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Mercoledì, 21 Dicembre 2016 11:00

Una vita come parabola della misericordia

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La chiamata di Matteo

di Madre Anna Maria Cánopi

«Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù» (Ef 2,19-20). Il Signore ha voluto costruire la sua Chiesa con pietre scelte da Lui, da Lui levigate, da Lui collocate al posto giusto nel grande edificio.

Una di queste pietre è l’evangelista Matteo. Su di lui, a conclusione del Giubileo della Misericordia, vogliamo fermare la nostra attenzione, quasi a ritrovare in lui una sintesi del cammino di grazia percorso in questo Anno, un’icona da custodire nel cuore per intraprendere «con entusiasmo il cammino missionario» che, varcando la Porta Santa, si è aperto davanti a noi, così da «portare a tutti la gioia del Vangelo, la misericordia e il perdono di Dio» (Papa Francesco, 8 dicembre 2015). Nel Vangelo da lui stesso scritto, Matteo si fotografa nel momento saliente della sua vita; un’istantanea di grandissima intensità. Passando lungo la strada, Gesù «vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi”. Ed egli si alzò e lo seguì» (v. 9).

L’istante fuggevole diventa per Matteo l’ora decisiva, perché non si lascia sfuggire il «momento favorevole». San Benedetto, nella sua Regola, raccomanda di compiere sempre all’istante ciò che giova per l’eternità, ossia di non perdere nessun istante della vita, perché in ognuno di essi è racchiuso un mistero di grazia. Occorre essere vigilanti, per saperlo cogliere. «A ciascuno di noi – dice san Paolo – è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo» (Ef 4,7). Matteo ha corrisposto generosamente alla grazia che ha ricevuto. Seduto al banco delle imposte, riscuoteva le tasse dal popolo a nome dell’impero romano, invasore. Per questo era odioso al popolo che lo considerava sia un traditore – in quanto collaborava con il potere straniero – sia ladro, perché cercava di guadagnarci personalmente truffando senza scrupoli, chiedendo più del dovuto, come facilmente si è tentati di fare quando si possono maneggiare i soldi senza essere controllati. Mentre era tutto intento a questo suo “lavoro” e pensava solo al proprio tornaconto, passa Gesù e lo chiama: «Seguimi!». Non dice una parola di più, ma quest’unica parola – che troviamo altre volte nel Vangelo – ha una forza imperiosa. Gesù, quando la pronunzia, la accompagna con uno sguardo intenso, con uno sguardo d’amore.

Dice bene Beda il Venerabile: «Lo guardò con sentimento d’amore e lo scelse». La forza del «Seguimi!» è tutta nell’amore con cui è stato pronunziato: solo perché è attratto da un più grande amore, Matteo riesce a lasciare il suo primo amore – il banco delle imposte – e a mettersi alla sequela di Gesù. Quel «seguimi», con la sua forza d’amore, continua a ripetersi nella storia della Chiesa, nei modi più imprevisti. Come sappiamo, Papa Francesco ha fatto delle parole di Beda il Venerabile il suo stesso motto e ha più volte ricordato l’evento decisivo: «Penso al confessore che incontrai nella mia parrocchia quel 21 settembre 1953, nel giorno in cui la Chiesa celebra san Matteo apostolo ed evangelista. Avevo 17 anni. Mi sentii accolto dalla misericordia di Dio confessandomi da lui, mi faceva sentire la misericordia di Dio, quel miserando atque eligendo, un’espressione che allora non conoscevo e che poi ho scelto come motto episcopale. L’avrei ritrovata in seguito, nelle omelie del monaco inglese, san Beda il Venerabile, il quale descrivendo la vocazione di Matteo scrive: “Gesù vide un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: “Seguimi”» (Il nome di Dio è misericordia, Piemme). E Matteo ha lasciato lì tutto. Questa è sempre l’esigenza della chiamata del Signore: «Lascia tutto e vieni con me!».

