Natività, Gaudenzio Ferrari, 1511,
S.Maria Nascente, Arona.
La tavola, La Madonna della scodella, fu realizzata da Correggio per la chiesa del Santo Sepolcro di Parma.
Il dipinto illustra un episodio dell'infanzia di Gesù narrato nel vangelo apocrifo dello pseudo-Matteo: nel corso del viaggio di ritorno in Palestina dopo la fuga in Egitto, durante una sosta all'ombra di una palma da dattero, la sacra Famiglia si sarebbe sfamata grazie alla pianta che, straordinariamente piegata, offriva i suoi frutti ai viaggiatori.
Il Riposo nella fuga in Egitto di Gregorio dei Ferrari (Spagna, 1560-1627) riflette lo studio e la copia dell’opera di Correggio, la cui influenza si sente fortissima nell’Estasi di San Francesco e in quest’opera sempre per la Chiesa di San Siro a Genova. Codifica il suo stile caratterizzandolo con eleganti figure allungate, movimento a spirale ascendente e fluida morbidezza.
Il Riposo nella fuga in Egitto di Juan Sanchez Cotan (Spagna, 1560-1627) è una delle opere più famose di questo artista che divenne famoso sia per le sue tele su scene religiose, sia per i ritratti e nature morte. Nel 1603 scelse la vita monastica e morì nella Certosa di Granada. L’opera si trova nella chiesa della stessa certosa.
Il particolare della "Sacra Famiglia con Giovanninio", conservata a Udine a cura della Fondazione Friuli, è un'opera dai graffi forti e quasi ruvidi pur con un senso del sacro che permane dai volti e specialmente dalla serenità di fondo dei personaggi. Lo stile è tipico della produzione di Nicolò Frangipane, artista eclettico di cui si conservano numerose opere firmate e alcune a lui attribuite, specie nel nord Italia.
Secondo alcuni studiosi, il Frangipane nacque nel 1555 a Tarcento, in Friuli, da Nicolò, esponente di una nobile e antichissima famiglia. Dal 1583 al 1588 soggiornò probabilmente nelle Marche e a Rimini; nel 1593 è di nuovo a Venezia, dove dipinse una pala per la chiesa dei Frari. Si ipotizza sia stato alunno presso Tiziano. Il suo stile risente della pittura di Giorgione come di quella di Tiziano o del Campagnola, e risulta un anello di congiunzione tra il giorgionismo del primo Cinquecento. L'opera manifesta una sacralità quasi "laica", senza particolari simboli religiosi. La concentrazione, il silenzio, la pace sono i tratti caratteristici dei personaggi come avvolti dal mistero del divino che si mischia con l'umano.
Lo sguardo di san Giuseppe è diretto al Bambino Gesù, a cui porge un vassoio di cristallo contenente mele, pere, ciliegie, frutta di carattere simbologico, disposta a sfumatura di colore dal giallo tenue al rosato, al rosso carico, per suggerire il percorso verso la Passione, trovandosi i frutti vermigli più distanti dal Figlio.
Una piccola pera, simbolo insieme alla mela del peccato originale e quindi del suo riscatto del mondo, è il dono che unisce in un gesto significativo, la mano di Maria offerente e del Bambino. Il gesto sta anche a sottolineare che il progetto della redenzione si attua attraverso l’intercessione di Maria, manifestatasi alle nozze di Cana.
Una linea ideale attraversa in diagonale il dipinto, a partire dal volto di san Giuseppe, in assorta contemplazione: percorre la gestualità del dono tra Madre e Figlio, e si prolunga nell’accentuata piega della veste azzurra della Madonna. Le altre pieghe del manto descrivono luminescenze radiali attorno al corpo di Gesù, il cui sorriso composto è l’unica nota di vivacità, tra gli sguardi di Maria, san Giuseppe e sant’Anna, connotati di mestizia.
Il Bambino è rappresentato verticalmente, richiamando il Crocifisso: è inscritto in uno spazio triangolare, una piramide rovesciata, delimitata dal gesto di Maria a sinistra e il volto di sant’Anna a destra. In tal modo il pittore El Greco esplicita il progetto divino, ponendo il Bambino Gesù al centro di una articolata scena familiare, secondo un genere invalso col nome di Sacra Famiglia allargata, di cui abbiamo esempio in un’incisione della Biblioteca Casanatense di Roma, opera del grande incisore rinascimentale Luca di Leyda (1494-1533), dove è proprio san Giuseppe, al centro, a donare il frutto paradisiaco al Bambino Gesù.
Una raffigurazione carica di sentimento questa Sacra Famiglia di Onorio Marinari (1627-1716). Dominante è il gesto del padre offerente, che guarda il Bambino con espressione di profonda partecipazione e intimo trasporto. Il Figlio è assorto, mentre prende dalla sua mano i tre piccoli frutti, che richiamano ‒ per il loro numero e il color rosso vivo ‒, il suo destino di Salvatore, attraverso la Passione e Morte.
