«Una vergine – annota il Vangelo –, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe» (Lc 1, 27). E di lui, di Giuseppe, non si tralascia il fatto che Maria è sua legittima sposa (cf. Mt 1, 16.18-20.24; Lc 1, 27; 2, 5). Giovane la sposa e dunque giovane anche lo sposo. Sì, perché i Vangeli non parlano di una vecchiaia del santo carpentiere; anzi, le prime raffigurazioni cristiane ci avevano presentato un giovane imberbe, virile e vigoroso. Poi qualcosa lungo i secoli non andò nel verso giusto. Ma finalmente la giosefologia ci sta riconsegnando un vero e attuale san Giuseppe, conforme a quello dei Vangeli, rigettando così, seppur con qualche difficoltà, quel cliché dell’uomo anziano.
Fede, vocazione e discernimento sono i tre nuclei tematici su cui ruoteranno le riflessioni dei nostri giovani e dei nostri vescovi, e su cui si baserà anche la conseguente opera pastorale. Sono stati anche i tre stati esistenziali vissuti dal giovane Giuseppe: l’uomo giusto (Mt 1, 19), il patriarca della fede, chiamato a essere sposo della Madre di Dio e padre del Figlio di Dio, il carpentiere e discendente davidico che più volte ha dovuto discernere eventi e situazioni, sogni e rivelazioni, profezie e realtà. Basta leggere i primi due capitoli dei Vangeli secondo Matteo e secondo Luca per rendersene conto.
Giuseppe è l’uomo della fede, la virtù che è fonte del discernimento vocazionale. Un dono della grazia che richiede di renderlo fecondo attraverso scelte di vita concrete e coerenti. E Giuseppe, in tal senso, accolse con disponibilità questo dono non tirandosi indietro ma prendendo con sé Maria sua sposa e il bambino; così prese con sé tutto il mistero “in situazione” e quanto esso comportava, facendo scelte concrete e coerenti che tutti noi apprendiamo dal sacro testo. «La fede – afferma il documento preparatorio al Sinodo – è insieme dono dall’alto e risposta al sentirsi scelti e amati». Giuseppe, in quel sogno, in quei sogni, avrà sperimentato questa amorevole elezione del Padre, ma anche del Figlio, che non lo esonerò nel chiamarlo Abbà-papà. «Giuseppe, il quale sin dall'inizio accettò mediante “l'obbedienza della fede” la sua paternità umana nei riguardi di Gesù, seguendo la luce dello Spirito Santo, che per mezzo della fede si dona all’uomo, certamente scopriva sempre più ampiamente il dono ineffabile di questa sua paternità» (RC 21). E ancora. «La fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e assicura che quest’amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità». Il giovane sposo si consegnò totalmente all’amore sponsale e poi paterno, fu vocato all’amore. «Se Elisabetta disse della Madre del Redentore: “Beata colei che ha creduto”, si può in un certo senso riferire questa beatitudine anche a Giuseppe, perché rispose affermativamente alla Parola di Dio, quando gli fu trasmessa in quel momento decisivo. Ciò che egli fece è purissima “obbedienza della fede” (cf. Rm 1, 5; 16, 26; 2 Cor 10, 5-6)” (RC 4)». Credere significa mettersi in ascolto dello Spirito e in dialogo con la Parola che è via, verità e vita (cf. Gv 14, 6) con tutta la propria intelligenza e affettività, imparare a darle fiducia “incarnandola” nella concretezza del quotidiano. Non è quanto ha fatto il nostro santo?
Giuseppe è anche il giovane del discernimento, ce ne parla san Matteo nel suo Vangelo. Chi non conosce la sua misteriosa chiamata e la sua missione di giovane padre, per certi versi drammatica e incomprensibile? Rileggiamo in chiave giosefina i primi due capitoli matteani e non avremo difficoltà nel vedere questa singolare figura ricolma del dono del discernimento. «Prendere decisioni e orientare le proprie azioni in situazioni di incertezza e di fronte a spinte interiori contrastanti è l’ambito dell’esercizio del discernimento». Nella storia di Giuseppe ogni giovane può scorgere la triplice sfaccettatura del discernimento – morale, spirituale, e quello dei segni dei tempi – e prenderne spunto e luce per il proprio. Il modello Giuseppe di Nazareth è davvero illuminante per tutti. «Lo Spirito parla e agisce attraverso gli avvenimenti della vita di ciascuno, ma gli eventi in se stessi sono muti o ambigui, in quanto se ne possono dare interpretazioni diverse. Illuminarne il significato in ordine a una decisione richiede un percorso di discernimento». Giuseppe così ha saputo riconoscere, interpretare e scegliere il suo percorso di fede e di discernimento vocazionale. Il documento preparatorio al sinodo sembra che parli proprio di lui, e nella lettura del testo tornano in mente i passi evangelici che ci descrivono l’esperienza del santo sposo di Maria racchiusa in quel sintetico versetto: «Mentre stava pensando a queste cose» (Mt 1,20).
Nella fase del riconoscere, «la Parola di Dio riveste una grande importanza: meditarla mette infatti in moto le passioni come tutte le esperienze di contatto con la propria interiorità, ma al tempo stesso offre una possibilità di farle emergere immedesimandosi nelle vicende che essa narra». Non a caso certe opere artistiche ci raffigurano san Giuseppe con un libro in mano, che legge le Scritture, viene visto anche come un filosofo, proprio per quel suo voler riconoscere, credere e capire. «La fase del riconoscere mette al centro la capacità di ascolto e l’affettività della persona, senza sottrarsi per paura alla fatica del silenzio». Anche qui – altra casualità? – san Giuseppe è il silente, colui che fa posto alla Parola non pronunciando parole, colui che ascolta e medita, è colui che discerne. Discernere è scoprire l’anima delle parole e interpretarle per farle diventare vita. Ne scriviamo sul prossimo numero.