«Josefa Naval Girbés, privata nell’infanzia dell’affetto della madre terrena, trovò conforto nel totale affidamento di sé alle sollecitudini della Madre celeste».
Con queste parole Giovanni Paolo II nell’Angelus del 25 settembre 1988 poneva in rilievo una caratterista della vita di Josefa che nella sua non facile esistenza cercò sempre di “rivivere Maria” con un amore totalitario verso Dio e una donazione continua e gioiosa verso il prossimo, aiutando soprattutto le giovani a valorizzare la propria dignità di donne e a realizzare nella vita il prezioso disegno che Dio ha pensato per ognuna di loro.
Giuseppe Allamano ci ricorda che per restare fedeli alla nostra vocazione cristiana occorre saper condividere i doni ricevuti da Dio con i fratelli di ogni razza e di ogni cultura; occorre annunciare con coraggio e con coerenza il Cristo ad ogni persona che incontriamo, specialmente a coloro che ancora non lo conoscono.
Fu veramente fortunato l’Allamano, perché nipote di un prete santo, Giuseppe Cafasso, e alunno di un educatore anch’esso santo, don Bosco, e di questa fortuna egli seppe approfittarne bene.
Natività, Gaudenzio Ferrari, 1511,
S.Maria Nascente, Arona.
La tavola, La Madonna della scodella, fu realizzata da Correggio per la chiesa del Santo Sepolcro di Parma.
Il dipinto illustra un episodio dell'infanzia di Gesù narrato nel vangelo apocrifo dello pseudo-Matteo: nel corso del viaggio di ritorno in Palestina dopo la fuga in Egitto, durante una sosta all'ombra di una palma da dattero, la sacra Famiglia si sarebbe sfamata grazie alla pianta che, straordinariamente piegata, offriva i suoi frutti ai viaggiatori.
Il Riposo nella fuga in Egitto di Gregorio dei Ferrari (Spagna, 1560-1627) riflette lo studio e la copia dell’opera di Correggio, la cui influenza si sente fortissima nell’Estasi di San Francesco e in quest’opera sempre per la Chiesa di San Siro a Genova. Codifica il suo stile caratterizzandolo con eleganti figure allungate, movimento a spirale ascendente e fluida morbidezza.
Il Riposo nella fuga in Egitto di Juan Sanchez Cotan (Spagna, 1560-1627) è una delle opere più famose di questo artista che divenne famoso sia per le sue tele su scene religiose, sia per i ritratti e nature morte. Nel 1603 scelse la vita monastica e morì nella Certosa di Granada. L’opera si trova nella chiesa della stessa certosa.
Il particolare della "Sacra Famiglia con Giovanninio", conservata a Udine a cura della Fondazione Friuli, è un'opera dai graffi forti e quasi ruvidi pur con un senso del sacro che permane dai volti e specialmente dalla serenità di fondo dei personaggi. Lo stile è tipico della produzione di Nicolò Frangipane, artista eclettico di cui si conservano numerose opere firmate e alcune a lui attribuite, specie nel nord Italia.
Secondo alcuni studiosi, il Frangipane nacque nel 1555 a Tarcento, in Friuli, da Nicolò, esponente di una nobile e antichissima famiglia. Dal 1583 al 1588 soggiornò probabilmente nelle Marche e a Rimini; nel 1593 è di nuovo a Venezia, dove dipinse una pala per la chiesa dei Frari. Si ipotizza sia stato alunno presso Tiziano. Il suo stile risente della pittura di Giorgione come di quella di Tiziano o del Campagnola, e risulta un anello di congiunzione tra il giorgionismo del primo Cinquecento. L'opera manifesta una sacralità quasi "laica", senza particolari simboli religiosi. La concentrazione, il silenzio, la pace sono i tratti caratteristici dei personaggi come avvolti dal mistero del divino che si mischia con l'umano.
Lo sguardo di san Giuseppe è diretto al Bambino Gesù, a cui porge un vassoio di cristallo contenente mele, pere, ciliegie, frutta di carattere simbologico, disposta a sfumatura di colore dal giallo tenue al rosato, al rosso carico, per suggerire il percorso verso la Passione, trovandosi i frutti vermigli più distanti dal Figlio.
