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Mercoledì, 02 Aprile 2014 15:20

I suggerimenti di Elisabeth Kübler Ross

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L’approdo all’eternità

«Dobbiamo abituarci a far festa con “lo straniero” che è in noi, riconoscenti con quella gratitudine della benedizione dell’uliva - come scriveva nell’antichità Marco Aurelio -, la quale cadendo sul terreno ringrazia l’albero che l’ha prodotta». 
Il letterato André Malraux, accanto all’antica benedizione di Marco Aurelio ha scritto che «il pensiero della morte è il pensiero che rende uomini. Bisognerebbe festeggiare il giorno in cui, per la prima volta, si è riflettuto sulla morte, perché quello è il giorno che segna il passaggio alla maturità. L'uomo è nato quando, per la prima volta, ha mormorato davanti a un cadavere: "Perché?"»! Questo «perché» come un raggio di luce rossa percorre il tempo dell’umanità dal giorno della morte di Abele. 
Un personaggio che ha speso la vita per studiare nella concretezza dell’accompagnamento il vissuto dei malati terminali è stata Elisabeth Kübler Ross, una psichiatra svizzero-americana che si è trasferita a Chicago per dedicarsi, con un'apposita équipe, allo studio del comportamento dei morenti. Elisabeth Kübler Ross non si è accontentata di scrivere per sentito dire, ma ha voluto esperimentare coinvolgendo anche la sua famiglia in questo faticoso itinerario verso il guado della vita. Ella ha raccontato questa singolare esperienza, fatta all'interno della sua famiglia in rapporto all'educazione dei suoi figli. «Venne un momento della mia vita - riferisce la celebre psichiatra - in cui mi accorsi che avevo messo al mondo due figli, che avevo dato loro il benessere, un'educazione, un'istruzione; ma i miei figli erano vuoti, vuoti come una lattina di birra già bevuta. Mi sono allora detta che dovevo fare per loro qualche cosa che non fosse soltanto materiale. Così, d'accordo con mio marito, prendemmo in casa un ospite: un vecchio di settantaquattro anni, al quale i medici avevano diagnosticato non più di due mesi di vita. Volevo che i miei figli gli fossero vicini nel suo cammino verso la morte, volevo che vedessero, che toccassero con mano l'esperienza più importante nella vita di un uomo. L'ospite restò con noi non due mesi, ma due anni e mezzo, accolto in ogni cosa come un membro della famiglia. Ebbene: quell'esperienza ha portato ai miei figli un'incredibile ricchezza spirituale, quei trenta mesi li hanno straordinariamente maturati. In quello sconosciuto fratello venuto a morire tra loro giovani e sani, i miei figli hanno scoperto un significato nuovo per la loro vita; sono diventati davvero adulti. è lui, quel povero vecchio, che ha fatto un dono inestimabile a noi; non noi a lui, che pure l'abbiamo curato e assistito con tutto l'amore di cui eravamo capaci». Nella nostra società assistiamo all’allontanamento dei  vecchi dalle case per non vederli morire, per nascondere ai giovani la realtà della morte.
L'uomo - non dimentichiamolo - ha bisogno non di nascondere la morte, ma di affrontarla per poter capire la vita anche alla luce della fede con quella speranza che Gesù ha acceso all’orizzonte della nostra vita.
Nella pagina seguente leggiamo papa Francesco che ci aiuta ad invocare da Dio una triplice grazia: morire attorniati dai familiari, morire nella Chiesa, comunità di cristiani, morire consapevoli delle nostre fragilità ma fiduciosi nella misericordia divina.
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