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Giovedì, 07 Febbraio 2019 10:39

Gemma di una famiglia di santi piemontesi

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San Giuseppe Allamano

di Enrico Pepe

Giuseppe Allamano ci ricorda che per restare fedeli alla nostra vocazione cristiana occorre saper condividere i doni ricevuti da Dio con i fratelli di ogni razza e di ogni cultura; occorre annunciare con coraggio e con coerenza il Cristo ad ogni persona che incontriamo, specialmente a coloro che ancora non lo conoscono.

Fu veramente fortunato l’Allamano, perché nipote di un prete santo, Giuseppe Cafasso, e alunno di un educatore anch’esso santo, don Bosco, e di questa fortuna egli seppe approfittarne bene.

La preparazione

Era nato a Castelnuovo d’Asti il 21 gennaio 1851 da una famiglia dove di cristianesimo ci si nutriva come del pane quotidiano. Alla scuola di don Bosco imparò non solo l’amore allo studio delle scienze umane, ma anche l’amore a Dio e al prossimo da attuare sempre nella gioia. In questo clima fiorì spontanea in lui la vocazione al sacerdozio. Poteva entrare nella schiera dei salesiani, ma forse avendo davanti a sé la bella figura dello zio prete diocesano, entrò nel seminario di Torino e intraprese gli studi filosofici e teologici in preparazione al sacerdozio.

Furono anni di intensa vita spirituale e intellettuale: lo studio, soprattutto quello della teologia, lo affascinava e allo stesso tempo lo spingeva a fare del Vangelo la sua regola di vita. A 22 anni fu ordinato sacerdote, a 23 si laureò in teologia, a 25 fu scelto come direttore spirituale del seminario e a 29 gli veniva affidata la direzione del Santuario della Consolata e dell’annesso Collegio, dove i giovani sacerdoti completavano la loro formazione e facevano il tirocinio prima di essere immessi nel servizio pastorale delle parrocchie della Diocesi. Un compito delicato e importante dove aveva lavorato anche lo zio Cafasso.

Umanamente si potrebbe parlare di una veloce carriera ecclesiastica, ma in realtà il vescovo gli affidava un lavoro non facile: bisognava riportare il santuario e il convitto allo splendore dei tempi del Cafasso. Un’eredità che nulla aveva a che fare col carrierismo, ma richiedeva scienza, prudenza e santità.

Il giovane Allamano si pose subito all’opera: restaurò il santuario, particolarmente caro ai torinesi, e riorganizzò il convitto. In breve tempo la vita rifioriva sia tra i frequentatori del santuario che tra i neosacerdoti del collegio. Col suo approccio fraterno guadagnava la collaborazione spontanea di tanti.

Un cuore aperto sul mondo

Il suo sguardo non si limitava alla sua diocesi, perché gli ardeva dentro una fiamma incontenibile: portare il Vangelo a coloro che non lo conoscono ancora. Soffriva nel vedere che erano parecchi i giovani preti con questo stesso anelito, ma i vescovi avevano paura di lanciarli fuori dell’ambiente protettivo che allora ancora si aveva nelle strutture diocesane. L’evangelizzazione missionaria era compito difficile e richiedeva personale preparato allo scopo e poi ben accompagnato sul posto. E questo era ancora ritenuto compito esclusivo delle Congregazioni religiose nate allo scopo. Le diocesi avevano semplicemente l’obbligo di sostenere i missionari con la preghiera e le offerte.

L’Allamano si rese conto che in fondo i vescovi non avevano poi torto. E dopo aver lungamente meditato ed essersi consigliato su come rispondere a quanto lo Spirito gli urgeva nel cuore, cominciò a pensare nella possibilità di creare una Congregazione missionaria. Preparò un progetto, lo presentò a Roma e ricevette incoraggiamenti. Poi sopravvenne una serie di ostacoli che per ben dieci anni bloccarono la sua iniziativa. Egli non si perdette d’animo e nel 1901 ottenne finalmente l’approvazione diocesana. Nasceva così l’Istituto dei Missionari della Consolata.

Non  c’era tempo da perdere e preparò subito la prima spedizione missionaria che l’anno seguente partì per il Kenya. L’esperienza riuscì bene, ma si accorse che anche e soprattutto nelle missioni non bastava la presenza del sacerdote, occorreva– anzi era indispensabile – anche la presenza della donna. E appena nove anni dopo mise in atto la fondazione delle Missionarie della Consolata.

I cardini della sua spiritualità

Egli aveva idee chiare circa la formazione spirituale di chi va in missione: ci vuole innanzitutto una solida vita interiore. Egli diceva ai suoi: «Prima santi e poi missionari». Questi i 10 punti fondamentali della sua spiritualità:

  • 1. Elevatevi sopra le idee ristrette che predominano nell'ambiente.
  • 2. Amate una religione che offre la promessa dell'altra vita e vi rende più felici su questa terra.
  • 3. Scegliete la mansuetudine come strada di trasformazione.
  • 4. Puntate alla trasformazione dell'ambiente, non solo degli uomini.
  • 5. Siate forti, virili, energici nell'apostolato.
  • 6. Siate conche e non canali riguardo ai doni spirituali, canali e non conche riguardo ai doni materiali.
  • 7. Fate il bene e senza rumore.
  • 8. Cercate Dio solo e la sua volontà.
  • 9. Mettete la santità al primo posto.
  • 10. Non dite mai: non tocca a me.
  • Molto tempo prima del Vaticano II l’Allamano aveva intuito che evangelizzazione e promozione umana, rettamente intese, non sono due realtà che si ostacolano, ma si integrano, perché la vera evangelizzazione produce la promozione integrale dell’essere umano sia nel suo aspetto personale che sociale. La pienezza della vita evangelica, infatti, avviene nella comunità che incarna sulla terra la vita trinitaria. Per questo motivo egli volle che i suoi figli e le sue figlie fossero non solo persone sante, ma anche ben preparate sia nel campo strettamente religioso, sia nelle scienze umane. E ripeteva ai suoi missionari: «Il missionario ignorante è idolo di tristezza e di amarezza per l’ira di Dio e la desolazione del popolo».

Giuseppe Allamano morì il il 16 febbraio 1926 presso il santuario della Consolata e fu beatificato da Giovanni Paolo II il 7 ottobre 1990. 

Read 314 times Last modified on Sabato, 09 Febbraio 2019 14:29

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