Ma ci sono ancora altri significati che vogliamo esaminare, per entrare ancora più in profondità nella contemplazione di questo Cuore, che davvero racchiude in sé tutta la sapienza e la scienza delle Scritture. Ritorniamo dunque alla scena di Giovanni, nel cap. 19, a voi ben nota: è evidente che è stata scritta avendo presente una scena simile, quella del cap. 2 della Genesi, come dal fianco di Adamo nasce Eva, tratta dalla sua costola; così Cristo è presentato come il nuovo Adamo dal quale nasce la Chiesa, personificata in Maria. è dunque il tema della sponsalità quello al quale Giovanni allude, e, così facendo, si riannoda a una linea molto ben presente sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, quella cioè per la quale Dio ama di un amore simile a quello di uno sposo. Il così detto “linguaggio delle nozze” mostra Iahvé come lo sposo fedele, fino alla gelosia, di Israele, presentato come una sposa infedele, anzi, come una prostituta, che concede i suoi favori agli stranieri ma non riconosce colui che per primo la ha amata, e che arde di desiderio per lei. E’ un linguaggio che nei profeti assume toni perfino crudi, tanto è esplicito, ma che proprio per questo è estremamente eloquente.
Ma per il momento fermiamoci su una scena del Vangelo: così il discepolo prediletto poggia il capo sul petto di Gesù. Qui è una citazione implicita della Scrittura: non è cioè un suo versetto, ripreso alla lettera, in modo che ciascuno lo possa facilmente conoscere, ma piuttosto un’immagine. Precisamente si tratta dell’immagine presente nel Cantico dei cantici, dove la sposa, appunto, dice allo sposo: “ponimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio, perché forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi la gelosia” (Ct 8, 6). Nel Cantico è una scena delicatissima e profondamente umana: è descritto l’amore di due giovani, mentre lei appoggia il capo sul petto di lui.
Capite che la parola “cuore” qui non dice il costato, il fianco, di Gesù, nel senso fisico del termine, e nemmeno il cuore come muscolo, quello che sta sotto il costato o il fianco, se ragionassimo come dei medici. Qui il cuore è il petto inteso come simbolo dell’intimità amorosa. Gesù si rivela a noi come l’Amante per eccellenza, tanto innamorato fino alla morte, Lui che amò i suoi discepoli “fino alla fine” (Gv 13, 1) e che sulla croce compendiò tutto il suo operato dicendo “tutto è compiuto”, cioè, alla lettera “finito, portato fino alla fine” (Gv 19, 30).
Gesù è agnello, è alleanza, è vittima, è sacerdote, è fonte d’acqua viva, sorgente zampillante per lavare il peccato: di più, è anche sposo. Infatti sposo è colui che dona il proprio corpo, non una notte; e così Gesù dona a noi il suo corpo, l’Eucaristia, perché anche noi possiamo donare a Lui la nostra vita, come dice Paolo: “Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio: questo è il vostro culto spirituale” (Rm 12, 1). Notate bene l’ossimoro, cioè l’accostamento dei contrari: il culto spirituale è l’offerta del corpo, quanto più concreto e legato alla carne ci possa essere, cioè la nostra vita. Lui offre a noi tutta la sua vita, noi offriamo a lui la nostra: le preghiere, azioni, gioie e sofferenze che ogni giorno offriamo a Lui nella preghiera a noi così cara, ne sono espressione.