Anche don Guanella ha percorso tante strade prima di arrivare a trovare il fondamento adatto per iniziare la sua avventura di amore con persone chiamate da Dio a condividere quella pulsione di carità verso il prossimo bisognoso. Ha bussato alla porta di don Bosco, ma dopo tre anni il suo vescovo l’ha rivoluto in diocesi. Ha iniziato alcune attività caritative, ma sono fallite. «L’ora della misericordia», come lui chiamava lo starter per avviare alla sua azione benefica, è scoccata quando il filo luminoso della Provvidenza l’ha portato sulla riva di un lago e da lì una nuova “Arca di Noè” ha iniziato a solcare le acque del bisogno e ad abbracciare i poveri.
Su altre acque e in altro mare una zattera con una giovane donna era in balia di onde e cercava un porto cui attraccare e far fiorire benessere fisico e spirituale per giovinette disagiate. Su quella zattera viaggiava Clelia Merloni, vogliosa di far del bene e in cerca di una casa di accoglienza. Il 14 agosto 1892, la vigilia dell’Assunzione l’ipotetica zattera ormeggiò sulla sponda del Lago a Como; Clelia Merloni bussò alla porta delle Figlie di Santa Maria della Provvidenza e fu lo stesso Fondatore, don Luigi Guanella (1842-1915), ad accoglierla di persona. Don Guanella intuì in questa giovane donna qualcosa di diverso dalle altre ed ebbe la sensazione di trovarsi davanti a un'anima particolare.
Il lavoro in quella casa non mancava, Clelia cominciò a vivere in pienezza la consacrazione a Dio, dedicandosi ai compiti che i superiori le affidavano. In particolare, si occupò delle orfane «che preparava tra l'altro ad animare la liturgia domenicale con i canti. Insegnava loro il catechismo, la lettura, i lavori domestici e il calcolo. Per meglio assistere le orfanelle, scelse di dormire accanto a loro in una cameretta vicina al dormitorio. Divenne così come una mamma per queste poverette che mancavano di tutto. Cercava di compensare con il suo amore a tanta solitudine e alla carenza di affetto di queste piccole abbandonate e impaurite». Come affettuosa sorella maggiore le trattava con dolcezza, le stava vicino, le ascoltava. Cercava di riempirle di attenzioni e di cose necessarie alla vita quotidiana. La povertà era gigantesca la popolazione comasca conosceva e ammirava l’opera di don Guanella e l’aiutava. A volte bisognava aiutare a fare del bene e così Clelia, pur di estrazione sociale borghese, non ha esitato a stendere la mano e andare alla questua nei vari negozi della città per chiedere vestiti, alimenti, libri, e ogni cosa che potesse servire. Da subito, per il suo portamento gentile e garbato, in giro per la cittadina di Como era conosciuta come la suora di grande cuore e nessuno si tirava indietro quando chiedeva qualcosa per quelle povere orfanelle.
Purtroppo, quando sembrava che avesse trovato la sua strada per realizzare il sogno di consacrarsi a Dio, come in passato, la sofferenza bussò ancora una volta alla sua porta. Poco dopo più di un anno di permanenza a Como, verso la fine del 1893, a causa del tanto lavoro e degli strapazzi suor Clelia si ammalò gravemente di tubercolosi. Il medico della casa, dopo averla visitata, chiamò la superiora e le disse che, visto l'avanzamento della malattia e l'impotenza delle cure, nel giro di pochi giorni Clelia sarebbe morta. Fu così che le vennero amministrati i sacramenti. Il padre confessore nel confortarla, intuì che quella giovane suora aveva un tesoro nascosto nella sua anima e che, forse, e forse Dio aveva un progetto particolare di Dio su di lei. Come nei primi anni di sacerdozio don Guanella sentiva un forte appello a fondare qualcosa di stabile per i poveri anche la giovane Clelia avvertiva l’impulso a fondare un'opera di carità dedicata al Cuore di Gesù. Da subito le suore guanelliane iniziarono a pregare per la guarigione della loro consorella e coinvolsero anche le orfanelle iniziando una novena alla Madonna. Era una scommessa: dall'esito delle preghiere si sarebbe compreso il disegno di Dio su di lei: se doveva fondare l'opera dedicata al Cuore di Gesù.
L’intercessione della Madonna della divina Provvidenza è stata potente e al termine della novena Clelia guarì perfettamente.
Questo evento suscitò stupore in tutta la comunità e la prima reazione fu di innalzare un inno di gratitudine al Signore per la grazia concessa. Davanti al quadro raffigurante l'immagine della Madonna, Clelia fece voto di mantenere sempre accesa una lampada a olio in ricordo di quel miracolo.
Da quel momento, le cose cambiarono. Il suo padre spirituale da quella guarigione straordinaria capì che Dio desiderava qualcosa di diverso da quella giovane suora. I segni della volontà di Dio erano evidenti. Clelia da parte sua, con quella guarigione e il discernimento dei superiori, si sentì confermata nel suo intento di essere chiamata a fondare un'opera dedicata al Cuore di Cristo.
Il grande desiderio che l’animava era condurre le anime a far conoscere l'amore e le ricchezze del Cuore Divino. Sentiva impellente il bisogno di trasmettere ai fratelli e alle sorelle il messaggio di Santa Margherita Maria Alacoque: il Cuore trafitto di Gesù cerca anime da amare e da cui essere amato. Viveva questa spiritualità come una missione e si sentì pronta a iniziare una nuova avventura secondo il volere divino.
Proprio in quegli anni don Guanella sognava la costruzione del santuario dedicato al Cuore di Gesù. Clelia si confidò con don Guanella, il quale la confermò nel progetto e acconsentì che si dedicasse a tempo pieno alla nuova missione di portare l’amore di Dio ai lontani.
Dio non sogna realtà isolate e autonome, ma sempre in comunione e sinergie di forze. La nuova fondazione di suor Clelia Merloni trovò alleati tra gli stessi amici di don Guanella come il cardinal Ferrari e mons. Scalabrini, vescovo di Piacenza e compagno di studi di don Guanella al seminario di Como.
Monsignor Scalabrini aprì le porte della sua diocesi e il vento dello Spirito Santo soffiò verso le sponde dell’Oceano Atlantico sulle rotte degli emigranti italiani.