Nota con acume C.S. Lewis: «Il due, lungi dall’essere il numero distintivo dell’amicizia, non è nemmeno il più congeniale a questo tipo di legame. Se di tre amici (A, B e C) A dovesse morire, allora B perderebbe non soltanto A, ma anche “la parte di A in B”. In ciascuno dei miei amici c’è qualcosa che solo un altro amico sa mettere pienamente in luce. Da solo non ho la grandezza sufficiente per stimolarlo ad agire al meglio delle sue possibilità; ho bisogno di altre luci, a sostegno della mia, per illuminare tutte le sue sfaccettature. Ora che Charles è morto, non vedrò più le reazioni di Ronald a una tipica battuta “da Charles”. Non è affatto vero che ora che Charles se n’è andato Ronald è più mio, in quanto è tutto “per me”; la verità, semmai, è che ora ho meno anche di Ronald. L’amicizia rivela una piacevole “vicinanza per somiglianza” con lo stesso paradiso, dove proprio la moltitudine dei beati (il cui numero sfugge qualunque calcolo umano) accresce il godimento che ciascuno ha di Dio. Ogni anima, infatti, Lo vede in maniera personale, e comunica poi questa sua visione unica a tutte le altre. Più divideremo tra noi il pane celeste, più ne avremo per cibarcene».
L’amicizia è inoltre fondamentalmente caratterizzata dal non possesso: si può viverla soltanto all’insegna della gratuità, ed è in questo una radicale contestazione della cultura consumista; le relazioni non possono essere inquadrate nella logica dell’avere.
Chi insiste troppo sul pericolo delle amicizie o sulle delusioni che possono comportare fa sorgere il sospetto di non aver mai avuto un vero amico, e di essere geloso. L’amicizia non diminuisce moltiplicandosi, a differenza dell’amore sponsale che richiede il dono della totalità di sé ad una sola persona: l’amore sponsale, a differenza dell’amicizia, si spegne e muore quanto più viene esteso e condiviso ad altri, mentre la comunità di amici ha una grande potenza comunicativa e di testimonianza evangelizzatrice nei confronti della società circostante. Come nota sempre Lewis: «L’amicizia è il meno geloso degli affetti. Due amici sono ben lieti che a loro se ne unisca un terzo, e tre che a loro se ne unisca un quarto, a patto che il nuovo venuto abbia le carte in regola per essere un vero amico. Essi potranno dire allora, come le anime beate in Dante: “Ecco che crescerà li nostri amori”, poiché in questo amore “condividere non significa perdere”».
Non è un caso che questo sia anche il comandamento che Gesù ha dato ai suoi come segno di riconoscimento specifico nei confronti del mondo. Prima che di una correttezza dottrinale o di fedeltà alle regole, Gesù si è preoccupato anzitutto che i discepoli si amassero come lui li aveva amati. Si mostra qui la grande differenza, a livello di efficacia, tra le tante proposte utopiche e ideologiche di impegno per la società e un ambiente permeato dall’amicizia. Precisa ancora Lewis: «Sono i piccoli cenacoli di amici che voltano le spalle al mondo, quelli che realmente lo trasformano. La matematica degli egiziani e dei babilonesi era una scienza pratica e sociale, posta al servizio dell’agricoltura e della magia; ma la libera matematica dei greci, coltivata da amici che la consideravano un passatempo, ha avuto per noi un’importanza assai maggiore».
Queste considerazioni potrebbero essere ricche di applicazioni nel campo della pastorale vocazionale: invece di moltiplicare all’infinito complesse analisi e progettazioni, forse la prima priorità da tenere presente è che le nostre comunità siano comunità di amici dove traspare l’amore del Signore. Questo non mancherà di portare i suoi frutti perché mostra nella quotidianità concreta la bellezza della vita religiosa, mostrandola come una vita degna di essere vissuta.
L’amicizia, anche nella vita consacrata, rappresenta dunque un dono grande che il Signore offre a chi lo segue, a chi per lui ha lasciato padre, madre, casa e la propria terra; essa è anche un segno concreto del centuplo promesso fin da quaggiù (Mt 19, 29).