Una piccola pera, simbolo insieme alla mela del peccato originale e quindi del suo riscatto del mondo, è il dono che unisce in un gesto significativo, la mano di Maria offerente e del Bambino. Il gesto sta anche a sottolineare che il progetto della redenzione si attua attraverso l’intercessione di Maria, manifestatasi alle nozze di Cana.
Una linea ideale attraversa in diagonale il dipinto, a partire dal volto di san Giuseppe, in assorta contemplazione: percorre la gestualità del dono tra Madre e Figlio, e si prolunga nell’accentuata piega della veste azzurra della Madonna. Le altre pieghe del manto descrivono luminescenze radiali attorno al corpo di Gesù, il cui sorriso composto è l’unica nota di vivacità, tra gli sguardi di Maria, san Giuseppe e sant’Anna, connotati di mestizia.
Il Bambino è rappresentato verticalmente, richiamando il Crocifisso: è inscritto in uno spazio triangolare, una piramide rovesciata, delimitata dal gesto di Maria a sinistra e il volto di sant’Anna a destra. In tal modo il pittore El Greco esplicita il progetto divino, ponendo il Bambino Gesù al centro di una articolata scena familiare, secondo un genere invalso col nome di Sacra Famiglia allargata, di cui abbiamo esempio in un’incisione della Biblioteca Casanatense di Roma, opera del grande incisore rinascimentale Luca di Leyda (1494-1533), dove è proprio san Giuseppe, al centro, a donare il frutto paradisiaco al Bambino Gesù.
Una raffigurazione carica di sentimento questa Sacra Famiglia di Onorio Marinari (1627-1716). Dominante è il gesto del padre offerente, che guarda il Bambino con espressione di profonda partecipazione e intimo trasporto. Il Figlio è assorto, mentre prende dalla sua mano i tre piccoli frutti, che richiamano ‒ per il loro numero e il color rosso vivo ‒, il suo destino di Salvatore, attraverso la Passione e Morte.
Maria sostiene il braccio di Gesù, partecipe del messaggio che promana da quei frutti, fulcro della rappresentazione. A partire da un gesto semplice e quotidiano, eppure denso di significato umano e spirituale, si manifesta il presagio del disegno divino, un progetto di Vita che il Figlio dona al genere umano con l’offerta di sé. La mela, nel linguaggio dei simboli, era fin dall’antichità un simbolo di amore, per la sua dolcezza. Nell’arte cristiana allude alla Redenzione operata da Cristo per il riscatto degli uomini. Il numero tre è il numero sacro per eccellenza: tre sono le persone della Trinità, tre gli arcangeli, tre le virtù teologali. Il Vangelo narra che la Resurrezione avvenne il terzo giorno dopo la Crocifissione, la condanna comminata al Signore Gesù, all’età di trent’anni.
Nel Vecchio Testamento ricorre il triplice olocausto, e la purificazione nel terzo giorno dopo il seppellimento dei defunti.
Nel mese di marzo
Soffusa di luce che si rifrange sulle pieghe dei panneggi, e crea un gioco di ombre lievi, la raffigurazione del Cantarini è vibrante di colore, e concentra la molteplicità dei gesti, resi con sapiente immediatezza. San Giuseppe è intento a dare il nutrimento al figlio: è appoggiato alla palma fruttifera, e si china a porgere i datteri nella mano del bambino proteso verso di lui, con delicatissimo gesto. Maria lo sostiene, disteso su un velo di un biancore assoluto, ben differente dal biancore del cuscino e della veste, venata di rosaceo: è un richiamo al velo sindonico che avvolse il corpo del Signore deposto dalla croce. I volti mesti di Maria e Giuseppe rimandano alla stessa lettura simbolica: la palma prodigiosa è figura del paradiso, e del disegno di morte che segnerà il riscatto del genere umano.
In basso, la tela presenta un dettaglio ricorrente nelle raffigurazioni della Fuga in Egitto: i frammenti di una statua pagana, a indicare il superamento dell’idolatria con l’avvento della Redenzione, e riferimento alla profezia di Isaia: «Sarà piegato l’orgoglio degli uomini, sarà abbassata l’alterigia umana; sarà esaltato il Signore, lui solo in quel giorno, e gli idoli scompariranno del tutto» (Is 2, 17).
Il pittore eseguì l’opera intorno al 1640: si evidenziano aspetti innovativi, nella composizione in verticale improntata a un grande dinamismo, e nello stile capace di fondere il classicismo e aspetti di naturalismo per gli effetti di luce.