ed ora accadrà una cosa nuova, e per essa il cerchio della terra crescerà lottando. Ma per noi, cos'è un roseto: Dio nel grembo d'una vergine se stesso riconosce. Io sono il chiarore dall'intimo di lei che vi accompagna.
La Natività di Maria, opera iniziata da Baccio Bandinelli e terminata da Raffaello da Montelupo, è uno degli otto rilievi illustranti la Vita di Maria che, unitamente al rilievo con il Trasporto della Santa Casa, arricchiscono la parte esterna della Santa Casa, sotto la grande cupola del Santuario di Loreto. Tale prezioso rivestimento di marmo bianco, ideato da Donato Bramante, fu realizzato nel corso del 1500 e vi lavorarono i più importanti scultori dell’epoca.
Oltre a questi grandi rilievi, l’insieme è completato da 20 statue, entro nicchie, e decorazioni con putti, festoni, stemmi e teste di leone. Le quattro porte bronzee che immettono all’interno sono ornate da bassorilievi bronzei, anch’essi del 1500 e di pregevolissima fattura.
La scena della Natività di Maria è ambientata in un interno signorile. Sul lato sinistro, dominato da un grande caminetto nel fondo, una donna con in braccio Maria si sta accingendo a lavarla entro un bacile, assistita da due donne. San Gioacchino è in parte celato da un tramezzo che divide la scena da quella successiva: la camera da letto con un grande giaciglio a baldacchino. Sant’Anna è sul letto, sdraiata ma con il busto sollevato, attorniata da tre donne, una delle quale ha in braccio un bambino. Un altro bimbo gioca ai piedi del letto con un cagnolino.
Le vesti, i panneggi, la nudità dei bambini, l’ambientazione, i gesti misurati ed eleganti: tutto corrisponde ad una visione artistica di nobile classicismo.
Rainer Maria Rilke (Praga, 1875 – Les Planches in Svizzera, 1926), è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo di lingua tedesca, infatti all’epoca Praga era parte nell’Impero Austro-Ungarico. Seguire la sua biografia è complicato, infatti, se ci si immagina un poeta e scrittore chiuso a meditare nelle sue stanze, la vita di Rilke suggerisce l’opposto. La sua vita è stata un continuo andare e venire per l’Europa, senza contare i viaggi in Africa. Ha studiato - seguendo studi prima all’accademia militare poi in economia e commercio, giurisprudenza, filosofia, storia dell’arte e lettere - a Praga, a Linz in Austria, a Monaco di Baviera e a Berlino in Germania ed in altre località. Le sue prime poesie risalgono al 1884, quando aveva solo 9 anni, sui banchi di scuola. Nel 1893 furono pubblicate sia la sua prima opera in prosa, Feder und Schwert. Ein Dialog (Penna e spada. Un dialogo), sia la prima raccolta poetica, Lautenlieder I-IV (Canzoni del Liuto). Rilke iniziava così a farsi conoscere ed è a questo punto che sono iniziati i suoi numerosissimi viaggi soggiorno, che non ebbero tregua neppure quando si sposò ed ebbe una bambina. Spesso la moglie lo seguiva, altre volte lasciava che egli peregrinasse solitario. Non c’è da meravigliarsi se i due si siano consensualmente separati nel 1911.
Saltando innumerevoli “passaggi” ricordiamo solo alcune tappe salienti del suo vagabondare, sottolineando che quasi sempre i soggiorni si ripetevano negli anni. Viveva dei diritti d’autore e di emolumenti per conferenze e per traduzioni, conosceva infatti perfettamente anche il francese. Spesso era ospite di famiglie nobili.
È stato in Russia dove ha conosciuto Lev Tolstoj e Leonid Pasternak. È vissuto in Francia, in particolare Parigi, dove divenne molto amico del grande scultore Auguste Rodin, sulla cui opera scrisse una monografia, e ne fu anche segretario. In Svezia, Danimarca e Spagna fu per brevi periodi. In Germania soggiornò a Berlino, Monaco di Baviera, Lipsia ed altre località. In Austria fu soprattutto a Vienna.
In Italia fu per brevi periodi a Venezia, Firenze, Milano e Napoli. Nel 1903 giunse a Roma, dove rimase per 9 mesi, alloggiando a Villa Stroll-Fern e scrisse alcune liriche in endecasillabi sciolti. A Capri, per circa 6 mesi (dicembre 1906-maggio 1907) abitò in una casa del parco di Villa Discopoli. Tra l'ottobre 1911 e il maggio 1912 venne ospitato al Castello di Duino, presso Trieste, da Maria Augusta di Thurn und Taxis, dove scrisse il suo capolavoro poetico, le Elegie Duinesi.
Dichiarato nel 1919 “apolide”, in seguito alla dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico, trascorse gli ultimi anni in Svizzera, dove morì a 51 anni in seguito di una dolorosa malattia.
Rielke è considerato uno dei più importanti poeti di lingua tedesca del XX secolo, insuperabile per la musicalità del verso e per l’alto virtuosismo linguistico, ma più legato alle poetiche ottocentesche che a quelle del Novecento.
Di formazione cattolica, si diresse ben presto verso forme simboliste ed espressioniste, accogliendo le nuove istanze di una ricerca scientifica della verità e giungendo all’amara constatazione che la realtà è senza consolazione.
Ma nell’ultimo sviluppo del suo pensiero, come dimostrano le Elegie Duinesi, egli torna ad una visione sacrale della vita, sia pure in termini panteistici.
Das Marien-Leben (La vita di Maria) fu scritta da Rilke nel 1912, ma va sottolineato che la tematica religiosa –teologica già compare nelle giovanili Christus-Visionen del 1894, che non fu pubblicato durante la vita del poeta, ma che affronta la vita di Cristo fuori dai contesti tradizionali.
Nel corso di quest’anno saremo accompagnati con i suoi scritti sulle vicende della vita di Maria.