All'inizio di una nuova stagione della vita mi ritorna alla mente un’affermazione del padre della psicanalisi Gustav Jung, il quale all’ingresso della sua casa, vicino Zurigo, aveva scritto: «Invocato o non invocato, Dio ci sarà». Ogni creatura umana è un riflesso divino.
Questo riflesso divino è nascosto nel colore dell’iride di ogni creatura. Nel cuore umano c’è una nostalgia sino a quando non siamo riusciti a rivestirci di quei colori. Sono i colori dell’arcobaleno che baciano l’anima e lasciano impresso il profumo della pace.
All’inizio di questa quaresima sono affascinato da un’espressione della scrittrice Simon Weil, quando sostiene che «se guardiamo a lungo il cielo, Dio scende e ci rapisce»; non ha detto Gesù che «nessuno viene a me se non lo attira il Padre?». Dio è la calamita dell’anima. Non sappiamo essere permanentemente al riparo da questa attrazione come centro di attrazione alla vita dello spirito. La quaresima è un tempo opportuno per lasciarci affascinare da questa attrazione. Il «deserto», come luogo dove lo Spirito conduce Cristo perché sia tentato dal diavolo, costituisce l'ambiente del periodo quaresimale. Non è uno spazio geografico, ma una situazione concreta in cui l'uomo viene continuamente a trovarsi. Basta far venire adesso alla mente e ai sentimenti il periodo che stiamo vivendo già da un anno e più: “deserto” di relazioni, emozioni, costellato di dolore e tristezza. Nella religiosità biblica il «deserto» è il luogo prescelto da Dio per provare la fedeltà e la vigoria della fede dei suoi eletti che, superata la tentazione, raggiungono la statura dell'uomo vero.
Nello sfacelo di tutte le speranze, nella più deserta solitudine, l'uomo sperimenta le sottili insidie e le angosce dell'horror vacui. Quando il cuore è saldo, dalla tenebra spunta la visione di una realtà differente, di una vita più vera: gli angeli scendono e donano il loro pane, la solitudine si popola, la tenebra si trasforma in luce.