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Sabato, 04 Novembre 2017 13:25

Trasmissione radio - settembre 2018

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Ascolta ora!

Un ben trovati a tutti. E’ sempre una gioia poter e condividere i nostri sentimenti, raccontando a persone disponibili all’ascolto come terra assetata – come afferma un salmo - che ricevono il refrigerio di un acqua dal sapore di eternità.

In questo appuntamento mensile di preghiera, di riflessione e di contemplazione il mio desiderio è quello di offrire a me stesso e a chi ascolta quel supplemento d’anima che ci permette di guardare il nostro futuro con coraggio e fiducia sulla testimonianza di fede di san Giuseppe che ha saputo vedere anche nella vicende oscure della sua vita una mano che scriveva  parole di luce cariche di futuro positivo. 

Questo lo dico per le persone che si trovano in situazioni di difficoltà con la salute fisica e morale, per chi è nel disagio a causa di relazioni difficili con il prossimo: con i parenti, i figli, tra gli stessi coniugi, i vicini di casa, i condomini. 

 Questo raccontarsi vuole essere una manciata di lievito evangelo per far fermentare di speranza l’orizzonte buio dell’esistenza.

 Qualche volta il nostro animo riflette l’espressione del salmo 44 quando il salmista si rivolge a Dio e dice: «Perché, o Dio, nascondi il tuo volto, perché dimentichi la nostra miseria ed oppressione? Perché siamo prostrati nella polvere, il nostro corpo è steso a terra. Sorgi vieni in nostro aiuto; salvaci per la tua misericordia».

  Allora all’inizio di questa trasmissione, raccogliamo i nostri sentimenti più nobili e, come un fiore si apre al calore del sole, anche noi rendiamoci disponibili a lasciarci riscaldare e lavorare dalla bontà divina per il nostro bene.

 Sappiamo che  la preghiera ha bisogno di poche parole ma di tanti sentimenti.

Il primo sentimento è quello dell’adorazione e della apertura fiduciosa a Dio. 

 O Signore, Dio nostro, siamo qui davanti a te per chiederti il dono della pace, della sapienza e della forza per raggiungere quei doni che ci riservi. Questi doni richiesti li mettiamo nelle mani di san Giuseppe perché ci faccia da intermediario.

 Carissimo San Giuseppe,

in questo primo mercoledì di settembre siamo quasi alla vigilia del compleanno della tua dolce sposa Maria. In paradiso nella liturgia celeste angeli, santi, beati e le anime che popolano il cuore di Dio sono nel canto per esprimere a Dio-Padre la gratitudine di aver pensato ad una creatura umana per far nascere il suo Figlio Gesù tra noi.

 Chi ha avuto la sorte di aver studiare ha nella memoria le parole del poeta Dante riguarda alla Vergine Maria. 

Ricordiamo quando  dice: «Vergine Madre, figlia del tuo figlio,

 umile e alta più che creatura, termine fisso d’eterno consiglio, 

tu sei colei che l’umana natura che hai nobilitato tanto che lo steso Creatore non disdegnò di voler fare anche lui l’esperienza della nostra vita umana.

Donna sei tanto grande e tanto vali che chi desidera una grazia e non vuol passare nei tuoi sentimenti sarebbe come un uccello che pretendesse di volare senza avere le ali.

La tua bontà non soccorre soltanto  chi chiede, ma molte volte precorri le nostre esigenze.

Tu, Vergine santa, sei la somma di tutta la bontà che Dio ha seminato nel cuore umano.

 Allora, caro San Giuseppe, eccoci in tua compagnia per rinnovare lo stupore dei nostri occhi, che conservano la bellezza del volto dolce e materno della vergine Maria. 

La tua sposa ai piedi della Croce è diventata anche la nostra Madre: lo ha detto Gesù a San Giovanni che in quel pomeriggio nero, il più triste della storia umana, era là ai piedi della croce a rappresentare l’intera umanità e Gesù ha consegnato tutti noi alla custodia della Vergine Maria. 

In quella occasione anche tu, San Giuseppe, sei stato coinvolto e tutti noi battezzati siamo sotto il tuo patrocinio, la tua custodia,  e con te siamo diventati il prolungamento  di Gesù nella storia umana. 

