È proprio con questo argomento che la Costituzione si conclude, rivolegendo «un ardente appello ai cristiani, affinché con l’aiuto di Cristo, Autore della pace, collaborino con tutti per stabilire tra gli uomini una pace fondata sulla giustizia e sull’amore e per disporre i mezzi necessari al suo raggiungimento». Come si vede, il tema della pace è molto ampio, si può dire sconfinato. C’è la pace del cuore, quando esso è riconciliato con Dio, con se stesso e con i fratelli; c’è la pace nella famiglia e nelle varie comunità dove ciascuno è inserito, quando tutti, secondo i propri doni, collaborano al bene comune; c’è la pace all’interno delle singole nazioni e la pace tra le nazioni, quando i diritti delle persone sono tutelati, quando la guerra tace, la libertà è rispettata, il lavoro garantito, la vita promossa e protetta in tutte le sue fasi, dal grembo della madre fino all’ultimo respiro. La pace è, dunque, un sommo bene. Come cercarla? Dove trovarla? O, meglio, come costruirla? La Gaudium et Spes comincia con il dire che cosa non è, quali vie non bisogna percorrere per cercarla, poiché lì non la si troverà mai.
Condizione indispensabile della pace è certamente l’assenza della guerra, che è «inumana», indegna dell’uomo, ma non è solo assenza di guerra; per trovarla bisognerà frenare – e fermare – la corsa agli armamenti, ma non la si troverà finché non si giungerà alla «realizzazione di quella parola divina che dice: “con le loro spade costruiranno aratri, e falci con le loro lance» (Is 2,4); finché la pace non sarà solo assenza di conflitto, ma diventerà pienezza di comunione e di condivisione. Inoltre, la pace non è neppure semplice «equilibrio di forze avverse», perché mancherebbe alla pace la sua vera anima: quella fraternità che unisce i lontani e li fa uno con un vincolo d’amore più forte di quello del sangue. Ancora, la pace non è «effetto di una dispotica dominazione», perché questa sarebbe una pace infeconda, morta, priva dei suoi frutti più belli: la libertà e la gioia. Qual è, allora, la vera pace? I Padri conciliari la presentano come «opera della giustizia» – riprendendo un’espressione del profeta Isaia, il cantore dell’atteso Messia (Is 32,17) – come «un edificio da costruirsi continuamente». Quale opera di giustizia la pace è il faticoso lavoro che il Signore Gesù, il solo Giusto, incarnandosi, è venuto a compiere sulla terra. Con il legno della Croce, egli ha liberato il terreno umano pieno di «triboli e spine» a causa del peccato, lo ha dissodato e arato, gettando poi nei profondi solchi Se stesso come seme che, morendo, avrebbe prodotto una messe abbondante: «Il Figlio incarnato, Principe della pace, per mezzo della sua croce ha riconciliato tutti gli uomini con Dio; ristabilendo l’unità di tutti in un solo popolo e in un solo corpo, ha ucciso nella sua carne l’odio e, nella gloria della sua risurrezione, ha diffuso lo Spirito di amore nel cuore degli uomini» (GS 78). Qui inizia il nostro compito. Salvandoci dal peccato e dalla morte con la sua morte e risurrezione, Gesù ci ha uniti a sé, rendendoci membra del suo stesso Corpo. Prima di ascendere al Padre ci ha lasciato il mandato di continuare la sua opera: «“Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”.
Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo”» (Gv 20,21-22). A cominciare dagli apostoli, Egli ci ha resi partecipi della sua missione di annunziare fino agli estremi confini della terra il Vangelo della salvezza e della pace. Usando l’immagine dell’edificio da costruire, la costituzione Gaudium et Spes mette in evidenza che si tratta di un lavoro lungo, che richiede la collaborazione di molti e che continua nel tempo. Come ogni edificio in muratura, così anche quello della pace, dopo l’edificazione ha bisogno della manutenzione: «La pace non è mai qualcosa di raggiunto una volta per tutte… Poiché la volontà umana è labile e per di più ferita dal peccato, l’acquisto della pace esige da ognuno il costante dominio delle passioni», richiede vigilanza, sollecitudine, perseveranza. «Tuttavia – aggiunge il testo conciliare – questo non basta». Perché? Perché la pace è qualcosa di più. La pace è incontro: dell’uomo con Dio e degli uomini tra di loro. La pace è un edificio che diventa dimora, casa per abitare insieme da fratelli, luogo di condivisione, tenda dell’ospitalità. In una parola, la pace è frutto dell’amore, è l’immagine del Cristo riflessa sul volto degli uomini, è la sua presenza operante nella storia attraverso coloro che lo accolgono. Nella sua grande bontà il Padre, inviando il suo Figlio sulla terra, ha aperto il cammino della pace. È lui, Gesù, il Mediatore, il Riconciliatore, la Via che ricongiunge i lontani. È venuto, come dice san Paolo, ad abbattere in se stesso «il muro di separazione» (Ef 2,14), il muro della disobbedienza originale che separò gli uomini da Dio e, di conseguenza, anche gli uomini tra di loro. Anche la storia recentissima ci mostra quanto dolore generi la costruzione di “muri di divisione” e quanto tempo occorra per arrivare ad abbatterli e, ancor più, per sanare le ferite e ristabilire la comunione. Eppure sembra che non si voglia imparare la lezione della storia. È ancora viva la memoria della storica caduta del muro di Berlino, ma quanti altri muri sono stati ancora costruiti e sono in corso di costruzione! Eppure Papa Francesco non si stanca di ripetere: «Mai costruire muri! Soltanto ponti!». Questi eventi potrebbero sembrare troppo distanti dalla nostra quotidianità per sentirci in essi implicati, ma non è così. Essi ci interpellano da vicino, perché alla costruzione o distruzione di quei muri e di questi ponti in realtà, partecipiamo noi tutti; le loro fondamenta sono poste nel cuore di ciascuno: è lì, innanzitutto, che si costruisce la pace o che si prepara la guerra. Dobbiamo dunque lasciare che il Signore abbatta definitivamente in noi il muro di divisione tra noi e lui, tra noi e i nostri fratelli, per farne un luogo d’incontro nella pace, nella gioia della fraternità vera, secondo il mirabile disegno di Dio.