Il suo sogno era offrire ai ragazzi dell'abbandono un tetto e una mamma. Non un collegio.
Inventò per loro una città nuova, che si chiama Nomadelfia, un nome che significa tutto un programma: la città in cui amore fraterno, appunto, è legge. Una cosa dell'altro mondo! Era l'espressione abituale sulle labbra di questo prete che ha rivoluzionato il modo di concepire la vita comunitaria, realizzando un progetto antico quanto la Chiesa. Don Zeno, che si era laureato in giurisprudenza all’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano per difendere i poveri, non era il prete che predicava bene a razzolava male. «Incominciò a fare e ad insegnare». Quello che proponeva al popolo (parola ricorrente nei suoi discorsi ma con intonazioni tutt'altro che tribunizie) era quanto egli stesso praticava, pagando di tasca propria, senza ribellioni perché - come disse al card. Ottaviani - "la Chiesa mi scorre nel sangue". Un foglio comunista di allora definì don Zeno "un rivoluzionario con l'imprimatur". Una definizione appropriata, ma non nel senso voluto dall'articolista. Molti lo definiscono un sognatore d'altri tempi. Il suo è stato il sogno che ebbero già gli Apostoli all'indomani della Pentecoste, e che naufragò perché la prima comunità cristiana di Gerusalemme non aveva alle spalle la secolare esperienza di conflitti sociali dell'uomo d'oggi. Don Zeno realizzò quel sogno che pareva impossibile perché marcia in senso contrario al tenace individualismo radicato nell'uomo, in tutti i tempi. Un sogno vincente perché Nomadelfia è "solo una proposta" rivolta a quanti sanno scegliere evangelicamente la parte migliore in una forma del tutto nuova.
Don Primo Mazzolari, un altro profeta dei nostri tempi, parlando di don Zeno nell'ora più buia della sua vita, dopo aver premesso che Nomadelfia non era esente da difetti, definisce magnifica seppur complessa la personalità di don Zeno, e soggiunge «egli rimarrà, nonostante certe incompostezze di temperamento e di linguaggio, uno degli uomini che, agli avamposti, hanno servito con fedeltà la causa della Chiesa e dei poveri». Anche a questo prete di “periferia” papa Francesco ha reso omaggio come ad un profeta che ha saputo percepire i desideri dello Spirito.
Personaggio scomodo, don Zeno va interpretato com'egli stesso si definiva in una lettera indirizzata a Pio XII: "Rivoluzionario di Dio", per quel suo anelito di riportare le masse popolari alla Chiesa non con illusori richiami, ma puntando concretamente sulla giustizia "distributiva", premessa alla possibile fraternità tra tutto il popolo. La parola fraternità non dev'essere un'opzione, cioè una scelta preferenziale per un cristiano, ma una legge dove l’amore si fa grammatica dell’agire. Come tutti i personaggi scomodi, don Zeno ebbe più dissensi che consensi. O meglio, com'egli spesso lamentava, chi applaudiva quando le cose andavano bene, non esitava a condannarlo quando le cose si mettevano male.
Il bel sogno si traduceva immancabilmente in utopia.
Oggi che il sogno si è avverato e i consensi si sono fatti unanimi, riscopriamo in don Zeno il lottatore vittorioso su un avversario duro a crollare al tappeto, come l'individualismo in tutti gli ambiti della vita familiare, religiosa, sociale, nazionale.
Questo “bastian contrario” del quieto vivere, del vivere e del lasciar vivere, ha gettato più di un sasso nelle acque stagnanti della vita civile e religiosa, precorrendo i tempi nuovi.