Ipotesi più fondata è la sua origine longobarda, infatti essa era nota come “Montebardone”, dal nome del Mons Longobardorum e del suo omonimo valico, rispettivamente l’Appennino Tosco-Emiliano ed il passo della Cisa. La “Via di Montebardone”, nasce intorno al 667 d.C. da una scelta obbligata per i Longobardi che dovevano mettere in comunicazione il regno di Pavia con i ducati meridionali, la Via si configurava come «un vero e proprio territorio munito, attestato su una rete di fortificazioni». Quando alla dominazione Longobarda si sostituì a quella Carolingia intorno al 774 d.C., la Via divenne una strada di grande comunicazione, utile a collegare la Francia con Roma attraverso i territori italiani del ricostruito Sacro Romano Impero. Dal territorio di origine, l’espressione Francigena (o Francesca). Nel 820 d.C., la nuova strada dei Franchi venne investita da importanti operazioni di “ammodernamento” e “ristrutturazioni” volti a migliorare la circolazione su di essa, facendola divenire una strada di grande comunicazione utilizzata da pellegrini in marcia verso Roma ma garantiva un transito agevole anche ai mercanti che dalla Francia e dalla Italia convergevano nelle grandi fiere della Champagne. La fonte itineraria più importante ai fini della ricostruzione del tracciato della Via in questo periodo fu il diario (990 d.C.) sul quale Sigerico, arcivescovo di Canterbury, annotò le tappe e le memorie del suo viaggio di ritorno da Roma dove si era recato affinché papa Giovanni XV potesse investirlo del pallium arcivescovile. La Via così risistemata, divenne una via di comunicazione determinante per l’unità culturale europea nel Medio Evo, su cui transitarono persone e merci, ma anche conoscenze ed esperienze, con la lentezza e la profondità proprie di chi si muove a piedi. Un ritmo, quello dei propri passi, che consente anche ai moderni pellegrini una migliore comprensione del territorio, della storia, delle genti; del passato e del presente. Il viaggio si trasforma in una graduale immersione nelle radici della nostra cultura, in cui lasciare che le impercettibili modifiche del paesaggio, le piccole e grandi opere d’arte, le poche persone che incontriamo lungo la Via, ci trasmettano il loro messaggio. Che possiamo assimilare passo dopo passo, con calma, per comprenderne l’essenza lontani dal caos mediatico che caratterizza ogni nostra giornata, e che non ci consente di comprendere una notizia prima che arrivi la successiva, i ritmi e gli spazi dilatati del cammino francigeno cambiano la nostra percezione del mondo, riportandoci a una visione medioevale di ciò che ci circonda. Dobbiamo affrontare problemi pratici come la fame, la sete, il caldo e il freddo, la paura del buio in un bosco sul far della sera, o di un cane che c’insegue lungo il sentiero. Problemi antichi che ci faranno comprendere antiche soluzioni: la localizzazione dei villaggi, la loro struttura, la distanza tra un villaggio e l’altro, che spesso rispondevano alle esigenze dei viandanti e alle opportunità offerte dalla Via.
La Via Francigena è anche un viaggio trasversale attraverso il territorio italiano, un interessante allineamento di realtà geografiche, produttive, sociali completamente diverse. Il paesaggio muta senza soluzione di continuità: dai pascoli valdostani alla pianura industriale e agricola piemontese; dal Grande Fiume alle dolci colline emiliane; dall’asprezza della Toscana settentrionale alla dolcezza delle crete senesi, all’incanto dei laghi vulcanici del Lazio. E con il paesaggio mutano i mestieri, le persone, il tessuto sociale, la densità abitativa: si passa dallo spopolamento delle vallate alpine e appenniniche al sovraffollamento delle borgate romane, viaggiando attraverso la provincia italiana, nelle sue varie declinazioni. Un percorso straordinariamente bello, inaspettatamente nuovo e originale anche per chi già conosce i luoghi attraversati. Cambia il punto di vista, cambia il ritmo. Molti di noi conoscono i vari paesi che si attraversano, o almeno pensano di conoscerli: in realtà solo avanzando sulla direttrice della Francigena ci rendiamo conto di quanto la Strada abbia influenzato il tessuto urbano dei villaggi che spesso si sviluppano in lunghezza, e allineano sulla Via le principali chiese e i palazzi più belli.
Forse conosciamo molti tra i capolavori del Romanico che popolano la Francigena, ma nel nostro viaggio li incontriamo uno dopo l’altro, comprendendo appieno l’importanza di questo itinerario, e l’influenza che ebbe sullo sviluppo religioso e artistico di un’epoca. La strada porta incertezze, gioie e stanchezza, ma arrivare infine a Monte Mario ci fa assaporare con gusto dopo tanto camminare la vista dall’alto della Cupola di San Pietro, cinta solo dalle fronde degli alberi, e il pellegrino assapora l’ultima discesa per fare la sua ultima fermata prima dell’agognata meta, cioè San Lazzaro.