   Iniziamo questo mese di settembre come un momento di progettazione per il nuovo anno sociale per noi e anche di promulgazioni dei programmi pastorali nella nostre parrocchie.

Sabato nel duomo di Milano, dedicato a Maria nascente, come è tradizione l’arcivescovo mons. Mario Delpini renderà pubblico il programma della chiesa ambrosiana per il prossimo anno sociale.

 Accanto alle programmazioni delle nostre parrocchie si risveglia la impazienza del vivere in modo proficuo. 

In questi giorni si aprono le scuole, nei giorni scorsi si sono aperte le fabbriche. Negli uffici sono stati riaccesi i computer e i ragazzi si piegano sui libri e sui quaderni e chi ancora può godere gli spiccioli della vacanza si affretta a completare i compiti.

 Come un’onda marina le nostre città si sono riempite di automobili e la vita ricomincia a pulsare.

  In questa vigilia di festa della tua cara sposa, siamo qui davanti a te, o car san Giuseppe, per raccontarti la nostra vita, gli affanni e le soddisfazione, le preoccupazioni e le speranze. Vogliamo confrontare alla luce della tua esperienza di fede i sentimenti che oggi attraversano il nostro animo.

Non possiamo nascondere la preoccupazione di tante persone che iniziano la nuova stagione lavorativa con un orizzonte carico di nuvole nere, minacciose di licenziamenti, di contratti part-time, di cassa integrazioni, di disoccupazione.

 Molti giovani rimangono in attesa di un lavoro, molti anziani  arrivano a fatica a fine mese con i soldi della pensione.

Anche tu, o San Giuseppe, hai vissuto momenti di difficoltà, nei primi anni della vita di Gesù, nelle tue peregrinazioni - da Nazareth e Betlemme, da Betlemme in Egitto, di ritorno dall’Egitto verso la casa di Nazareth – hai dovuto cercare qualche lavoretto, per sfamare Maria e il piccolo Gesù. 

Nei vangeli tu sei chiamato “il carpentiere”, l’uomo dalle mille abilità. Certamente, anche per te, non tutti i giorni ti capitava qualche lavoretto per guadagnare il necessario per vivere, qualche giorno sarai stato senza lavoro e avrai esperimentato il disagi di non avere soldi per acquistare il cibo. 

La preghiera popolare del Sacro manto nasce proprio dalla leggenda di un tuo momento di disagio economico, quando  dovesti dare in pegno lo scialle della tua dolce e amata sposa, Maria.

  I vangeli apocrifi, questi racconti fantasiosi, nati dalla fede, narrano del soccorso della Provvidenza, di angeli, ma sono state le tue mani laboriose a risolvere tanti problemi. La tua laboriosità ha aiutato il cielo ad aiutarti. Non ti sei mai rassegnato, hai affrontato il disagio con dignità. 

Per questa tua condivisione, partecipazione al mondo del lavoro, ti vogliamo pregare per tutti i lavoratori nelle fabbriche, per le persone in difficoltà, affinché dalla risorse interiori di ognuno possa nascere quell’energia e quella creatività capace di creare partecipazione alla gioia di vivere. 

Preghiera di Paolo VI

 

 Siamo alla vigilia, anche se un po’ remota di due grandi eventi che ci riguardano da vicino: il primo è il sinodo dei vescovi che avranno al centro dei loro lavoro e nel cuore delle loro preghiera i giovani e il secondo è la canonizzazione di papa Paolo VI.

 Incominciamo abbracciando il sinodo con il calore della nostra preghiera marciano verso il futuro con la bussola dei giovani. Papa Francesco alcuni mesi fa aveva inviato una lettera ai giovani esprimendo i suoi desideri e le speranze. 

In quella lettera tra le altre cose diceva: 

Carissimi giovani,

“Ho voluto che foste voi al centro dell’attenzione perché vi porto nel cuore” come “un Padre che vi invita a uscire per lanciarvi verso un futuro non conosciuto ma portatore di sicure realizzazioni. 

Vi invito ad ascoltare la voce di Dio che risuona nei vostri cuori attraverso il soffio dello Spirito Santo”.

