Così avviene nel momento in cui si affaccia la malattia; l’incertezza del futuro ci fa paura e sentiamo il bisogno della solidarietà di tutto il mondo che ci circonda: dai familiari ai medici. Lo sguardo inanella una catena di volti che scrutiamo con fiducia per attingere coraggio, forza e speranza.
C’è un lungo elenco di verbi che fanno da comun denominatore del vivere umano e questi verbi sono: «soffrire, patire, penare, affliggersi, singhiozzare, piangere, lamentarsi, gemere». Un antico poeta Plinio il Vecchio scriveva che «solo l’uomo alla nascita, nudo sulla terra nuda, si abbandona subito ai vagiti e al pianto e nessun animale più di lui sarà incline alle lacrime e questo fin dall’inizio della vita».
Uomini e donne di tutti i tempi si sono chiesti se «in cielo ci sarà un Dio che accolga queste lacrime». Noi sappiamo per fede che Dio raccoglie le nostre lacrime e le conserva con gelosia come segno concreto delle nostra fiducia in lui. Le nostre lacrime si sono mescolate e divinizzate con quelle di Gesù che ha pianto sul suo popolo ingrato, rappresentato da Gerusalemme, e ha pianto nell’Orto degli ulivi, quando ha chiesto a Dio se fosse stato possibile risparmiarle quell’agonia. La risposta del Padre fu il silenzio. Lo scrittore Paul Claudel poeta, convertito al messaggio di Gesù, un giorno ha scritto: «Dio non è venuto a spiegare la sofferenza, è venuto a riempirla con la sua presenza». Tutti noi abbiamo l’esperienza di aver scoperto nei momenti di difficoltà una forza misteriosa, quasi impercepibile che ha attraversato la tempesta della vita e ha illuminato di nuovo l’aurora del vivere.
Da questa comune esperienza di aiuto ricevuto, dobbiamo attingere la forza per essere accanto a chi vive momenti di disagio, capaci di trasfondere quei benefici che la gratuità divina ha fatto godere in noi stessi o nelle persone che condividono il cammino della vita.
Il male non ha una spiegazione, il ripiegarsi su se stessi per cercarne una ragione è tempo perso. «Il male è fatto perché ci si rimboccarci le maniche e si lavori per combatterlo», donando gratuitamente quell’energia che gratuitamente abbiamo ricevuto e di cui godiamo. Il dono di un’amicizia amorevole è una terapia insostituibile e formidabile.
Nella vita dello scrittore Ennio Flaviano è rimasto nascosto in un cassetto l’inizio di una sceneggiatura di un film al quale il celebre giornalista aveva iniziato a scrivere. Nel 1942 gli era nata una figlia, Luisa, che verso gli otto anni le si era manifestata un’encefalopatia. La mamma l’ha curata amorevolmente e Luisa è vissuta sino all’età di cinquant’anni.
Nel 1960 Flaviano aveva pensato ad un romanzo-film. In questo abbozzo c’era la scena in cui si immaginava il ritorno di Gesù sulla terra. Gesù snobbava i fotografi, i giornalisti e cineoperatori, era attento soltanto agli ultimi e ai malati. «Ed ecco un uomo condusse a Gesù la figlia malata e gli disse: “Io non voglio che tu la guarisca, ma che tu la ami”. Gesù baciò quella ragazza e le disse: “In verità quest’uomo ha chiesto ciò che io posso dare”. Così detto, sparì in una gloria di luce, lasciando la folla a commentare i suoi miracoli e i giornalisti a descriverli».
Questa facoltà di amare è un dono gratuito che Dio ha seminato nel cuore di ogni persona. Più lo si coltiva e più cresce e dona frutti.
Ci sono fratelli e sorelle che aspettano per diritto naturale questo credito di amore.