Maria sostiene il braccio di Gesù, partecipe del messaggio che promana da quei frutti, fulcro della rappresentazione. A partire da un gesto semplice e quotidiano, eppure denso di significato umano e spirituale, si manifesta il presagio del disegno divino, un progetto di Vita che il Figlio dona al genere umano con l’offerta di sé. La mela, nel linguaggio dei simboli, era fin dall’antichità un simbolo di amore, per la sua dolcezza. Nell’arte cristiana allude alla Redenzione operata da Cristo per il riscatto degli uomini. Il numero tre è il numero sacro per eccellenza: tre sono le persone della Trinità, tre gli arcangeli, tre le virtù teologali. Il Vangelo narra che la Resurrezione avvenne il terzo giorno dopo la Crocifissione, la condanna comminata al Signore Gesù, all’età di trent’anni.
Nel Vecchio Testamento ricorre il triplice olocausto, e la purificazione nel terzo giorno dopo il seppellimento dei defunti.
Nel mese di marzo
Soffusa di luce che si rifrange sulle pieghe dei panneggi, e crea un gioco di ombre lievi, la raffigurazione del Cantarini è vibrante di colore, e concentra la molteplicità dei gesti, resi con sapiente immediatezza. San Giuseppe è intento a dare il nutrimento al figlio: è appoggiato alla palma fruttifera, e si china a porgere i datteri nella mano del bambino proteso verso di lui, con delicatissimo gesto. Maria lo sostiene, disteso su un velo di un biancore assoluto, ben differente dal biancore del cuscino e della veste, venata di rosaceo: è un richiamo al velo sindonico che avvolse il corpo del Signore deposto dalla croce. I volti mesti di Maria e Giuseppe rimandano alla stessa lettura simbolica: la palma prodigiosa è figura del paradiso, e del disegno di morte che segnerà il riscatto del genere umano.
In basso, la tela presenta un dettaglio ricorrente nelle raffigurazioni della Fuga in Egitto: i frammenti di una statua pagana, a indicare il superamento dell’idolatria con l’avvento della Redenzione, e riferimento alla profezia di Isaia: «Sarà piegato l’orgoglio degli uomini, sarà abbassata l’alterigia umana; sarà esaltato il Signore, lui solo in quel giorno, e gli idoli scompariranno del tutto» (Is 2, 17).
Il pittore eseguì l’opera intorno al 1640: si evidenziano aspetti innovativi, nella composizione in verticale improntata a un grande dinamismo, e nello stile capace di fondere il classicismo e aspetti di naturalismo per gli effetti di luce.
Questa Madonna della Pappa di Paolo Veronese offre al nostro sguardo una scena di interno domestico; coglie un istante e un gesto preparatorio al nutrimento del Bambino Gesù, posto su un cuscino candido, tra le braccia della madre.
Apre la sequenza delle immagini calendariali un Riposo nella fuga in Egitto improntato al sentimento gioioso dell’offerente san Giuseppe, e del Bambino, proteso e concitato, mentre la Madre lo avvolge con un abbraccio premuroso e mesto, nel presagio della futura Passione.
La famiglia di Nazareth è da sempre una scuola di vita. Dio ha affidato a Giuseppe il compito di essere padre e a Maria la missione di educare Gesù facendolo crescere all’ombra del padre adottivo e del calore del genio femminile della Mamma.
L’ombra dei genitori cammina sempre accanto ai figli i quali imparano da loro a scrivere la vita con la lingua imparata dal loro linguaggio.
Un libro su san Giuseppe? Le dimensioni, il tono delle parole, l’animo di don Mario che le ha coltivate e deposte sul foglio con punta di pennello sottile, il confronto con la nostra condizione (uomini e donne, padri e madri, figli e figlie, sposi, malati, in pericolo, in attesa e ricerca, intimoriti e in fuga …) ne fanno un prezioso compagno di viaggio, un prontuario dell’anima, una casella di posta tra il cielo e la terra. Sia benedetto questo piccolo libro.
Non ci sarebbe nulla da aggiungere alla sapienza delle pagine di don Mario poste all’inizio a mo’ d’introduzione; delicate e profonde; confidenti e pensate. Eppure, per la vicinanza “salvifica” alla Madre di Dio, vergine di Nazareth e sua promessa sposa, anche di Giuseppe – in qualche modo – si può dire numquam satis, l’antica espressione usata per affermare che parlare di Maria non era mai abbastanza.