Sull’esempio della chiamata di Abramo, “per noi oggi la terra nuova” è “la società più giusta e fraterna che voi desiderate profondamente e che volete costruire fino alle periferie del mondo”.

“Anche a voi Gesù rivolge il suo sguardo e vi invita ad andare presso di lui … Ciò sarà possibile nella misura in cui, anche attraverso l’accompagnamento di guide esperte, saprete intraprendere un itinerario di discernimento per scoprire il progetto di Dio sulla vostra vita”.

“Vi ho chiesto più volte: «Le cose si possono cambiare?». E voi avete gridato insieme un fragoroso «Sì». Ascoltate quel grido che sale dal vostro intimo”.

“La Chiesa desidera mettersi in ascolto della vostra voce, della vostra sensibilità, della vostra fede; perfino dei vostri dubbi e delle vostre critiche. Fate sentire il vostro grido, lasciatelo risuonare nelle comunità e fatelo giungere ai pastori”.

“Vi affido a Maria di Nazareth, una giovane come voi a cui Dio ha rivolto il Suo sguardo amorevole, perché vi prenda per mano e vi guidi alla gioia di un «Eccomi» pieno e generoso”.

A questi sentimenti il papa aggiungeva una preghiera affinché nella luce di Dio noi possiamo scoprire e vedere quella realtà che Gesù desidera costruire nel nostro futuro.

Signore Gesù,
la tua Chiesa in cammino verso il Sinodo
volge lo sguardo a tutti i giovani del mondo.

Ti preghiamo perché con coraggio
prendano in mano la loro vita,
mirino alle cose più belle e più profonde
e conservino sempre un cuore libero.

Accompagnati da guide sagge e generose,
aiutali a rispondere alla chiamata
che Tu rivolgi a ciascuno di loro,
per realizzare il proprio progetto di vita
e raggiungere la felicità.

Tieni aperto il loro cuore ai grandi sogni
e rendili attenti al bene dei fratelli.

Come il Discepolo amato,
siano anch’essi sotto la Croce
per accogliere tua Madre, ricevendola 

in dono da Te.

Siano testimoni della tua Risurrezione
e sappiano riconoscerti vivo accanto a loro
annunciando con gioia che Tu sei il Signore.

Il nostro cammino, sia in età giovanile, come da anziani, ma in particolare nell’età dell’adolescenza, ha sempre come meta la felicità, la gioia di vivere, ma i passi alla ricerca di motivazione per vivere con dignità e serenità la nostra esistenza non sempre sono pacifici.

Sempre siamo cercatori di felicità, appassionati e mai sazi. 

 Tutti siamo convinti che «la vita è il dono più grande». È un sogno da realizzare o è un sogno vuoto?

I giovani d’oggi sono come uccelli migratori, desiderano spostarsi da questo nostro mondo religioso a loro avviso troppo stretto verso nuove regioni e il sinodo nella fedeltà all’evangelo di Gesù è chiamato ad accompagnare questi giovani nelle loro migrazioni alla ricerca di modi  nuovi, più autentici per vivere la propria religiosità nella fede in Gesù. 


Leggiamo negli occhi degli adolescenti che si aprano alla vita questa tensione sul senso del vivere. I giovani nello loro irrequietezza troppe volte percepiscono la vita come un sogno vuoto. Si domandano: l’uomo la donna davvero sono fatti per ciò che è grande. Il papa dice:  «L’uomo è fatti per ciò che è grande, per l’infinito.

Per esperienza sappiamo che nella vita di ogni giorno non tutto  è grande e non tutto è semplice e facile. 

Il lavoro, la casa, i figli, il malessere. Dentro a questo tessuto, qualche volta ruvido e scomodo, tuttavia c’è un anima che ci suggerisce che tutto è grande e che sempre c’è un di più da scoprire, da realizzare.

 Una vita grande  non consiste nell’essere delle persone eccezionali, ma compiere quello che Dio ci suggerisce, nella trama corrente della vita.

