Una linea ideale congiunge lo sguardo del padre putativo e del Figlio, mediato da un gesto di apparente quotidianità, che allude invece al disegno divino; la palma dattilifera – che ha donato i suoi frutti nella inospitale terra desertica, secondo la tradizione apocrifa-, richiama il paradiso e la salvezza, che sarà proclamata dal Signore qui ancora piccolo, neonato.
Maria domina la scena con la sua figura, maestosa e insieme toccante per l’intensità espressiva. Il suo abbraccio culmina in un gesto di forte valenza simbolica: il pittore, con studiata naturalezza, descrive la sua mano in primo piano con le due dita in evidenza, l’indice e il medio, secondo un tipo iconografico di lontana ascendenza, che traduce figurativamente la duplice natura umano-divina del Salvatore, come si vede nelle più antiche effigi mariane, e si nota ancora nel Rinascimento e agli albori dell’età moderna.
Carlo Francesco Nuvolone (1609-1662) con questo dipinto conservato nell’Oratorio di San Giuseppe a Borgomanero (Novara), si colloca nella linea dei grandi interpreti della scuola lombarda, attenta alle suggestioni dell’arte nordeuropea, rielaborata con linguaggio compositivo equilibrato e insieme poetico.