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Venerdì, 17 Giugno 2016 09:45

L'abbraccio misericordioso del Padre

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La parabola che ciascuno sente sua 

di Madre Anna Maria Cánopi osb

«Veniamo alla parabola che più mi sconvolge. Come hai fatto, Gesù, a inventarla e a dirla? Io vorrei sapere come la dicevi? Con quale voce? Oh, vorrei sapere… pensavi allo strazio del padre? A chi alludevi? Voglio sapere se tu per caso non pensavi a me, in quel giorno o in quella sera, in quel momento…». Così ha scritto padre David Maria Turoldo commentando la parabola del figliol prodigo che, più propriamente, potrebbe essere detta la parabola del Padre misericordioso. Ciascuno sente che questa parabola è la “sua” parabola. Essa presenta una situazione molto comune. Una famiglia con due figli: uno docile, buono e quieto, l’altro irrequieto, ostinato, in cerca di “esperienze”. Il primo è tutto dedito al lavoro, l’altro reclama con arroganza la “sua” parte di patrimonio, per poi partire in piena autonomia e andare dove lo porta il cuore… E dove lo porta? In un «paese lontano», dice semplicemente il Vangelo. È la lontananza da Dio, dalla rettitudine, dal vero bene.

Di conseguenza, in breve, sperpera tutte le sue sostanze, ritrovandosi povero e solo in una terra dove c’è la carestia. Una terra povera e abitata da persone indifferenti, inospitali e dure di cuore che offrono al giovane straniero soltanto la possibilità di far pascolare i porci, senza nemmeno dargli un po’ di cibo sufficiente a calmare la fame. Ma provvidenzialmente quest’ora di estrema miseria diventa l’ora della salvezza. Il giovane, infatti, si ricorda della casa del padre dove tutti, anche i garzoni, «stanno bene»; allora pensa tra sé: «Mi alzerò e tornerò». La sua coscienza, però, lo rimprovera; egli forse si ricorda anche di come se n’è andato da casa, ricorda probabilmente lo sguardo addolorato del padre. E si sente trafiggere il cuore, si sente indegno. Come può osare presentarsi? Si prepara, allora, le parole da dire: «Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati» (vv. 18-19). Possiamo vedere in questo cammino verso casa il momento di preparazione al sacramento della riconciliazione, un cammino fatto con cuore contrito, con umiltà, anche con timore e vergogna. Così il figlio minore si avvicina a casa e si prepara alla sua confessione. Ma non aveva previsto che il padre fosse lì a scrutare l’orizzonte giorno e notte, senza stancarsi. Scorgendolo quand’è ancora lontano – mai dunque lo ha perduto di vista – gli corre incontro, lo abbraccia e lo bacia, come un figlio amato e atteso che giunge da un lungo e pericoloso viaggio. E il discorso che il figlio ha preparato? Non può neanche affiorare alle labbra, perché altre parole sgorgano subito dal cuore del padre: «Presto, portate qui il vestito più bello (…)e facciamo festa, perché – ecco il motivo della festa – questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». Commenta san Pietro Crisologo: «Andò il figlio dal padre come colpevole, ma il padre nascose il giudice e preferì comportarsi solo come padre; con un bacio redense i peccati, li chiuse in un abbraccio. Il padre non conosce una misericordia lenta, immediatamente la sua misericordia cancella il peccato». E così inizia la festa. Ma, ahimè, subito risuona una nota stonata. È la voce del figlio maggiore che si indigna (è l’opposto del ritenersi indegni…) e rimprovera il padre di essere ingiusto (cf. vv. 29-30). Quante volte anche noi reagiamo allo stesso modo! «Ecco, io ho fatto questo e tu non mi hai dato niente! E quello lì, che si è comportato male, ecco come lo tratti bene!». E facciamo tali discorsi non soltanto nelle relazioni umane, ma anche verso Dio, quando veniamo colpiti da malattie o da qualche disgrazia: «Perché? Io non ho mai fatto niente di male, e guarda che cosa mi capita! I cattivi, invece, stanno bene!». Sono discorsi che si sentono tutti i giorni. Ma sono discorsi stolti. Dio ha un’altra misura, un altro modo di vedere e di valutare le cose; non chiude gli occhi sul male, ma ha un metodo infallibile per cambiare le situazioni. Questo è il segreto di Dio. E il suo metodo è la misericordia, che