Questa inquietudine ci accomuna tutti. Sembra quasi che sia la dimensione più forte e consistente dell'esistenza, il punto di incontro e di convergenza delle differenze. Non può essere che così: è la nostra vita quotidiana il luogo da cui sale la sete di felicità. Nasce con il primo anelito di vita e si spegne con l'ultimo. Nel cammino tra la nascita e la morte, siamo tutti cercatori di felicità.

Certo, questa esperienza comune si frastaglia in mille direzioni differenti. 

Tutti possiamo riconoscerci nel bisogno di felicità: ma quale felicità cerchiamo? come la cerchiamo? quali strumenti ce ne assicurano il possesso?  Gli altri, il mio prossimo, in questa appassionata ricerca, che posto hanno?

In questo nostro tempo di bassa pressione spirituale, sembra che sia diventato di moda accusare la tradizione cristiana di opporsi alla voglia di felicità, di guardare al futuro dimenticando il presente privandolo anche del passato, della storia, delle tradizione e della nobili passioni che hanno sostenuto le generazioni di ieri. 

Qualche volta è stato contestato ai credenti in Cristo l'eccessivo prezzo da pagare per assicurare la felicità. 

Qualcuno è arrivato alla decisione di dover liberare l'uomo da Dio per restituirgli il diritto alla felicità.

Mettere Dio fuori il gioco della nostra vita significa perdere il senso stesso del vivere: la sete di gioia diventa voglia di dominio sulle persone e quindi fonte di sofferenza per il prossimo.

 Nei giorni scorsi sant’ Agostino ci ha ricordato la sua amarezza di aver scoperto Dio, la sorgente delle gioia troppo tardi e pregava con questa preghiera:  

«Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo. E io, brutto, mi avventavo sulle cose belle da te create. Eri con me ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature, che, se non fossero in te, neppure esisterebbero. Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità. Hai alitato su di me il tuo profumo ed io l'ho respirato, e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace».

Stacco musicale

 Gesù quando torna  a Nazareth dopo aver compiuto alcuni miracoli è chiamato il figlio di Giuseppe il carpentiere. Gesù aveva fatto la gavetta e il suo apprendistato alla scuola di Giuseppe.

Nel mondo ebraico era obbligatorio che ogni persona imparasse un mestiere manuale.  Anche il rabbino Saulo, convertito sulla via di Damasco in Paolo, era tessitore.

Gli apostoli venivano tutti dal mondo del lavoro in maggioranza pescatori.

Noi entriamo nel mondo non con un debito da pagare ma con un patrimonio da offrire con il lavoro della nostre mani e della nostra intelligenza e con l’offerta del nostro cuore.

Le nostre azioni manuali  portano le impronte stesse di Dio. Madre Teresa di Calcutta diceva che le nostre azioni di carità verso il prossimo avevano impresse le impronte digitali di Dio; non dimentichiamo che la carità verso le persone ha lo stesso DNA di Dio perché Dio è amore. 

 Per esperienza sappiamo che  senza la presenza di Dio nella nostra vita tutto si fa ansia, paura. 

La paura della malattia, la paura grande della morte. Oggi si dice forte «Non si deve morire». La vita sembra un giocattolo in mano alla medicina.

 Quando si era giovani andavano di moda i cineforum. Tra i film più gettonati c’era il film del regista svedese Ingmar Bergam dal titolo Il posto delle fragole. Il protagonista un anziano medico, celebre luminare della medicina, durante un viaggio per recarsi a ricevere un premio alla sua carriera, sogna di essere interrogato all’università e si accorge di non sapere nulla. Allora gli viene chiesto il primo dovere del medico. Ma non se lo ricorda.  Allora  chi lo interrogava gli suggerisce: «Il primo dovere del medico è quello di chiedere perdono», perché nella vita umana e,  soprattutto, per le malattie esistono strade percorsi misteriosi che noi non conosciamo e neppure la scienza medica conoscerà mai.

 Questa affermazione non vuol dire rinunciare alla ricerca scientifica, ma avere la consapevolezza che la vita sempre, e per ogni persona, è un mistero singolare ed irripetibile che tante sfumature che solo Dio conosce. Dio Padre-creatore della vita- non possiede la fotocopia, ma ogni creatura è originale, irripetibile come le impronte digitali.

