Una giovane donna, Chiara Corbella (28 anni), e suo marito Enrico Petrillo. Entrambi romani, una coppia normalissima molto credente, tanto che si erano conosciuti a Medjugorie. Una storia cresciuta nel dolore e finita male, malissimo.
Chiara non c'è più. È morta il 13 giugno scorso. Ha affrontato due gravidanze, entrambe terminate con la morte alla nascita dei suoi piccoli.
Maria prima e Davide dopo, entrambi vittime di malformazioni che non lasciano loro scampo. Chiara resta ancora incinta. È un maschio, Francesco. Questa volta tutto stava andando per il meglio: le ecografie confermavano finalmente la salute del bimbo. La sfortuna sembrava essersi voltata da un'altra parte. E invece no.
Al quinto mese di gravidanza a Chiara viene diagnosticata una brutta lesione della lingua e dopo un primo intervento, i medici riscontrano un carcinoma. Va curato con la chemio, ma la chemio ucciderebbe il feto. Dinanzi a questa eventualità, Chiara ed Enrico decidono di andare avanti con la gravidanza mettendo a rischio la vita della mamma.
Siamo alla vigilia di un grande giubileo che la Chiesa si prepara a vivere con impegno e generosità. Il desiderio di Benedetto XVI è di far entrare con consapevolezza i credenti nel cuore stesso della Chiesa attraversando la «Porta della Fede».
Forse sono o siamo in tanti a stare sulla soglia di questa porta a guardare cosa succede, senza la voglia di partecipare a costruire il futuro con un’illuminazione dall’Alto.
Il Papa ha indetto quest’anno della fede nel Cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II. Quell’11 ottobre 1962 Papa Giovanni XXIII ha fatto salpare la navicella della Chiesa per una navigazione in alto mare. In quell’assemblea planetaria, i padri conciliari hanno avuto modo di esaminare «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini» nel desiderio di aiutare i cristiani a dare risposte evangeliche alle problematiche moderne. Fu una stagione primaverile. La Chiesa universale visse un momento di forti vibrazioni spirituali con una speranza di un futuro migliore.
Un affettuoso saluto a tutti, a chi si trova a casa, a chi è in macchina, in viaggio, a chi soggiorna nei luoghi di villeggiatura, ma in particolare alle persone in difficoltà per tante ragioni, per la salute sia fisica che morale, per i disagi dell’incomprensione, anche una carezza ai bambini e a tutti un incoraggiamento affinché il Dio della vita con l’intercessione potente di San Giuseppe ci possa donare gioia di vivere e la forza per affrontare senza paura le difficoltà che incontriamo nel sentiero della nostra esistenza. Oggi la chiesa celebra la memoria di San Alfonso Maria dei Liguori, fondatore dell’ordine dei Redentoristi.
Questo santo che dopo aver esercitato la professione di avvocato, si è fatto prete, ha fondato appunto l’ordine dei Redentoristi e fu vescovo nella regione campana a Sant’Agata dei Goti in Campania, Sant’Alfonso è stato un grande devoto di San Giuseppe.
Innanzitutto ha consacrato il suo ordine alla protezione di San Giuseppe.
Era una grande intelligenza ed è stato paragonato a San Tommaso. Ha scritto libri di teologia morale he hanno formato nei seminari generazioni e generazioni di giovani preti.
Uomo di grande capacità comunicativa, sapeva parlare ai dotti e alle gente semplice; ha scritto un libro di novene a San Giuseppe. Nei suoi scritti di morale e nella preghiera cita spesso San Giuseppe come patrono dei morenti e il santo della buona morte.
Ma tutti noi ricordiamo Sant’Alfonso perché è l’autore del canto natalizio: «Tu scendi dalla stelle, o re del cielo e vieni in una grotta al freddo e al gelo».
Queste mie parole volano nelle case, nelle strade e mi sento un messaggero che annuncia pace, serenità e benessere fisico e spirituale. E prego che queste parole abbiano il sapore dell’eternità e non siano imbrigliate nella rete dell’egoismo e dell’indifferenza.
Fa’, o Signore, che queste parole inquietino la nostra vita. Non permettere che siano svuotate dal sapore di eternità e che noi restiamo affascinati da parole che null’altro sono che l’eco della tua stessa parola inviata a noi.
Ti prego, o Padre di misericordia, anche per chi può essere ostile a queste parole di speranza e di vita. Fa’ che la Parola trovi un pertugio per infilarsi nel loro spirito e liberare le potenzialità che ogni persona porta in sé come patrimonio della sua esistenza.
In questo cammino vogliano avere accanto San Giuseppe, l’uomo giusto, l’uomo della fede grande.
Don Luigi Previtali è subentrato nel ruolo di parroco a Don Aurelio Bacciarini, il quale alla morte del Fondatore è stato chiamato a governare la giovane Congregazione, erede naturale fu don luigi Previtali che si trovava a Roma ancora prima che arrivasse don Aurelio. Era un giovane promettente, laureato in Diritto canonico e discepolo di grandi maestri: da ragazzo, nel seminario di Bergamo, ha avuto come educatore il giovane Angelo Roncalli, il futuro Beato Giovanni XXIII. Don Guanella se l’è tenuto accanto con affetto e stima. Nei tre anni in cui è stato a coadiuvare il Venerabile Aurelio Bacciarini ha appreso lo stile e l’ardore pastorale di questo santo prete. L’ha imitato talmente bene che al termine del suo mandato di parroco al Trionfale, come del resto era un desiderio mai cancellato di Bacciarini, si ritirò in un monastero di clausura, nel Romitorio di Calmaldoli, ma per la sua fragile salute dovette desistere e ritornare in Congregazione.
