La figura del cardinal Biffi è stata tra le più significative della seconda metà del secolo scorso. Fatto vescovo nel 1975 da Papa Paolo VI e destinato ausiliare di Milano, nel 1984 fu promosso arcivescovo di Bologna dove è rimasto fino al 2003. Papa Giovanni Paolo II lo aveva fatto cardinale nel 1985 e aveva ricoperto numerosi incarichi in organismi vaticani. Oltre alla sua grande attività e sensibilità pastorale e a una presenza stimolante nella società non solo bolognese ma italiana, Biffi si è caratterizzato anche per una intensa produzione teologica e letteraria. Basti ricordare alcuni titoli: Io credo. Esposizione della fede cattolica (Jaca Book, 1980); La Bella, la bestia e il cavaliere (Jaca Book, 1984); Linee di escatologia cristiana (Jaca Book, 1984); Liberti di Cristo. Saggio di antropologia cristocentrica (Jaca Book, 1996); Sull’immigrazione (Elledici, 2000); Pecore e pastori. Riflessioni sul gregge di Cristo (Cantagalli, 2008).
Come si vede siamo di fronte a un autore molto prolifico e con il dono della chiarezza e della franchezza: Biffi non usava giri di parole o concetti complicati e astrusi. Diceva e scriveva «pane al pane e vino al vino» ed era così anche nelle relazioni con il mondo della sinistra bolognese che interagiva in maniera molto energica con l’arcivescovo, però nel rispetto reciproco e nel confronto delle idee e delle convinzioni.
Tornando al Pinocchio, Biffi era rimasto affascinato sin da bambino dal simpatico burattino ribelle che aveva deciso di non ascoltare il proprio “creatore” e aveva voluto fare di testa sua, andandosi a cacciare nel classico mare di guai.
E infatti, nell’intervista commenta il percorso esistenziale di Pinocchio: «C'è una fuga dal padre, c'è un tormentato e accidentato ritorno al padre, c'è un destino ultimo che è partecipazione alla vita del padre. Il tutto grazie a una salvezza data per superare la distanza incolmabile, con le sole forze del burattino, tra il punto di partenza e l'arrivo. Pinocchio è una fiaba. Ma racconta la vera storia dell'uomo, che è la storia cristiana della salvezza».
Il libro risulta così ricco di considerazioni molto stimolanti. Ad esempio, su quanto sia diffuso il male a livello interiore. «Dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini escono le intenzioni cattive» (Mc 7, 21)”. Il commento prosegue notando che «Pinocchio sa che cosa è il suo bene, ma sceglie sempre l'alternativa peggiore. Soggiace alla narrazione di queste sconfitte la persuasione della “natura decaduta”, della “libertà ferita”, della incapacità dell'uomo a operare secondo giustizia, espresso nelle parole: “Non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” (Rm 7, 19)».
Il cardinale aveva sviluppato nel libro ampie considerazioni su quanto l'ideologia illuministica avesse diffuso nel mondo: «l'orgogliosa affermazione dell'autoredenzione dell'uomo: l'uomo può e deve salvare se stesso, senza alcun aiuto dall’alto». Si può dire che da lì ha mosso il percorso della secolarizzazione che tuttora sta contrassegnando la cultura occidentale.
La seconda parte del libro è costruita proprio per smentire «l'illusione dominante della nostra cultura. Pinocchio, interiormente debole e ferito, esteriormente insidiato da intelligenze maligne più astute di lui, non può assolutamente raggiungere la salvezza, se non interviene un aiuto superiore, che alla fine riesce a compiere il prodigio di riconciliarlo col padre, di riportarlo a casa, di dargli un essere nuovo. Lo straordinario personaggio della Fata dai capelli turchini è posto appunto a indicare l'esistenza di questa salvezza che è donata dall'alto e può guidare al lieto fine la tragedia della creatura ribelle».
Un messaggio che, come si vede, combacia perfettamente sia pure in forma allegorica con la rivelazione cristiana.