   Il pastore protestante Dietrich Bonhoeffer, morto nei campi di concentramento tedeschi il 25 aprile del 1945, ha lasciato scritto:« E’ buio dentro di me, ma presso di te, o Dio, c’è luce. Sono solo, ma tu non  mi abbandoni. Sono impaurito, ma presso di te c’è aiuto. Sono inquieto, ma presso di te c’è la pace.. In me c’è amarezza, ma presso di te c’è la pazienza. Io non comprendo le tue vie, ma tu conosci la mia via».   

  Qualche anno dopo gli avrebbe far eco il celebre  scrittore Thomas Merton quando  scriverà: «Avrò sempre fiducia in te anche quando potrà sembrarmi di essere perduto e avvolto nell’ombra della morte. Non avrò paura perché tu sei con me e so che non mi lasci solo davanti ai  pericoli». 

Potremmo far riecheggiare nel nostro spirito il salmo del buon pastore. Bisognerebbe abituarsi a guardare più spesso negli occhi Gesù il nostro buon pastore e ascoltare le sue parole in modo che il buio della paura e della solitudine ci ottenebri il cuore e la mente.

Spesso abbiamo bisogno di sentire le parole di un poeta che fa riecheggiare questa presenza amica che ci cammina accanto.

«Ovunque io vada tu sei il io compagno

Che mi tiene la mano e mi conduce.  Sulla strada in cui cammino tu solo sei il mio sostegno. Al mio fianco tu porti il mio fardello. 

Se camminando divago tu mi raddrizzi; hai spezzato le mie resistenze, o Dio, mi hai spinto in  avanti. Ed ora la tua gioia mi penetra e mi circonda e io sono come un bambino che gioca in una festa».

Qui mi ritorna alla mente la preghiera del beato cardinal Newman: 

Guidami Tu, Luce gentile,
attraverso il buio che mi circonda,
sii Tu a condurmi!
La notte è oscura e sono lontano da casa,
sii Tu a condurmi!
Sostieni i miei piedi vacillanti:
io non chiedo di vedere
ciò che mi attende all’orizzonte,
un passo solo mi sarà sufficiente.
Non mi sono mai sentito come mi sento ora,
né ho pregato che fossi Tu a condurmi.
Amavo scegliere e scrutare il mio cammino;
ma ora sii Tu a condurmi!
Amavo il giorno abbagliante, e malgrado la paura,
il mio cuore era schiavo dell’orgoglio;
non ricordare gli anni ormai passati.
Così a lungo la tua forza mi ha benedetto,
e certo mi condurrà ancora,
landa dopo landa, palude dopo palude,
oltre rupi e torrenti, finché la notte scemerà;
e con l’apparire del mattino
rivedrò il sorriso di quei volti angelici
che da tanto tempo amo
e per poco avevo perduto.

Allora chiediamo a san Giuseppe il suo aiuto, il suo sostegno e la sua intercessione presso Gesù e la raccomandazione che ci stia accanto in ogni momento del nostro vivere nella salute e nella malattia, nel pianto e nel sorriso.

 Supplica a san Giuseppe 

O augusto Protettore delle nostre famiglie, tu che hai scoperto il prezioso tesoro del silenzio, del raccoglimento, della vita interiore, riporta nelle nostre case il valore dello spirito, la preoccupazione del divino e dell'eterno, la ricerca sincera e generosa della santità. Aiutaci a guardare il cielo, a fissare le nostre povere pupille in alto, verso l'azzurro e la pace.

 Così più saporoso arriverà a tavola il nostro pane e una gioia radiosa brillerà negli occhi dei nostri figli.
Tu che sei il grande patrono dei lavoratori, fa' che coloro che faticano quaggiù nelle officine, nelle fabbriche, nei cantieri, nei campi, nelle scuole, sappiano trasformare in dono divino il sudore quotidiano. Riporta nei poveri cuori di chi non pensa più al tuo amato figlio Gesù, le virtù consolatrici della fede, della speranza e della carità.

