Di più, il Papa ha voluto iniziare ufficialmente il suo ministero pastorale proprio nella solennità di San Giuseppe. In quella circostanza, papa Francesco, «vescovo di Roma, venuto dai confini del mondo», ha indicato San Giuseppe come padre, marito amorevole che si è dedicato con generoso impegno a educare Gesù, e, ancor oggi, «custodisce e protegge il suo corpo mistico, la Chiesa, di cui la Vergine Maria è figura e modello». Durante l’omelia d’inizio del suo pontificato il Papa ha insistito sul compito e sullo stile con cui San Giuseppe ha custodito il dono prezioso che gli era stato affidato.
«Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e tutto l'amore ogni momento. È accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazareth, nel laboratorio, dove ha insegnato il mestiere a Gesù». Chiediamoci: il nostro mondo globalizzato, sempre di corsa, preoccupato di non perdere l’aggancio con il presente, come può rispecchiarsi nella vita di Giuseppe? Certamente non nel modo - ormai lontano nel tempo-, ma nella qualità - come arte - nel custodire i valori consegnatigli da Dio-Padre. Anche per noi la vocazione alla vita va vissuta in costante attenzione ai segni di Dio, con un animo disponibile a realizzare i suoi progetti e non solo alle nostre costruzioni autonome.
Giuseppe non è stato il padrone, ma il custode di un patrimonio ricevuto da Dio; l’ha custodito in un modo mirabile perché ha saputo ascoltare, si è lasciato guidare dalla mano di Dio, per questo è stato sensibile alle persone che gli furono affidate. Egli ha saputo leggere con realismo gli avvenimenti, fu attento a ciò che lo circondava, prendendo così le decisioni più sagge. Nel padre terreno di Gesù troviamo il modello di come si risponde alla vocazione di Dio; due qualità: disponibilità e prontezza. La prerogativa principale dell’agire di San Giuseppe fu di collocare la sua vita accanto a Gesù. Dimentico di sé e dei suoi personali progetti di vita, ha messo al centro di ogni decisione il bene di Gesù; così, istintivamente, ha insegnato anche a noi come custodire il prossimo che ci sta accanto, in casa, nel lavoro, nella vita ordinaria. L’evangelista Matteo attribuisce a Giuseppe l’appellativo di «uomo giusto».
Giuseppe era «giusto» non solo perché osservava scrupolosamente la legge, ma per quel rapporto vitale con Dio, che cambia il cuore dell’uomo e lo rende disponibile a fruttificare secondo i suoi piani. Il primo salmo dice: «l’uomo giusto è colui che si compiace della legge del Signore, medita la sua legge» e si può paragonare a un «albero piantato lungo i corsi d’acqua che dà frutto a suo tempo». San Giuseppe è modello perché ha messo Dio al centro della vita. Questo non significa avere davanti agli occhi una chiarezza assoluta del nostro futuro, ma la consolante certezza che a ogni passo Dio ci è accanto, soprattutto, quando «si è stretti dalla tribolazione e invochiamo il suo patrocinio».