Ad appena dieci anni, durante la peste che colpì il nord dell’Italia, mandato a studiare a Firenze, fece il voto di castità. Era durante una sua frequentazione della Chiesa dell’Annunziata che ebbe una visione, il Signore gli mostrava due vie: quella mondana, che aveva percorso durante la sua infanzia e che non sarebbe arrivata a niente di bello, e quella evangelica, che aveva già incontrato a cinque anni attraverso l’esempio della mamma e delle sue parole. Due anni dopo, san Carlo Borromeo, non solo non lo riprese per questa decisione, ma volle dargli personalmente la prima eucaristia.
Per vari anni e durante gli studi superiori fu mandato in varie corti a seguito del principe ereditario, don Diego. Trovava comunque il tempo per meditare e pregare. Lesse un opuscoletto di san Pietro Canisio e di lettere scritte dai missionari gesuiti nelle Indie. Capì allora che il suo posto era nella Compagnia di Gesù.
Il 25 novembre 1585 entrò finalmente nel noviziato dei gesuiti a Roma. Sotto la guida di Roberto Bellarmino, terminò brillantemente i suoi studi di filosofia e iniziò la teologia. Dopo una parentesi nel castello paterno per rappacificare il fratello Rodolfo col padre, ritornò a Roma per iniziare l’ultimo anno di teologia nel 1590.
La peste scoppiò anche a Roma e Luigi chiese di servire gli infermi nell’ospedale di san Sisto. Nonostante il divieto poi in seguito di recarsi in ospedale, per la sua cagionevole salute, si prestò a servire in un ospedale, presso il Campidoglio, con meno persone gravi. E qui per aiutare un appestato durante il tragitto, contrasse la peste che lo portò alla morte il 21 giugno 1591. Aveva appena 23 anni. Scrivendo alla madre aveva detto: «Ci rivedremo in cielo e insieme uniti all’autore della nostra salvezza godremo gioie immortali...».
Fu proclamato santo nel 1726, nell’anno seguente patrono della gioventù e modello degli aspiranti al sacerdozio.