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Giovedì, 04 Febbraio 2016 14:04

Popoli in cammino verso una fraternità possibile

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La «Gaudium et Spes»
La vita è sempre tempo favorevole

di Madre Anna Maria Cánopi

Con questa meditazione giungiamo alla conclusione del percorso che ci ha portati a rileggere mese dopo mese il testo conciliare della «Gaudium et Spes» cercando di trarne spunti di riflessione per vivere cristianamente la vita quotidiana. Verso la fine del documento si trova un invito che ci fa capire come proprio ora – nell’oggi di grazia che ogni mattino si rinnova – tutto debba iniziare. Dopo aver ampiamente parlato del dramma della guerra e dell’urgenza di trovare vie di pace, i Padri conciliari «in mezzo alle angosce del tempo presente» ripropongono con insistenza il messaggio dell’Apostolo: «“Ecco ora il tempo favorevole” per trasformare i cuori, “ecco ora i giorni della salvezza”» (GS 82; 2 Cor 6,1).

La parte finale del documento è un grandioso, accorato appello che stringe in un abbraccio di dimensioni universali i figli della Chiesa cattolica, i cristiani delle varie confessioni, i membri di tutte le religioni, e l’umanità intera: tutti, insomma, perché, ciascuno, secondo la propria indole e cultura, secondo le aspirazioni profonde dei cuori, si uniscano in fraternità e formino l’unica famiglia di Dio. Vorrei sottolineare alcune parole e indicazioni di questo appello conclusivo, perché siano di stimolo e di guida ad una testimonianza cristiana piena di gioia e carica di speranza in questo nostro tempo, non meno angoscioso e carico di interrogativi sul futuro dell’umanità, oggi come non mai minacciata dalle forze cieche del terrorismo e, in preda al panico, fortemente tentata di difendersi chiudendosi in se stessa, piuttosto che correre il rischio dell’amore.

La prima di queste parole è proprio cuore: l’edificazione della pace esige, infatti, innanzitutto che si estirpino dal cuore le radici velenose da cui spuntano i rovi e le spine della discordia: spirito di dominio, disprezzo delle persone, invidia, diffidenza, orgoglio e tutte le altre passioni egoistiche. Se non si affronta quotidianamente, nel profondo del proprio cuore, la lotta contro il peccato, inevitabilmente «il mondo, anche quando non conosce le atrocità della guerra, resta tuttavia continuamente in balia di lotte e di violenze», sempre come sotto la tensione di un temporale che sta per scoppiare. Come la lingua di cui san Giacomo dice che «è un membro piccolo ma può vantarsi di grandi cose» e provocare immani danni (cf. Gc 3,5-8), così anche il cuore è un membro nascosto, ma nel segreto si decide ciò che determina le azioni coinvolgendo non solo se stessi, ma anche gli altri. Non si ripeterà mai abbastanza che ognuno con le sue scelte e le sue azioni, anche le più piccole, si rende responsabile delle sorti del mondo intero.

È la grande dignità della persona umana, chiamata a cooperare con Dio al disegno della salvezza universale. La grandezza del compito esige davvero un cuore purificato attraverso l’ascolto della Parola di Dio e reso così capace di discernere la divina volontà; occorre un cuore compassionevole, attento alle esigenze dei fratelli, un cuore pronto al sacrificio, un «cuore – come diceva il beato Paolo VI – sensibile ad ogni bisogno; cuore pronto, ad ogni possibilità di bene; cuore libero, per voluta povertà; cuore magnanimo, per ogni perdono possibile; cuore gentile, per ogni finezza; cuore pio». Ma il cuore dell’uomo, ferito dal peccato, è fragile e facilmente incline al male. Per questo – ed ecco la seconda fondamentale indicazione che troviamo nel messaggio dei Padri conciliari – al fine di prevenire, arginare e far fronte allo scatenamento della violenza passionale, è molto importante il sostegno vicendevole, stimolandosi nella conversione e nelle opere di bene senza mai stancarsi, senza mai scoraggiarsi. È il primo passo, quello basilare, affinché gli sforzi sociali possano essere fruttuosi. «La Chiesa si rallegra dello spirito di vera fratellanza che fiorisce tra cristiani e non cristiani», nel tentativo di sollevare l’immane miseria» del mondo (n. 84), la miseria materiale, ma anche quella spirituale, poiché «non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio » (Mt 4,4). Ecco allora che la solidarietà fraterna diventa stile di vita. «La miseria della maggior parte del mondo è così grande che il Cristo stesso, nella persona dei poveri, reclama come a voce alta la carità dei suoi discepoli».

