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Lunedì, 02 Marzo 2020 10:44

150 anni di custodia

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di Paolo Antoci

L’8 dicembre 1870 papa Pio IX, con il decreto Quemadmodum Deus della Sacra Congregazione dei Riti, proclamava san Giuseppe Patrono della Chiesa universale, suggellando così, in maniera ufficiale, l’intuizione spontanea e vissuta del popolo di Dio che da secoli aveva considerato il patrocinio universale del Santo come il prolungamento normale della sua provvidenziale missione di capo della Sacra Famiglia, culla e modello della Chiesa. «In tempi difficili per la Chiesa Pio IX, volendo affidarla alla speciale protezione del santo patriarca Giuseppe, lo dichiarò Patrono della Chiesa cattolica.

Il Pontefice sapeva di non compiere un gesto peregrino, perché a motivo dell'eccelsa dignità concessa da Dio a questo suo fedelissimo servo, “la Chiesa, dopo la Vergine Santa, sposa di lui, ebbe sempre in grande onore e ricolmò di lodi il beato Giuseppe, e di preferenza a lui ricorse nelle angustie”» (RC 28). I motivi di tanta fiducia li esporrà poi papa Leone XIII nella prima enciclica in assoluto dedicata a san Giuseppe, la Quamquam pluries (1889). L’anno giubilare giosefino aiuti tutta la Chiesa a far tesoro della plurisecolare venerazione del popolo cristiano verso il santo Patriarca, nonché a dedicarsi a un serio approfondimento sulla figura e la missione dello Sposo di Maria nella storia della salvezza per nutrire un’adeguata spiritualità giosefina accanto a quella mariana. Il nuovo apporto giosefologico, dal 1870 ad oggi, con i recenti pronunciamenti magisteriali di Giovanni Paolo II e di papa Francesco, ha fatto sì che la figura del Carpentiere di Nazareth uscissero fuori dalle solite e riduttive considerazioni pietistico-moraleggianti; non una visione devozionale, dunque, che ha sempre considerato il Santo come ‘muto vecchietto bonaccione’, ma una lettura cristocentrica della sua vita, scritturistica e dottrinale, che lo ripresenti a pieno titolo nel mistero storico-salvifco come vero Sposo di Maria, Padre di Gesù, Capo della Sacra Famiglia, ministro dell’Incarnazione e della Redenzione come nessun altro uomo. «Ritengo, che il riconsiderare la partecipazione dello sposo di Maria al riguardo ­– scriveva Giovanni Paolo II nella Redemptoris custos – consentirà alla Chiesa, in cammino verso il futuro insieme con tutta l'umanità, di ritrovare continuamente la propria identità nell'ambito di tale disegno redentivo, che ha il suo fondamento nel mistero dell'Incarnazione. Proprio a questo mistero Giuseppe di Nazaret «partecipò» come nessun'altra persona umana, ad eccezione di Maria, la madre del Verbo incarnato. Egli vi partecipò insieme con lei, coinvolto nella realtà dello stesso evento salvifico, e fu depositario dello stesso amore, per la cui potenza l'eterno Padre «ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo» (Ef 1,5) (RC 1). La Quemadmodum Deus è stata una delle prime tappe significative riguardante il magistero pontificio su san Giuseppe, seguita l’anno successivo dalla lettera apostolica Inclytum Patriarcham con la quale gli si riconosce un culto superiore agli altri santi con alcune prerogative di carattere liturgico, oggi nuovamente sottolineate da papa Francesco. 

Con la solenne proclamazione Pio IX non conferiva affatto una dignità e una carica nuova a san Giuseppe, ma in realtà proclamava all’attenzione di tutta la Chiesa una verità già esistente. E’ infatti l’estensione logica del mistero dell’Incarnazione, il prolungamento normale della specifica missione affidata a san Giuseppe che egli compì nel piano redentivo. Pio IX ha voluto riconoscere nel giusto Giuseppe la sua singolare grandezza e la sua santità, come anche la sua gloria e potenza in cielo; per questo può ritenersi il primo e principale Patrono di tutta la Chiesa. «Questo patrocinio deve essere invocato ed è necessario tuttora alla Chiesa non soltanto a difesa contro gli insorgenti pericoli, ma anche e soprattutto a conforto del suo rinnovato impegno di evangelizzazione nel mondo e di rievangelizzazione in quei “paesi e nazioni dove la religione e la vita cristiana erano un tempo quanto mai fiorenti”, e che “sono ora messi a dura prova”» (RC 29).

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