Abbiamo lasciato Pietro e i suoi compagni allibiti dall’esito inatteso di una pesca compiuta gettando le reti alla parola di Gesù, fidandosi di quanto proponeva, anche se sembrava così impossibile. Di qui lo stupore: non si tratta semplicemente di un sentimento psicologico, la grande sorpresa di fronte a un evento inatteso, ma di un’esperienza propriamente religiosa, quella che si ha di fronte all’apparire di qualcosa di radicalmente nuovo, dell’irruzione del soprannaturale nella nostra vita ordinaria, di qualcosa che rompe ogni previsione, ogni attesa, ogni schema, di qualcosa che incomincia a cambiare la nostra esistenza. Lo stupore di Pietro è lo stesso stupore di Mosè di fronte al roveto ardente: nasce come meraviglia di fronte all’inspiegabilità di un fatto naturale, ma culmina e matura, come ricorderete, nella rivelazione stessa di Dio. E come lì c’è un pastore che diventerà pastore di Israele, il pastore per eccellenza del popolo di Dio, così qui abbiamo un pescatore che diventerà il pescatore per antonomasia, il pastore del nuovo popolo di Dio, che è la Chiesa. Le storie corrono parallele.
La risposta di Simone al miracolo esprime la paura di fronte all’ingresso di Dio nella propria vita, ed è molto comprensibile: che cosa mi chiede? Che vuole? Che tipo è? E adesso che cosa succede? Tutte queste domande ce le siamo esplicitamente o implicitamente poste quando abbiamo aderito alla fede, qualunque sia stata poi la nostra vocazione. Tutti ci domandiamo, nel dare il nostro assenso a Dio, che cosa derivi da quell’assenso, a che cosa ci impegniamo, dove potremmo andare a finire per la nuova via che abbiamo appena iniziato. Ognuno di noi è un po’ pauroso di Dio, diffidente e sospettoso verso di lui: un empio sonnecchia dentro ognuno di noi, e spesso si risveglia. Perciò dice: allontanati. Può apparire anche un risposta sensata: io peccatore come posso stare davanti a te? Ma in realtà vuol dire: lasciami stare, fammi vivere la mia vita e tu stai per conto tuo. Perciò guardatevi dalla scusa dell’indegnità: io non sono degno di servirti, io non sono adatto. Gesù non sceglie persone adatte o degne, ma chiama uomini e donne normali.
Infatti la conclusione è stupenda. Gesù non dice: «Simone, guarda non ti preoccupare, non sei poi peggio di altri»; non dice neanche: «vedrai che migliorerai, quel che di te ora non ti piace sarà superato»; non dice neppure: «vedrai che con la preghiera, un bel corso di Esercizi spirituali, ti risolleverai e diventerai quel che non sei». Gesù dice solamente: «seguimi». Come dicesse: «lo so che sei peccatore, è vero, e già so, in anticipo, che di qui a due anni passerai un brutto giovedì sera. Semplicemente: non me ne importa. Tu seguimi: vieni con me, non voglio stare senza di te, e non voglio neanche che tu viva senza di me». In quel “seguimi” c’è l’offerta di tutto l’amore di Gesù: lì c’è un perdono radicale e definitivo, del passato come del futuro, una sorgente di grazia alla quale sempre Pietro potrà bere.
Le reti rimangono a terra: lasciato tutto, sono liberi, e lo seguono. Pietro ormai non pesca più pesci, ma uomini; Gesù ti prende e tira da fuori da te il meglio, dilatando all’infinito quel che già sapevi fare bene, proiettandolo in ambiti molto più grandiosi del lago della tua esistenza. Così anche tu hai preso il largo.