Scelse, quindi, per sé e per i giovani una spiritualità moderna e la completò con alcune caratteristiche sue proprie. Innanzitutto ebbe la convizione che il lavoro, fatto nella volontà di Dio e per il bene del prossimo, è di per sé preghiera. Apriva così una nuova strada di santità per tutti i laici.
Una seconda caratteristica è la gioia. Egli coglie il carattere gioioso della fede e ne fa l’ambiente normale dove formare i suoi ragazzi e i suoi giovani. La gioia si esprime anche nella festa esteriore con tutto quello che essa comporta soprattutto in un ambiente giovanile, ma per don Bosco è qualcosa di più profondo: è la gioia, spontanea e schietta, che sgorga dal di dentro in chi segue Dio con cuore puro. Per questo inculcava ai suoi giovani la confessione e la comunione frequente e una profonda devozione a Maria.
Una terza caratteristica è la fedeltà al papa. In un tempo di grossi rivolgimenti socio-politici, in cui, insieme alla caduta del potere temporale dei papi, si annunciava anche la fine dello stesso papato, don Bosco lascia ai suoi figli l’impegno di una fedeltà a tutta prova al carisma di Pietro. Quando nel 1887 inaugurò a Roma la Basilica del Sacro Cuore, costruita per volere del papa, pianse di gioia perché ormai tutti i suoi sogni si erano avverati. Il 31 gennaio dell’anno seguente si spense, ma ormai la sua opera era diventata adulta.
Il distacco fu doloroso: don Guanella stesso confessava «di non aver patito tanto alla morte del padre e della madre... quanto nel lasciare don Bosco». E a lungo conservò la nostalgia per i tre anni passati nella vita salesiana: «Ivi avevo l’esempio di tante virtù e la direzione di coscienza di don Bosco, che faceva sì gran bene a tutti. Il cuore di don Bosco era calamita che traeva; e la sua parola parca e misurata spandeva nelle menti bagliori di luce. Sia eterna la gratitudine a don Bosco e alle sue case». (A. Tamborini, Don Luigi Guanella)