I Padri conciliari non esitano a chiedere ai cristiani l’eroicità nell’amore, per dare sollievo ai più poveri, «attingendo non solo dal superfluo, ma anche dal necessario» (n. 88). È chiaro il richiamo alla vedova del Vangelo che mise nel tesoro comune del tempio tutto ciò che aveva per vivere. In questo modo, «la Chiesa in virtù della sua missione divina, predica il Vangelo e largisce i tesori della grazia a tutte le genti». Come richiama con tanta insistenza Papa Francesco, la testimonianza cristiana ha come via privilegiata quella della povertà, perché Cristo stesso da ricco che era si è fatto povero per arricchire noi con la sua povertà (cf. 2 Cor 8,9). Là dove la povertà è autenticamente evangelica, infatti, è certamente esperienza di libertà: libertà dalle catene dell’egoismo e dell’avidità, libertà da calcoli o da angusti programmi di vita, libertà dalle preoccupazioni mondane, ma soprattutto è libertà di offrirsi totalmente, libertà di correre sulla via dei divini comandamenti non appesantiti da inutili fardelli, libertà e gioia di sapersi figli amati da Dio. Ne consegue che il potere – ogni forma di potere – perde di attrattiva, mentre acquista valore la possibilità di servire i fratelli e di poter così, attraverso di loro, dire il proprio grazie al Padre che, per mezzo del Figlio, ci ha riaperto le porte del cielo e nello Spirito ci guida sulla via regale della carità, unico tesoro che troveremo nella vita eterna.

Lungi dall’essere una dimensione semplicemente economica o materiale, lungi anche dall’essere una rinunzia che diminuisce la persona, la povertà riporta al cuore e opera quella rivoluzione pacifica che è la vita evangelica, che è apertura all’altro, senza competizioni o rivalità, senza ambizioni o egoismi, ma nel dialogo e nel dono. Attraverso uno stile di vita improntato alla povertà evangelica, il cristiano si caratterizza per un sovrappiù di amore, che fa il bene gratuitamente, comunque e sempre, senza paura di “perdere”; anzi, nella consapevolezza che quando gli altri non ricambiano il bene ricevuto, sul piano spirituale si guadagna di più, perché si diventa più conformi a Cristo. Guardando a lui, non si può più accontentarsi di arrivare soltanto “fino a un certo punto”, perché egli non si è fermato lungo la salita del Calvario, ma ha servito l’umanità fino a salire sulla croce. Dal suo esempio nasce la forza di andare sempre oltre le misure e le “convenienze” umane. Per vivere in comunione con gli altri bisogna veramente farsi piccoli, poveri, umili, fino a sapersi davvero mettere ai piedi di tutti con amore, sull’esempio di Cristo. E questo è il segreto della pace. E questo è anche il «tesoro» della Chiesa che non ha altro anelito se non di «aiutare tutti gli uomini del nostro tempo – sia quelli che credono in Dio, sia quelli che non lo riconoscono – affinché, percependo più chiaramente la pienezza della loro vocazione, rendano il mondo più conforme all’eminente dignità dell’uomo, e aspirino a una fratellanza universale», che sia anticipo in questa terra della comunione dei santi e irradiazione della gloria del Signore.

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