Cosa consegniamo a un bambino che nasce e viene al mondo?
di Andrea Ciucci
I doni preziosi che un neonato riceve sin dal primo vagito sono molti e fondamentali: al proprio figlio che nasce due genitori consegnano un mondo da abitare, un futuro da vivere, un affetto che lo circonda e lo sostiene, una casa che lo accoglie. Ogni nascita è accompagnata, tranne casi eccezionali e fortunatamente assai rari, da una sostanziale comunicazione di fiducia: mettendo al mondo un figlio, suo padre e sua madre gli annunciano che questo mondo, pur con tutti i problemi che lo segnano, merita di essere vissuto.
Il bambino capisce e accoglie dal primo giorno della sua esistenza questo sguardo positivo sulla realtà, certo non con parole e riflessioni, bensì sperimentando il calore degli abbracci, il cibo che non viene meno, la cura amorevole di uomini e donne che gli vogliono bene e di cui impara, giorno dopo giorno, a fidarsi. Anche i genitori e tutti i familiari non sempre sono pienamente consci di questo grande messaggio di speranza e fiducia che trasmettono al nuovo nato: tutto avviene quasi naturalmente e spesso dentro una fretta e una preoccupazione carica di affetto che, improvvisamente, occupa pensieri e gesti, giorni e notti, soprattutto notti felicemente e stancamente insonni.
Ma non è tutto. In questa apertura carica di fiducia e attesa, gli adulti comunicano ai nuovi arrivati una cultura, delle domande, un linguaggio con cui esprimerle, delle tradizioni, una storia, anche una fede religiosa che anima le loro vite. Quando due genitori scelgono di battezzare il loro figlio appena nato spesso hanno questo desiderio grande nel loro cuore: “Vogliamo che anche tu possa vivere la tua vita in compagnia del Signore, sotto la sua protezione, sulla strada che lui ha indicato”.
Fino a pochi decenni fa, la scelta di battezzare un neonato era scontata, addirittura da attuare nel giorno stesso della nascita, magari direttamente in ospedale. In alcuni casi l’urgenza era provocata da qualche aspetto vagamente magico o dettata dalla paura che un bambino, morto improvvisamente senza battesimo, non sarebbe andato in paradiso ma in quella cosa strana che si chiamava limbo. In realtà, già da diversi anni la Chiesa ha riconosciuto ufficialmente che questa dottrina rispecchiava una visione troppo restrittiva della salvezza per i bambini non battezzati e l’ha abbandonata.
Non è però questo cambiamento che ha fatto saltare la normalità del battesimo di un bambino. In grandi città come Milano, ad esempio, si calcola che quasi un bambino su tre non viene battezzato, ma anche in altri contesti questa scelta non è più automatica: i genitori sembrano perplessi, si interrogano se è giusto compiere questo gesto o se non è meglio lasciare scegliere ai figli quando diventeranno grandi. Altre volte il battesimo si celebra, ma più che per una convinzione religiosa più o meno radicata, per convenzione sociale o per fare contenti i nonni che ci tengono tantissimo a questo gesto e, in qualche caso, minacciano qualche piccola ritorsione.
In realtà le domande e i dubbi possono essere occasione di grande crescita e non vanno mai evitate o liquidate troppo velocemente. È una grazia che due genitori si interroghino su cosa vogliono consegnare al loro figlio, ed è grazia ancor più grande che, ragionando sul battesimo del bambino, di fatto si interroghino sul posto della fede nella loro vita personale e di coppia, magari riscoprendone l’urgenza anzitutto per loro. Il motivo più vero per cui qualcuno sceglie di non battezzare il figlio è, in realtà, proprio il fatto che la fede non è più esperienza essenziale e portante della vita degli adulti: un genitore non rinuncia mai a comunicare al proprio figlio le cose che ritiene veramente importanti della sua vita.
Più che pretese, ricorsi a una tradizione da rispettare, o peggio ancora al famigerato “nella nostra famiglia si è sempre fatto così!”, la scelta, perché così è diventata, di battezzare un figlio che nasce chiede di essere accompagnata nell’ascolto e nella preghiera, sostenuta con tanta pazienza e affetto, anche provocata nella sua doverosa urgenza, senza rinunciare ai propri convincimenti e insieme rispettando quelli altrui, proponendo cammini di coerenza e di conversione, per noi e per gli altri.
I bambini da subito restituiscono i doni che hanno ricevuto: impongono agli adulti di riflettere seriamente su quello in cui credono e su quale roccia fondano la loro vita.