 

Stacco musicale 

 Ora apriamo le labbra della nostra preghiera affacciandosi al panorama primaverile per la canonizzazione di un grande papa che ha accompagnato la Chiesa in momenti difficili e sanguinosi che fu la 2° guerra mondiale, il dopo guerra, ricostruzione dalle macerie di una follia che ha reso deserto e desolazione il cuore dell’Europa. E da ultimo, la conduzione del già avviato  Concilio Vaticano II in cui la Chiesa sempre di più si è fatta compagna di viaggio della popolazione mondiale condividendo gioie e speranze e gli inevitabili disagi della vita.  

 Paolo VI ha fatto in modo che le strade di Dio si incrociassero con quelle degli uomini e insieme dare un volto più umano alla storia. 

 San Giuseppe  ha lavorato nella sua officina di Nazareth nel silenzio, non c’era il rumore della macchine, ma solo il rumore dei chiodi sotto il battito del martello. In quella sua fatica quotidiana Giuseppe ci ha insegnato che il lavoro è un diritto dell’uomo e anche una responsabilità. Nell’ambito del lavoro entrano in gioco la nostra dignità di persone, il senso e la qualità della nostra vita, l'esercizio quotidiano della nostra relazione con gli altri.

 La negazione del diritto al lavoro, di cui soffrono ancora tante donne e uomini di questo tempo, specialmente fra i giovani, non ci può lasciare indifferenti.

Come discepoli di Gesù, il Figlio di Dio che «ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo » (Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 22), riconosciamo al lavoro una grande dignità, un significato profondo. 

Non dimentichiamo che nel lavoro impegniamo la  maggior parte della nostra esistenza. Se perdiamo il senso del lavoro, perdiamo il senso stesso della nostra vita.


 I vescovi italiani in una lettera ai cercatori di Dio si chiedono:

“In quali condizioni lavorare, per non diventare chiavi del lavoro e perché in esso si esprima la nostra dignità di persone? Ce lo chiediamo con l'ansia di chi non si accontenta di parole e riconosce di affrontare questioni vitali, personali e sociali. Non viviamo per lavorare, ma lavoriamo per vivere. Non lavoriamo per fare soldi - o almeno non dovremmo farlo solo per questo -, lavoriamo per vivere dignitosamente. Non lavoriamo solo per noi, ma per far vivere coloro che non sono ancora in grado di lavorare, i bambini, e coloro che non possono più lavorare, gli anziani. Il lavoro deve servire a realizzare la nostra dignità di persone. Non è una merce che si compra e si vende, ma un'attività umana libera e responsabile”.

 Nella piccola azienda di Nazareth San Giuseppe sapeva che gli strumenti del suo lavoro erano gli utensili di un artista che aiutava Dio a rendere migliore e più bello il mondo.

Mediante il lavoro l'uomo collabora con Dio nel portare a termine la creazione.

Lo riferisce una delle prime pagine della Bibbia. Dopo aver creato il mondo, Dio comanda all'uomo e alla donna: «Riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo...» (Genesi 1,28). Soggiogare la terra vuol dire prendere possesso dell'ambiente e governarlo, rispettando l'ordine posto in esso dal Creatore e sviluppandolo a proprio vantaggio,

per soddisfare i bisogni propri, della famiglia e della società. In questo consiste l'impresa della scienza e del lavoro per umanizzare il mondo, al fine di farne la dimora dell'uomo, una casa di giustizia, di libertà e di pace per tutti.

Quando Dio ha creato il mondo, non lo ha creato compiuto: la creazione non è finita. L'uomo ha preso possesso lentamente della terra, forgiandola, adattandola alle sue esigenze, sviluppando le potenzialità del creato per il suo bene e per la gloria di Dio. In modo particolare oggi stiamo assistendo a trasformazioni impensabili fino a pochi decenni fa. 

Non siamo però padroni del creato. Dobbiamo collaborare con Dio nel portarlo a compimento, rispettando la natura e le leggi insite in essa. Dio ci ha affidato il creato, perché potessimo custodirlo e perfezionarlo, non per sfruttarlo e manipolarlo a nostro piacimento. Ce lo ricorda ancora il libro della Genesi: «Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse » (2,15). Il lavoro — vissuto in condizioni rispettose della giustizia e della dignità umana, oltre che dell'ambiente affidatoci dal Creatore — è la via in cui l'uomo realizza questo compito.

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