E la chiamata si rinnova ogni mattina: ogni giorno dobbiamo saperci staccare da quello che ci fa indietreggiare dinanzi alle esigenze del Vangelo e attaccarci fortemente a Gesù che ci porta avanti, sempre oltre nel dono di noi stessi. Il nome «Matteo» significa proprio «dono di Dio»: Matteo ricevette da Gesù il dono assolutamente inatteso della chiamata a seguirlo. Subito si alzò e lo seguì. E fu l’affare più vantaggioso della sua vita, il “guadagno” più prodigioso: perdere un po’ di soldi, per guadagnare Cristo, il Tesoro, la Vita. In cambio di tale dono, si fece egli stesso dono, si consegnò totalmente a Gesù, volle appartenere a Lui solo. Nel chiamare i suoi discepoli, Gesù non ha fatto distinzioni, non è andato a cercarli tra i dottori della legge, gli scribi o i farisei. No, ha chiamato quelli che ha trovato per strada, ha scelto quelli che altri avrebbero certamente scartato e che, addirittura, erano disprezzati, considerati ladri, peccatori. E così facendo, ci ha mostrato che la consuetudine di dividere le persone in categorie e classi sociali non ha nessun significato e nessun valore: il valore dell’uomo sta nel suo essere a immagine e somiglianza di Dio, nella sua appartenenza al Signore e nella sua fedeltà a questa appartenenza. Gesù stesso si è fatto uomo, si è fatto povero, si è fatto servo, si è abbassato e svuotato fino a consumare la sua vita sulla croce per la salvezza di tutti.

Ciascuno può riconoscere quanto il Signore sia stato magnanimo con lui e quanto lo sia sempre, di giorno in giorno, nel scegliere, nell’attirare, nel guidare, nel perdonare, nel compatire, perché, creature deboli e limitate, siamo sempre inclini a sbagliare, a ricadere, a ritirare la parola data. Ma Gesù continua a guardarci con amore, a sceglierci, ad invitarci alla sequela, a richiamarci al suo servizio, trasformandoci. Ogni giorno c’è una nuova chiamata e deve esserci una risposta immediata come quella data da Matteo, qualunque sia la nostra situazione, a qualunque banco delle imposte ci troviamo seduti, magari comodamente. Chiamato, Matteo subito segue Gesù con il cuore colmo di gioia, come dimostra il banchetto che offre al Maestro, invitando tutti i suoi amici, peccatori come lui.

E comincia così ad essere annunziatore del Vangelo, della buona notizia della salvezza. A lui, però, è stato dato non solo di seguire Gesù come apostolo, ma anche di tramandare il Vangelo per iscritto. Chi avrebbe potuto pensare che quell’uomo tutto intento a maneggiare il denaro, avrebbe ricevuto da Dio il compito così importante di annunziare il Vangelo ai poveri, agli umili, il Vangelo delle beatitudini? Veramente la parola del Signore fa nuove tutte le cose! Quel «Seguimi!» che Matteo ha ascoltato e al quale ha acconsentito, lo ha trasformato da uomo venale, alle ricerca delle cose di questo mondo, a uomo spirituale, tutto dedito al regno dei cieli, tutto dato agli altri. Matteo aveva sete di denaro e si dava da fare per accumularlo, quando ha incontrato Gesù è diventato lui stesso un’offerta e un dono.

Gesù, infatti, non chiama nessuno soltanto per se stesso, perché riceva un bene soltanto a proprio vantaggio. Quando chiama qualcuno, lo rende un bene per tutti, pane quotidiano spezzato per la fame di molti. Padre nostro che sei nei cieli e sempre segui con amore il nostro cammino su questa terra, donaci la luce del tuo Spirito per comprendere il tuo disegno su di noi. Matteo poteva essere un uomo ricco, ma sarebbe di fatto stato misero; chiamato da Gesù e avendolo seguito, divenne un bene anche per noi oggi: fa’ che anche noi, leggendo e rileggendo il Santo Vangelo, ci sentiamo attratti a seguire le orme di Gesù e ad annunziarlo fino agli estremi confini della terra.

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