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Sabato, 09 Dicembre 2017 13:52

Angeli di bontà, in corpi fragili, sconfiggono il male della mafia

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Film “Ho amici in Paradiso” al don Guanella di Roma

di Andrea Fagioli

Con l’auto di grossa cilindrata parcheggia dritto nel posto riservato ai disabili. Sembra quasi un fatto di cronaca, di quelli registrati anche di recente con epiloghi incresciosi. Invece è l’inizio del film Ho amici in Paradiso, opera prima del regista Fabrizio Maria Cortese (uscito al cinema nel febbraio 2016, passato poi in tv su Rai 1 a fine luglio scorso e ora disponibile su Raiplay), ambientato a Roma nella Casa San Giuseppe dell’Opera don Guanella con il coinvolgimento degli ospiti stessi dell’istituto per disabili fisici e intellettivi (prodotto da Golden Hour Films e Rai Cinema con il supporto dell’Opera don Guanella e il patrocinio dell’Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana e la Fondazione Ente dello Spettacolo).

Quel parcheggio da sbruffone dà subito l’idea del personaggio alla guida e del suo rapporto con la disabilità. Lui è Felice Castriota (interpretato dall’attore Fabrizio Ferracane), un uomo d'affari pugliese finito nei guai con la giustizia per riciclaggio di denaro sporco. Ma la procura è pronta ad attenuare la condanna, assegnandolo per un anno ai servizi sociali, a patto che porti le prove contro un boss mafioso. Detto e fatto, Castriota viene mandato a Roma in una struttura dell’Opera don Guanella per occuparsi di persone con disabilità fisiche e intellettive. L’impatto è duro. Da parte del protagonista non c’è volontà di integrarsi né di aiutare gli altri, tantomeno di iniziare un percorso di cambiamento. Ma sarà proprio l’incontro con i disabili, in particolare con il giovane emiplegico Antonio (l’attore Antonio Folletto), e la loro progressiva conoscenza a spingerlo a osservare la realtà e la sua stessa esistenza in maniera diversa. Una forte influenza positiva arriverà anche da don Pino (Antonio Catania), il direttore della Casa, e dalla complicità con la psicologa Giulia (Valentina Cervi). L’uomo, abituato a pensare solo a se stesso, scopre il piacere di rendersi utile al prossimo. Castriota finirà così per prendere sul serio il suo impegno all’interno dell’istituto dando vita a un gruppo teatrale per mettere in scena il Riccardo III di Shakespeare, che Antonio da sempre sognava di interpretare. Il sogno, purtroppo, si avvera solo in parte: il ragazzo muore sulla scena durante le prove, con in testa la corona del sovrano d’Inghilterra. Il suo funerale sarà uno dei momenti più toccanti del film. Ma i guai per Felice Castriota non sono finiti. Il boss mafioso che ha accusato lo fa rapire e riportare in Puglia. Alla ricerca del rapito partirà in gran segreto uno sgangherato gruppo di ospiti disabili che riuscirà, dopo un viaggio rocambolesco, a liberare il prigioniero dando il via al lieto fine, con loro che applaudono Felice e Giulia che si baciano. Allo stesso tempo la macchina da presa sul drone si alza verso il cielo mentre si sente la voce di Antonio che recita uno dei brani più noti del Riccardo III, quello che si chiude con «Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo».

Un finale pertanto didascalico come l’inizio, per un film gradevole e brillante, che usa il tono leggero, a tratti comico, per trattare un tema molto serio come quello della disabilità e dell’integrazione, che in questo caso avviene realmente in quella che potrebbe sembrare soltanto finzione cinematografica. È evidente, infatti, che l’aver fatto lavorare insieme attori professionisti con attori improvvisati come gli ospiti stessi della Casa San Giuseppe abbia rappresentato una forma di integrazione concreta sul set e ancor prima in fase di preparazione del film. Non è un caso che il regista abbia trascorso un lungo periodo nel Centro dell’Opera Don Guanella insieme al vero don Pino Venerito per individuare l’approccio giusto per un racconto sui disabili con il registro della commedia. Il buon risultato cinematografico non prescinde pertanto dalla sintonia che si è creata tra i bravi Fabrizio Ferracane, Antonio Folletto, Antonio Catania, Valentina Cervi, Enzo Salvi e dall’altra la simpaticissima e commovente ragazza down, Carmelina, i gemelli giganti buoni Salvatore e Marcello, e ancora Fabrizio, Natale, Giacomo, Roberto. Un percorso di inclusione che gli attori disabili interagendo con gli attori professionisti dimostrano possibile.

Ma se questo può essere il principale punto di forza del film, non va dimenticata la “conversione” del protagonista, il percorso compiuto dallo smarrimento del senso della propria vita tra egoismo e illegalità al riscatto dei propri errori attraverso l’aiuto dell’altro, un prossimo che il regista materializza nei tanti volti così espressivi e molto spesso belli degli ospiti di Casa San Giuseppe.

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