Questa preghiera riassume bene il significato della memoria liturgica odierna istituita nel 1955, quando il papa Pio XII volle affidare il mondo dei lavoratori a colui che fece da “maestro di lavoro” a Gesù durante i lunghi anni di vita nascosta a Nazareth.
Ad un osservatore superficiale la figura di san Giuseppe nel Vangelo può apparire di secondaria importanza. In realtà Dio non ha fatto di lui semplicemente il tutore di Maria e di Gesù – è già sarebbe una nobilissima missione –, ma l’ha eletto perché insieme a Maria e a Gesù incarnasse sulla terra la vita trinitaria. Sant’Ireneo diceva che con l’incarnazione Dio ha voluto imparare a vivere da uomo, affinché la creatura umana imparasse a vivere da Dio. Solo vivendo secondo la legge trinitaria dell’amore l’essere umano è pienamente se stesso, cioè ad immagine del suo creatore. Ma questo lo può fare solo insieme ad altri, sviluppando i rapporti sociali secondo la legge dell’amore. Anche Gesù come uomo aveva bisogno di Maria e di Giuseppe per crescere non solo in età, ma anche «in sapienza e grazia davanti a Dio e davanti agli uomini» (cf Lc 2, 52).
«Mistero profondo: Cristo che, in quanto Dio, faceva direttamente l’esperienza della Paternità divina nel seno della Santissima Trinità, visse quest’esperienza in quanto uomo attraverso la persona di Giuseppe, suo padre putativo. E Giuseppe, a sua volta, nella casa di Nazareth offrì al bambino che gli cresceva accanto il sostegno del suo equilibrio virile, della sua lungimiranza, del suo coraggio, delle doti proprie di ogni buon padre, attingendole a quella fonte suprema “da cui prende nome ogni paternità nei cieli e sulla terra” (Ef 3, 15).
«In tale crescita umana Giuseppe guidava e sosteneva il fanciullo Gesù, introducendolo alla conoscenza delle consuetudini religiose e sociali del popolo ebraico e avviandolo alla pratica del mestiere di carpentiere, del quale egli, in tanti anni di esercizio, aveva assimilato ogni segreto... San Giuseppe insegnò a Gesù il lavoro umano, nel quale egli era esperto. Il divino Fanciullo lavorava accanto a lui, ed ascoltandolo e osservandolo imparava a maneggiare anche lui gli strumenti propri del carpentiere con la diligenza e la dedizione che l’esempio del padre putativo gli trasmetteva.
«Lezione grande anche questa: se il Figlio di Dio ha voluto imparare da un uomo un lavoro umano, ciò sta ad indicare che nel lavoro v’è uno specifico valore morale con un preciso significato per l’uomo e per la sua autorealizzazione... Mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo e anzi, in un certo senso, diventa più uomo” (Laborem Exercens, 9)» .
Sull’esempio di san Giuseppe i cristiani, fin dall’inizio amarono il lavoro, qualsiasi lavoro, come testimonia la storia.
«Nessun cristiano, per il fatto di appartenere ad una comunità solidale e fraterna, deve sentirsi in diritto di non lavorare e di vivere a spese degli altri (cf 2 Ts 3, 6-12); tutti, piuttosto, sono esortati dall'Apostolo Paolo a farsi “un punto di onore” nel lavorare con le proprie mani così da “non aver bisogno di nessuno” (cf 1 Ts 4, 11-12) e a praticare una solidarietà anche materiale, condividendo i frutti del lavoro con “chi si trova in necessità” (Ef 4, 28). San Giacomo difende i diritti conculcati dei lavoratori: “Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti” (Gc 5, 4). I credenti devono vivere il lavoro con lo stile di Cristo e renderlo occasione di testimonianza cristiana “di fronte agli estranei” (1 Ts 4, 12)».
«I Padri della Chiesa non considerano mai il lavoro come opus servile – tale era ritenuto, invece, nella cultura loro contemporanea –, ma sempre come opus humanum, e tendono ad onorarne tutte le espressioni. Mediante il lavoro, l’uomo governa con Dio il mondo, insieme a Lui ne è signore, e compie cose buone per sé e per gli altri. L’ozio nuoce all'essere dell'uomo, mentre l'attività giova al suo corpo e al suo spirito. Il cristiano è chiamato a lavorare non solo per procurarsi il pane, ma anche per sollecitudine verso il prossimo più povero, al quale il Signore comanda di dare da mangiare, da bere, da vestire, accoglienza, cura e compagnia (cf Mt 25, 35-36). Ciascun lavoratore, afferma sant'Ambrogio, è la mano di Cristo che continua a creare e a fare del bene» (Compendio della Chiesa Cattolica, n. 264) .
«Il lavoro umano, finalizzato alla carità, diventa occasione di contemplazione, si trasforma in devota preghiera, in vigile ascesi e in trepida speranza del giorno senza tramonto: “In questa visione superiore, il lavoro, pena ed insieme premio dell'attività umana, comporta un altro rapporto, quello cioè essenzialmente religioso, che è stato felicemente espresso nella formula benedettina: Ora et labora! Il fatto religioso conferisce al lavoro umano una spiritualità animatrice e redentrice. Tale parentela tra lavoro e religione riflette l'alleanza misteriosa, ma reale, che intercede tra l'agire umano e quelli provvidenziale di Dio”».
Ai tempi di Giuseppe l’artigiano, la donna di casa, il contadino, il pastore, il pescatore, e altri mestieri erano considerati “lavori servili”, cioè demandati ai servi. La famiglia di Nazareth operò un capovolgimento, riportando alla sua vera dignità ogni lavoro umano: Maria donna di casa è la madre della Sapienza, Giuseppe carpentiere è il padre putativo del Figlio di Dio e Gesù anch’egli falegname è il Verbo di Dio fattosi uomo.