Era il 24 giugno, le campane della parrocchiale di Campodolcino, con il concerto delle solennità, avevano suonato a lungo. Dalle frazioni vicine erano giunti i parrocchiani.
Il secondo episodio avvenne sull’altura di Gualdera, un grappolo di baite, dove i Guanella pascolavano le pecore. Era il 9 aprile.
Di mattino, durante la funzione del giovedì santo, Luigi aveva ricevuto Gesù per la prima volta.
«Ibambini sono diversi e ciascuno è unico». Unici perché ognuno di noi è chiamato da Dio dall’eternità con il proprio nome. Nessuno è fotocopia di un altro, ma Dio ha stampato sul palmo della sua mano la nostra foto come unica. «Ognuno di noi è una parola di Dio incarnata, quindi, immagine unica e irripetibile di Dio stesso». Per ogni creatura, che entra in questo mondo, Dio ha sognato un sogno e a ogni genitore ed educatore è assegnato il compito di aiutare questa creatura a realizzare il sogno di Dio.
Il pensiero della Montessori identifica il bambino come essere completo,
capace di sviluppare energie creative e possessore di disposizioni morali (come l'amore),
che l'adulto ha ormai compresso dentro di sé rendendole inattive
Il metodo montessoriano parte dallo studio dei bambini con problemi psichici, espandendosi allo studio dell'educazione per tutti i bambini. La Montessori stessa sosteneva che il metodo applicato su persone subnormali aveva effetti stimolanti anche se applicato all'educazione di bambini normali. Il suo pensiero identifica il bambino come essere completo, capace di sviluppare energie creative e possessore di disposizioni morali (come l'amore), che l'adulto ha ormai compresso dentro di sé rendendole inattive.
Suor Paolina aderì con fervore di neofita al progetto del Fondatore ed, insieme alla consorella suor Maria Landoni, si dedicò con tutta se stessa alla realizzazione della missione affidatale.
Don Guanella volle personalmente porre la pietra miliare della nuova fondazione,
attraverso la celebrazione dell’Eucaristia nel capannone che per tre anni fungerà da chiesa
e da asilo per i bambini. Posto tale fondamento, diede poi la solenne investitura
alle due suore incaricate di concretizzare il progetto
Di buon mattino si parte con la buona superiora suor Landoni e si dà principio alla nuova missione. Con noi si prende il pranzo che consiste in una manciata di fichi, oppure un pezzetto di formaggio così stagionato che per mangiarlo i denti devono essere bene affilati.
Chi è accompagnato dalla mamma, chi abbastanza ordinato e chi invece ha bisogno di una abbondante lavanda con una buona perquisizione alla testa. E questo sarà il lavoro di ogni giorno, che non solo durerà dei mesi ma anni interi per liberare quei poveri bambini da ospiti inopportuni.
Siamo nel cuore dell’inverno, bisogna pensare al modo onde poter riscaldare questi poveri piccoli che sono tutti intirizziti dal freddo. Si va in cerca di qualche pezzo di legna che si trova or qua or là; si fa un braciere. Ecco il mezzo di riscaldamento dei primi giorni che verrà poi sostituito da una stufa portatile di latta. Di arredi scolastici neppure parlarne. Solo qualche bancone di origine molto antica dove i bambini si infilano dentro a decine. Di pedagogico non esiste nulla, pure quei poveri bambini, confrontando il misero tugurio della loro abitazione, qui si trovano molto meglio. Si comincia con un po’ di religione, di canto, di conversazione cercando di istillare nel cuore di questi piccoli l’amore al buono e al bello. Ora siamo alla fine della prima settimana.
Negli anni a cavallo dall’800 al ‘900 Roma conobbe un notevole incremento dell’edilizia
con la conseguente richiesta di manodopera. Gli immigrati si dovevano accontentare
di vivere in baracche poco distanti dai posti di lavoro.
La zona del Trionfale ai tempi del Guanella non era lo specchio del suo nome. Dai secoli dell’Impero romano i legionari avevano cessato di scendere trionfanti e carichi di gloria dai Paesi dell’Europa settentrionale. Porta Trionfale era una baraccopoli, catapecchie dove si erano raccolti gli immigrati affluiti dalle province del Lazio e di altre Regioni in cerca di lavoro.
Per Roma capitale d’Italia i governanti desideravano ristrutturarla con un volto sì nobile, ma con un marchio laicale. I dicasteri dello Stato pontificio, sequestrati dai nuovi governanti, non erano sufficienti per una nazione che aveva ampliato il suo territorio e moltiplicato i servizi alla popolazione.
Negli anni a cavallo dall’800 al ‘900 Roma conobbe un notevole incremento dell’edilizia con la conseguente richiesta di manodopera. Gli immigrati si dovevano accontentare di vivere in baracche poco distanti dai posti di lavoro.
La scuola, come privilegiata palestra di vita, don Guanella l’aveva nel sangue
sin dagli anni giovanili. Da prete è stato uno dei suoi impegni quotidiani, per questo ha conseguito la licenza statale di maestro elementare. "Il cuore di una persona è come una terra da orto e da giardino che, coltivata, produce fiori e frutti di benedizione"
Don Guanella ha passato i suoi anni d’intensa attività scrutando il cielo stellato con la pedagogia di Dio per la salvezza del suo popolo, ma per ogni creatura umana che entra nella storia. La parola educare significa: «far uscire» dal guscio del nostro patrimonio ricevuto in dotazione dalla bontà di Dio. Imparare è sempre cancellare un’ignoranza, sconfiggere un’incertezza; imparare è frequentare l’apprendistato della vita per riuscire a far meglio ed essere migliori. La scuola, come privilegiata palestra di vita, don Guanella l’aveva nel sangue sin dagli anni giovanili.