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Giovedì, 03 Dicembre 2015 11:09

La fatica del vivere sulle spalle di Gesù

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La salita al Calvario: quarto mistero doloroso

di Ottavio De Bertolis

Nessuno di noi sale al Calvario volentieri: questo è certo, e c’è di che raffreddare le nostre emozioni illusorie. Del resto, tutto è scritto nel Vangelo: è il Cireneo uno che aiuta Gesù a portare la croce. Ma chi era questo uomo di Cirene, appunto, una regione, tra l’altro, semi pagana, dove il culto non poteva essere osservato in tutta la sua purezza legale, secondo cioè i precetti di Mosè? Era uno che ritornava dalla campagna, dopo una giornata di duro lavoro; si trovò di fronte una scena abbastanza normale per quei tempi, cioè uno squadrone di polizia che portava al supplizio un poveraccio, accusato di sedizione, dunque di avere cospirato contro il potere di Roma, inviso agli scribi e ai farisei, cioè in fondo alle persone più in vista e verosimilmente più pie di tutto Israele.

Che cosa avrà pensato, quando i Romani lo fermarono dal suo ritorno a casa, e lo caricarono di una pesante trave di legno? Non credo che sarà stato molto contento, e mi pare ragionevole pensare che lo avrà fatto di malavoglia. “Ma perché proprio a me è successa questa scocciatura, non mi bastavano i miei problemi?” – potrebbe avere pensato. “Ma non potevano prendere un altro, magari uno dei suoi discepoli, visto che ne aveva, che c’entro io, che voglio solo tornarmene a casa?”. Non so se avrà capito subito chi aveva davanti, e non credo che abbia immediatamente ricordato le parole stesse di Gesù: “Chi vuol venire dietro a me rinneghi se stesso prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. Eppure di fatto lui è stato il primo ad obbedire letteralmente a questo comando di Cristo stesso.

Tutto questo mostra chiaramente come le croci delle quali ci troviamo carichi, siano nostre oppure quelle di altri, non sono e non possono essere subito abbracciate con gioia. Sarebbe inumano pensarlo, e sarebbe una falsa mistica quella che fa appello a un malinteso senso di sacrificio per farci trovare bello quello che è evidentemente brutto. In realtà, di fronte alle croci ci rendiamo conto, quando lo Spirito ci ricorda le parole di Gesù, che quel che poteva essere una maledizione, e poteva essere vissuto solo come un peso schiacciante, può essere vissuto invece nella fede e nell’amore. E così penso che il Cireneo, magari non all’inizio della salita al Calvario, ma sicuramente alla fine, vedendo Colui al quale aveva controvoglia prestato il suo aiuto, si sia commosso per la sua sorte, e, anche senza sapere chi in realtà era, sia stato in fondo contento di averlo così consolato, anche se non poté fare in effetti niente per sollevarlo dalla sorte che lo attendeva. Anche a noi può accadere questo: se ci accostiamo al prossimo per sollevarlo, o se, più frequentemente, lui si accosta a noi per chieder aiuto, la nostra prima risposta può essere di fastidio o di ripulsa, ma possiamo anche lasciarci prendere dalla compassione, e vivere quel peso che ci è dato da portare come una grazia, e non come una dura necessità. E naturalmente anche quando ci capitano le nostre croci personali, quei pesi umilianti dei quali non riusciamo a liberarci, in generale tutte quelle realtà che ci schiacciano e contro le quali non possiamo fare niente. Intendo dire cioè che la Passione di Cristo trasforma in opportunità di bene quel che si presenta solamente come una dura ineluttabilità dal male. “Passione di Cristo, confortami”, diceva un’antica preghiera, e noi possiamo riprenderla, magari mettendo il verbo che preferiamo: sostienimi, illuminami, rafforzami, o quel che volete. Impariamo a vivere nella fede e nell’amore non solo il bene della vita, ma anche il male.

Risuonano ancora le parole del Signore: “Prendete il mio giogo su di voi, perché il mio giogo e dolce, e il mio carico leggero”. E quella trave della croce fu certo un giogo per il nostro Cireneo, il primo discepolo del Salvatore. Il giogo, nella Scrittura, è la disciplina, l’insegnamento del saggio; e così Gesù ci si presenta come la vera sapienza, che ci indica la vera strada. Se il mondo ci presenta la strada del comando, del successo, di un posto sempre più importante – e per questo ci propone dei gioghi veramente pesanti, impegni gravosi ed ardui che promettono di realizzare le nostre voglie – Gesù ci propone al contrario la strada del servizio, della fedeltà quotidiana, dello stare al proprio posto: sembra un giogo, ma è invece liberante, e solo chi è libero davvero può abbracciarla e perseguirla. E questo è dono della Verità, che è Gesù stesso: la verità infatti ci fa liberi, mentre il mondo mente ed inganna. Con le parole di sant’Ignazio: “di modo che tre siano i gradini: il primo, povertà contro la ricchezza; il secondo, ignominia o disprezzo contro l’onore mondano; il terzo, umiltà contro la superbia”.

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