di Tarcisio Stramare
Insieme alla paternità di san Giuseppe la Redemptoris Custos tratta l’argomento del matrimonio, non più visto come principio fondamentale della teologia di san Giuseppe, ma considerato ugualmente importante, perché “la paternità di Giuseppe passa attraverso il matrimonio con Maria, cioè attraverso la famiglia” (n.7). Di questo matrimonio è messo in evidenza innanzi tutto l’aspetto giuridico, per poi passare alla sua natura, al suo significato salvifico (mistero) e alla conseguente dignità di san Giuseppe.
L’aspetto giuridico è considerato in relazione alla discendenza davidica, compromessa dal concepimento verginale di Gesù per opera dello Spirito Santo. Gesù ha bisogno di un discendente di Davide che lo inserisca legalmente nella genealogia davidica, condizione indispensabile per essere riconosciuto Messia, ossia il Cristo. Ciò appare dalla genealogia di Matteo, che interrompe la serie dei “generò” prima del nome di Gesù, sostituendo tale verbo con lo stato civile di Giuseppe: “sposo di Maria” (1,16). Il racconto che segue la genealogia (1, 18-25) ha come scopo di mostrare come il matrimonio “già esistente” tra Giuseppe e Maria entrava nella volontà di Dio e andava conservato, nonostante il concepimento verginale di Gesù: Giuseppe, “figlio di Davide”, deve dare il nome al Bambino. Si tratta di un’esigenza cristologica, come sottolinea Giovanni Paolo II: “Anche per la Chiesa, se è importante professare il concepimento verginale di Gesù, non è meno importante difendere il matrimonio di Maria con Giuseppe, perché giuridicamente è da esso che dipende la paternità di Giuseppe. Di qui si comprende perché le generazioni sono state elencate secondo la genealogia di Giuseppe” (n.7). In forza del matrimonio, Gesù “è considerato figlio di Giuseppe” (Lc 3,23); è “figlio di Giuseppe, da Nazaret” (Gv 1,45). Parimenti Giuseppe è denominato “padre” di Gesù dall’evangelista (Lc 2,33) e anche dalla madre (v.48); con Maria condivide il titolo di “genitori di Gesù” (vv.27.41). In funzione di “padre” si reca a Betlemme per il censimento e partecipa agli altri misteri della vita di Cristo. Evidentemente insieme all’aspetto giuridico della paternità vengono considerati anche i sentimenti corrispondenti, comunicati a Giuseppe dalla stessa fonte divina della paternità (n.8).
Dalla paternità giuridica il discorso passa alla natura del matrimonio. Alla luce dell’insegnamento di grandi teologi come sant’Agostino e san Tommaso, entrambi molto impegnati a difendere la verità di questo matrimonio, la Redemptoris Custos mette in evidenza “l’indivisibile unione degli animi”, “l’unione dei cuori”, “il consenso”. Riecheggiando un prezioso insegnamento, ricavato dalla Genesi, sul significato sponsale del corpo, visto come dono reciproco e sacramento dell’Amore divino, Giovanni Paolo II ne deduce che “nel momento culminante della storia della salvezza, quando Dio rivela il suo amore per l’umanità mediante il dono del Verbo, è proprio il matrimonio di Maria e Giuseppe che realizza in piena ‘libertà’ il ‘dono sponsale di sé’ nell’accogliere ed esprimere un tale amore” (n.7). Ogni parola andrebbe sottolineata ed analizzata a motivo del suo alto contenuto teologico. Qui basti averne indicato l’importanza. Giovanni Paolo II non manca di dedicare un intero paragrafo allo “sposo” (nn.17ss.), osservando che “i Vangeli pongono dinanzi a noi l’immagine dello sposo e della sposa” (n.18).
Matrimonio veramente singolare
La difesa della “verità” del matrimonio di Maria e Giuseppe non è motivata solo dall’aspetto “cristologico”, perché l’immagine dello sposo e della sposa riguardano anche l’aspetto salvifico e quello ecclesiologico. Nella ricca dottrina riguardante i “misteri” della vita di Cristo entra, infatti, l’assunzione delle realtà umane per essere purificate e santificate. Considerata l’importanza della “coppia umana” nel piano della creazione, l’immagine dello sposo e della sposa non può essere vista solo come decorativa! Tale importanza era già stata dimostrata da Paolo VI, come ricordato nella Redemptoris Custos: “In questa grande impresa del rinnovamento di tutte le cose in Cristo, il matrimonio, anch’esso purificato e santificato, diviene una realtà nuova, un sacramento della nuova Alleanza. Ed ecco che alle soglie del Nuovo Testamento, come già all’inizio dell’Antico, c’è una coppia. Ma, mentre quella di Adamo ed Eva era stata sorgente del male cha ha inondato il mondo, quella di Giuseppe e di Maria costituisce il vertice, dal quale la santità si espande su tutta la terra. Il Salvatore ha iniziato l’opera della salvezza con questa unione verginale e santa, nella quale si manifesta la sua onnipotente volontà di purificare e santificare la famiglia, questo santuario dell’amore e questa culla della vita” (n.7).
Che dire poi dell’aspetto ecclesiologico? La Redemptoris Custos vi si riferisce considerando il “vincolo di amore sponsale e verginale”, espressione che nella Liturgia definisce l’unione di Maria e Giuseppe: “Si tratta di due amori che rappresentano congiuntamente il mistero della Chiesa, vergine e sposa, la quale trova nel matrimonio di Maria e Giuseppe il suo simbolo” (n.28). Tenendo davanti agli occhi il testo di san Paolo, che vede nel “grande mistero” di Cristo e della Chiesa (cf. Ef 5,31-32) “il modello” che gli sposi debbono riprodurre, ma che nessun matrimonio potrà mai pienamente realizzare, dal momento che nel cuore restaurato dell’uomo permane la “concupiscenza”, diventa evidente che “è proprio il matrimonio di Maria e Giuseppe, che realizza in piena ‘libertà’ il ‘dono sponsale di sé’ nell’accogliere ed esprimere un tale amore”, ossia l’amore di Dio per l’umanità mediante il dono del Verbo (n.7). La festa liturgica dei Santi Sposi, che tutti dovrebbero diffondere, è la celebrazione di un mistero salvifico e non una semplice devozione.