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Mercoledì, 09 Settembre 2015 15:05

Le mani con la corona e il lavoro: sono il cuore della santità

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Maria Goretti

di Gabriele Cantaluppi

Poche righe: la stampa di quel luglio 1902 riportava sommessamente la notizia dell’uccisione della giovane dodicenne Maria Goretti, avvenuta il giorno prima alla Conca di Nettuno. Solo il quotidiano romano “Il Messaggero” dedicava al ”brutale assassinio” un’intera colonna, sottolineando l’eroismo della giovane che aveva saputo resistere alle oscene proposte del ventenne Alessandro Serenelli. Anche la stampa cattolica mostrò atteggiamenti di riserbo, quando ancora nel 1939 il processo canonico stentava ad andare avanti perché “si tratta di un fattaccio così sconcio che non si ha il coraggio di mandarne la protagonista sugli altari”. Cose d’altri tempi: a noi oggi, abituati a ben altra cronaca, il sacrificio di questa giovane riporta agli Atti delle prime martiri dell’epoca cristiana.

E’ stato Pio XII, venuto casualmente a conoscenza dell’episodio, ad accelerare l’iter, beatificando e successivamente canonizzando, nel giro di pochi anni, la martire, come l’ “Agnese del secolo XX”. Corinaldo, un borgo ad una cinquantina di chilometri da Ancona, vide nascere Maria, terza di sette figli, da Luigi Goretti e Assunta Carlini. Una famiglia povera, ma ricca di fede nella Provvidenza, che si sosteneva con le rendite di un piccolo podere, ben presto rivelatosi insufficiente al crescere della famiglia. Dopo alcune peregrinazioni in cerca di miglior sistemazione, al termine del secolo XIX si stabilirono alle Ferriere di Conca, vicino a Nettuno, come mezzadri del conte Attilio Mazzoleni. Si era nel pieno dell’Agro Pontino, prima della bonifica, luogo in cui la miseria e le malattie, fino alla morte, erano sempre in agguato. Molti di noi forse ricordano il famosissimo film “Cielo sulla palude”, riuscita fotografia dell’ambiente in cui vivevano quei coloni. Basti pensare che proprio nei giorni dell’arrivo dei Goretti, i conti Mazzoleni fecero arrivare una provvista di casse mortuarie per quelli che sarebbero morti.

La prima cassa ricevette proprio papà Goretti, il 6 maggio 1900. Ma la forte fede di Assunta e dei figli riuscì a sostenere il cammino della vita di chi doveva guadagnarsi il pane giorno per giorno, strappandolo col sacrificio di privazioni e di pericoli. Una forte preoccupazione per lei era la convivenza forzata con la famiglia Serenelli, composta dal padre Giovanni, e da due figli: Gaspare, che presto emigrò altrove e Alessandro (Lisà). Papà Goretti si era messo in società con loro e, nonostante sul letto di morte avesse chiesto alla moglie di ritornare con la famiglia a Corinaldo, ella non se l’era sentita di rischiare ancora la fame per i suoi figli. Così era restata, dovendo poi subire continui soprusi e prepotenze. Quello che successe in quel pomeriggio del 6 luglio 1902 è noto. Dopo il pranzo, Assunta e Alessandro scendono sull’aia per la trebbiatura delle fave. Maria è in alto, sul pianerottolo, con una sorellina di due anni che dorme vicino a lei, intenta a rammendare una camicia che Alessandro le aveva dato, con la speranza che sarebbe rimasta sola al lavoro. Con una scusa il giovane sale in camera, dove scova, tra un ammasso di ferrivecchi, un punteruolo di ben 24 centimetri. Al suo invito a entrare anche lei, Maria oppone un rifiuto, ma è trascinata brutalmente e, dal resoconto dei Processi canonici, appare chiaramente la lotta impari sostenuta dalla martire e la sua assoluta ed eroica opposizione al peccato, come offesa di Dio. In preda alla passione, il giovane non ascolta gli accorati appelli a pensare anche al castigo dell’inferno per un peccato tanto grave: la mano colpisce ripetutamente, fin quando la vittima tramortisce.