usa verso tutti e sempre. Come è andato incontro al figlio minore che tornava a casa miserabile, così esce incontro al figlio maggiore, anch’egli diventato così cieco e sordo da non riconoscere più il fratello e non sentire compassione per lui. Romano il Melode, con la sua alta sensibilità poetica, dà voce al padre in questo colloquio: «Ascolta tuo padre, tu sei con me, non ti sei mai separato, ma tuo fratello è venuto coperto di vergogna… Come avrei potuto non avere compassione? Come avrei potuto non salvare mio figlio che gemeva e singhiozzava? Le mie viscere hanno generato quel figlio; di ambedue sono l’unico padre; onoro te, figlio mio, perché sempre mi hai servito e obbedito, di quello ho compassione. Perciò, figlio mio, rallegrati!». Gesù ha detto: «Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione» (Lc 15,7). È una logica divina, che noi stentiamo a fare nostra. Con una bellissima intuizione, Romano il Melode dà voce anche al fratello maggiore: «Sentite le parole del padre, il figlio maggiore si mise a cantare: “Gridate di gioia o voi tutti! Beato l’uomo a cui è rimessa la colpa… Gridate di gioia, o voi tutti, perché mio fratello è tornato!”». Che bello! È una interpretazione e una conclusione del Vangelo veramente bella e desiderabile, che possiamo fare nostra ogni volta che qualcuno viene reinserito con amore e compassione nella comunità. È un modo autentico di attualizzare la Parola di Dio, seguendo la logica di Dio. Anche perché nessuno può giudicare gli altri. Quanto mistero nelle anime! E se fossi proprio io la causa dell’allontanamento di mio fratello? Il Padre chiama tutti alla festa; ogni giorno prepara il banchetto per noi! È sempre imbandita la mensa dell’Eucaristia. Chi può sentirsi degno di ricevere il Signore nel cuore? Giustamente all’inizio della Santa Messa c’è il momento penitenziale. Poi, appena prima di ricevere la comunione, guardando il sacerdote che eleva e mostra l’ostia, diciamo: «Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma di’ soltanto una parola e sarò salvato». E il Signore si dona a noi, generosamente. Purtroppo, però, come figli prodighi, sperperiamo questo dono di Dio durante la giornata; facciamo come se non lo avessimo nel cuore. Quanti oltraggi possiamo fare al Signore! Quando non siamo buoni, benevoli, gentili verso i nostri fratelli: questo è un oltraggio verso il Signore; quando non ci comportiamo bene, è come se nella nostra casa – nel nostro intimo – il Signore trovasse non un ambiente pulito, bello e adorno, ma un ambiente sudicio e non degno di Lui. Come possiamo vivere questa parabola? Innanzitutto, essa ci fa prendere coscienza che siamo figli di Dio, che abbiamo un’eredità, un patrimonio enorme di grazia non da sperperare, ma da far fruttificare. Come? Imparando a vivere nella Chiesa, nella famiglia, nella comunità, nell’ambiente in cui viviamo, come figli e fratelli. L’amore misericordioso è la medicina che può curare tutti i mali del cuore umano e l’umiltà è la virtù che ci mette nella verità davanti a Dio, nella disposizione giusta per accogliere la misericordia e diventare misericordiosi. Il Signore non ci dice: «Hai sbagliato una, due, tre volte; adesso basta!». Non dice mai «basta», ma «sempre, sempre, sempre ». E il Figlio continua a dire: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Ci può ancora essere posto per la disperazione? Ogni volta che sentiamo di allontanarci un po’ dal Signore nei pensieri, nei sentimenti, nei desideri, nelle azioni, gettiamoci fiduciosi tra le sue braccia e allarghiamo misericordiosamente le nostre per stringere tanti fratelli bisognosi di amore e che, forse, con un gesto di accoglienza, possiamo salvare dalla disperazione.

O Dio, Padre misericordioso,
noi tutti siamo figli
che se ne vanno ogni tanto lontano da casa,
smaniosi di fare esperienze di autonomia,
illusi di realizzarsi in piena libertà.
Illumina la nostra mente, rettifica il nostro cuore,
perché sappiamo comprendere
che la vera libertà si trova
soltanto nell’obbedienza alla tua Legge,
nell’amore per la tua Parola,
nella quale si trovano la Vita e la vera Pace
e la Gioia del cuore senza fine. Amen!

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