Quegli uomini sapienti e visionari gli hanno detto che quel piccolo cesto di gioia che è stretto al seno di Maria, così tenero, così inerme e immacolato, così simile a tutti i neonati del mondo, è una persona speciale: il Messia annunciato dai profeti. E siccome c’è qualcuno che ha usurpato il suo trono – l’idumeo Erode – proprio quegli vorrà farlo sparire prima che sia troppo tardi. Ed ecco che due tipi di “paternità” vengono a distinguersi e contrapporsi, mentre, incrociandosi, si rivelano: quella di Erode e quella di Giuseppe.
Padri competitori
Erode teme che Gesù, una volta divenuto grande, lo destituisca dal Regno, reclamando il trono di David. Avrebbe il diritto di farlo perché – come ha confermato la genealogia – Gesù è discendente legittimo del Messia amato e voluto da Dio (cf Mt 1,1). Di questo trono Erode era un usurpatore e, in cuor suo, lo sapeva. Per questo quando anche gli Scribi di corte, concordando con i Magi, riconoscono nella stella il segno della nascita del vero Messia, cade nel panico e cede a una reazione istintiva di massima mostruosità: fa uccidere tutti i neonati nella speranza di sopprimere anche l’erede al trono. Nel mondo antico non mancano miti e leggende simili a quella narrata qui da Matteo, in cui altri padri vorrebbero uccidere i figli o i nipoti preannunciati, anch’essi, come soppiantatori del loro potere. Ma anche oggi non mancano padri del genere, non tanto nelle favole quanto nella realtà. Ci sono uomini che costringono le loro donne ad abortire solo perché hanno paura che i figli prendano il loro posto nella vita delle loro compagne. Ci sono padri gelosi dei successi dei figli che non sopportano di esserne oscurati per titoli e meriti. Che vorrebbero essere sempre al centro dell’attenzione, per cui diventano oppressivi e schiacciano i loro figli, li offendono, li ritengono e li trattano da incapaci. Molto più banalmente - per finire - ci sono padri che non vogliono saperne di dare sé stessi per le creature sbocciate dal loro stesso corpo! Quante volte esprimiamo un giudizio di condanna sulle donne che sopprimono i loro potenziali figlioletti ancora in grembo o che non si dedicano a far crescere i loro figli, ma restano concentrate su sé stesse, sui loro bisogni o sui loro egoismi. Dovremmo pensare a come anche per i padri valga la stessa amara responsabilità rispetto al “frutto dei loro lombi”, come direbbe la Bibbia.
Padri alleati
Giuseppe è un alleato non un avversario di suo figlio. Le loro vite non sono l’una “contro l’altra” armate, al contrario, sono un tutt’uno, l’una alleata con l’altra. Col sostegno della voce dell’angelo, nel sogno, Giuseppe affronta la notte del primo esodo di Gesù. Nessuno ama alzarsi di notte, ma lo fanno quelli che sentono la loro vita in pericolo, i costretti alla fuga. Giuseppe lo fa per salvare la vita di suo figlio. Se non avesse avuto quel figlio se ne sarebbe stato tranquillo a casa sua, a dormire. Ma il figlio c’è e Giuseppe lo vive come il suo stesso corpo e il suo stesso destino. Parte con addosso l’energia, l’impeto di un carico di vita, dal peso immenso di sacra identità, di assoluta bellezza: Gesù e sua madre. E si “rifugia” in Egitto con un lungo viaggio. In un paese proverbialmente nemico degli ebrei. Quando in ballo c’è la vita di un figlio un padre è costretto a fidarsi anche degli estranei. Egli si affida a quell’umanità che confida trovarsi nel cuore di tutti. Quanti padri vediamo oggi come lui, come Giuseppe: tutti quegli uomini che bussano alle porte delle nazioni a loro straniere, scappando dalla miseria e dalla violenza dei Paesi di origine, per sottrarre i sogni dei figli dagli artigli dell’Erode di turno.