L’autopsia rivelerà quattordici ferite, nove delle quali penetranti con lesione del pericardio, del cuore, del polmone sinistro, del diaframma, dell’intestino e del mesenterio. La fanciulla si riprende e trova la forza di aprire la porta e di rivolgersi con un filo di voce al padre dell’assassino, sdraiato ai piedi della scala: “Giovanni, venite sopra, perché Alessandro mi ha ammazzata”. Non basta: l’assassino le è sopra ancora e la colpisce nuovamente ripetutamente, poi fugge richiudendosi in camera. Mentre il Serenelli viene tradotto dai carabinieri a Nettuno, Maria è portata all’ospedale dei Fatebenefratelli della medesima città. I chirurgi sono espliciti: non c’è nulla da fare, però vogliono tentare. Dopo che il cappellano dell’ospedale la ebbe confessata, iniziò l’intervento che, non potendo sottoporla all’anestesia, fu un altro strazio, acuito da una sete atroce senza poter bene una goccia di acqua, accettata però con amore al pensiero della stessa sorte di Gesù in croce. Prima di ricevere il Viatico, mamma Assunta le chiese se perdonasse di cuore all’assassino. “Sì, gli perdono. Dal cielo pregherò per il suo pentimento. Anzi lo voglio vicino a me, in paradiso”. Circa un mese prima già due volte era stata molestata dal giovane, ma non aveva detto niente alla mamma per non preoccuparla, ricorrendo con maggior intensità alla preghiera, tanto che la mamma stessa, col senno di poi, riconobbe di averla vista più pia e che stringeva spesso la corona del rosario.

Più volte poi aveva pregato la mamma di non lasciarla sola in casa, e lo aveva fatto anche alla vigilia della tragedia, ma la povera donna pensava che fosse un capriccio. Si spense alle 15,45 del 6 luglio, mentre la liturgia celebrava i secondi vespri della festa del Preziosissimo Sangue di Gesù. La mamma, analfabeta come la figliola, le aveva insegnato le preghiere cristiane e le semplici fondamentali verità del catechismo, avviandola verso l’osservanza dei comandamenti col suo esempio. Anch’elle ebbe la forza di perdonare il Serenelli, quando costui il giorno di Natale del 1945 le chiese pubblicamente perdono: “Se ti ha perdonato lei, se ti ha perdonato Dio, ti perdono anch’io”. Voleva che Maria crescesse obbediente, devota alla Madonna, lontana da compagnie cattive e modesta, fino a evitare che spogliasse o vestisse lei i fratellini più piccoli. E Maria cresceva come lei voleva: il resto lo faceva la grazia di Dio. Ma la vicenda di Maria Goretti è anche un inno alla misericordia di Dio. Al suo perdono Maria fece seguire molti anni dopo un sogno: nel 1918 apparve a Alessandro presentandogli dei gigli che si trasformavano in fiaccole”.

Sarà per Alessandro la certezza del suo perdono e il proseguimento del cammino di conversione iniziato otto anni prima, grazie anche all’aiuto di monsignor Blandini, vescovo di Noto, dove si trovava il carcere. Graziato nel 1927 per buona condotta e per un indulto, Alessandro chiese e trovò ospitalità presso un convento di Cappuccini ad Ascoli Piceno. Qui, pur non essendo un religioso, visse però come un fratello, esemplare nella preghiera e nell’attività, e morì a 88 anni il 6 maggio 1970, come conseguenza di una frattura del femore. Forse il suo delitto fu un gesto dettato più da vuoti affettivi nell’infanzia e nell’adolescenza e da mancanza di una seria educazione morale nella giovinezza, come egli stesso ricorda nel suo testamento spirituale, redatto nel 1961, dove afferma: “Nella mia prima giovinezza infilai una strada falsa. Vedevo attraverso la stampa, gli spettacoli, i cattivi esempi che la maggior parte dei giovani segue senza darsi pensiero. Coloro che leggeranno questa mia lettera vogliano trarre il felice insegnamento di fuggire il male e di seguire il bene sempre, fin da fanciulli”. Il giorno dopo la canonizzazione Papa Pio XII volle ricevere in udienza la mamma della martire, con tutti gli onori riservati ai Capi di Stato. Attualmente, secondo un'antica idea di Papa Benedetto XVI, ora al vaglio di Papa Francesco, si sta pensando di associare Maria Goretti a Santa Dinfna, martire irlandese la cui vicenda è analoga, come protettrici delle vittime di stupro. E si sa quanto nella società odierna ce ne sarebbe bisogno!

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