San Giuseppe era “giusto”, cioè santo perché docile, generoso e radicale custode del Figlio dell’Altissimo. L’obbedienza di Giuseppe è atto di altissima dignità perché il confronto è con la volontà di Dio; perciò sostenuto da una fede profondissima. La sua fede e la sua obbedienza lo fanno – come fu Abramo – «padre di molti popoli» e tra questi il popolo della Chiesa universale.
La paternità di san Giuseppe è ricevuta in dono, inaspettata, provvidenziale e gratuita, che sono gli aggettivi legati a Dio stesso, Provvidenza e Grazia. Dio ha scelto di essere l’Emmanuele e per questo ha chiesto a Giuseppe di prendere con sé Maria, ne accogliesse il Figlio come il proprio figlio e lo chiamasse Gesù perché Salvatore di tutto il popolo.
Quest’anno ricorre il 30° dell’esortazione apostolica Redemptoris custos di san Giovanni Paolo II; quindici anni prima un altro papa santo, Paolo VI, a Nazareth pronunciò parole ispirate indicando in Giuseppe e nella sua convivenza trentennale con Maria tre cose: il silenzio, la comunione di amore, il lavoro. Il silenzio, «nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo».
La comunione di amore di tre cuori vergini, abitati dallo Spirito e perciò reciprocamente rispettosi, dediti, delicati, pronti all’ascolto e al servizio, in perfetta unità, riflesso di quella divina.
Il lavoro: legge severa, ma liberatrice della fatica umana, e manifestazione della sua dignità perché sostegno per la famiglia e servizio alla società.
«All’ombra del Padre»: l’allusione è al nuovo passo compiuto da Giuseppe quando Dio irrompe nel suo sonno agitato e nel suo pensiero, rassicurandolo con le parole di un angelo. Anche Maria era stata invitata da un angelo a non aver paura. Ora è lui, Giuseppe, a trovarsi sotto l’ombra del mistero divino che lo sceglie per dare il nome a colui che non è suo. Giuseppe è un padre presente, attento, pronto a far fronte alle difficoltà. Delinea il modello della famiglia autentica. Troppe mamme sono lasciate da sempre sole coi figli. E padri – tanti – occupati altrove. Giuseppe rimette le cose a posto. Dio rimette ordine nella vita dell’uomo e lo invita a destarsi dal sonno e a rimboccarsi le maniche.
Questo piccolo libro è un dono grande. Ho l’impressione che ci venga proprio da lui, il custode. In una attualità che è colma di orrori per i mille volti delle vittime di violenza (specialmente in famiglia), unisco anche la mia alle preghiere qui raccolte.
«Dar da mangiare agli affamati» è il messaggio forte che il calendario 2019 della nostra Pia Unione di san Giuseppe fa sobbalzare nella coscienza dei cristiani che vedono in san Giuseppe un possibile modello di santità anche nel provvedere il cibo necessario per far crescere il Figlio di Dio.
Il nostro mondo nella vita della fede cammina costantemente in una galleria di segni, immagine dense di contenuto. Il nostro spirito ricerca in questi segni il senso biblico, il valore e il significato spirituale di cui la liturgia l’ha rivestito oggetti e azioni. Ci chiediamo che valore ha un elemento materiale nell’arrivare a toccare i sentimenti raffinati dell’anima. L’olio appare spesso nelle pagine della Bibbia e racchiude sempre un forte messaggio. Lo troviamo nell’orcio vuoto nella casa della vedova a Sarepta. Lo troviamo nel corno delle mani di Samuele nella famiglia di Iesse per la consacrazione regale dell’adolescente pastorello David. È nella bisaccia del samaritano sula via di Gerico. La Bibbia loda le qualità medicamentose del ricavato delle olive. La Bibbia ci si riferisce anche ai profumi e agli aromi adottati nella cosmesi: significativo è il gesto della peccatrice narrato in Luca (7,37-38) e di Maria sorella di Lazzaro, presente nel Vangelo di Giovanni (12,1-8). Un olio balsamico particolare è usato anche nella liturgia cristiana nella celebrazione di alcuni sacramenti di guarigione.
Caro e amato san Giuseppe, tu sei un esperto privilegiato della vita umana e sai che ci sono ferite che restano aperte a lungo: sono quelle provocate dalla cattiveria degli uomini. L’hai provata tu e anche tuo figlio Gesù.
San Giuseppe, sappiamo che il tuo figlio Gesù può donarci la medicina come sollievo alle profonde ferite, che travagliano l'esistenza, con la tua intercessione puoi spargere l'olio che fa guarire i mali fisici e quelli causati da altri che provano un insano piacere a colpire, a umiliare e a provocare sofferenza.
San Giuseppe, con tanta fiducia spargiamo quest’olio benedetto sulle nostre ferite fisiche e morali e tu chiedi a tuo Figlio, il buon samaritano, di ottenerci la forza di non soccombere al male, ma di superarlo e così poterti lodare per la guarigione ottenuta.
Amen!