Le piante alimentari che in questo periodo di calura offrono i loro frutti, le foglie, i tuberi da mettere in tavola sono tante (L'estate è la mamma dei poveri, dice un proverbio) che se ne presentano un paio, più caratteristiche e rappresentative, una delle quali è certo la cipolla, ingrediente fondamentale della cucina povera e ricca,
diciamo pure da sempre.
Scrive Plinio nella sua Storia naturale (XX, 20): «In Egitto l'aglio e la cipolla sono considerati come divinità e vengono invocati nei giuramenti. I Greci distinguevano le seguenti specie di cipolla: quella di Sardi, la samotrace, l'alsidena, la setania, la schista e l'ascalonia, così chiamata dalla città che si trova nella Giudea. Tutte quante possiedono un odore che fa lacrimare gli occhi: al massimo grado la qualità di Cipro, al minimo quella di Cnido. Tutte hanno il corpo rivestito di tuniche cartilaginee... Da noi ci sono due specie principali: una impiegata per insaporire i cibi, che viene detta getion dai Greci e pallacana in latino, l'altra specie è quella "a testa grossa": si semina dopo l'equinozio d'autunno oppure dopo che ha cominciato a soffiare il favonio».
“Midrash” è la parola che nella lingua ebraica indica il modo di interpretare la Bibbia che, andando al di là del senso letterale, scruta il testo in profondità per renderlo attuale alla vita del lettore, traendone applicazioni pratiche e significati nuovi che non appaiono a prima vista. Con questo criterio vanno letti i primi capitoli dei Vangeli di Matteo e di Luca, detti “Vangeli dell’infanzia”, dove Gesù è presentato come colui che dà compimento alle profezie.
San Matteo cita molte volte l’antico testamento, per dimostrare che Cristo realizza quello che avevano promesso la legge di Mosé e i profeti, e lo fa anche nella narrazione della fuga della Santa Famiglia in Egitto nel secondo capitolo del suo vangelo.
Gesù già da bambino partecipa così alla vita del suo popolo: l’Egitto diventa per lui il rifugio, come lo fu per i patriarchi Abramo, Giuseppe e Giacobbe, la terra dove il Cristo Bambino, appena nato, si rifugiò e visse per sfuggire alla persecuzione del re Erode.
Il romanzo di Graham Greene, Il potere e la gloria, ha una finale drammatica, che lascia pensosi. Siamo nel Messico, al tempo della persecuzione religiosa. Braccati dagli emissari dei Rossi, molti fedeli fuggono, si nascondono, storditi dalla paura. Padre José, prima prete energico e dignitoso, costretto alla clandestinità, è ridotto in uno stato che rasenta la bestialità. È l’ombra di se stesso. Tradito e fatto prigioniero, è condannato a morte.
Prima di morire, con la mente confusa, tutto uno straccio, fa il bilancio della sua vita, piangendo. “ Provava soltanto una delusione immensa, perché doveva andare verso Dio a mani vuote, senza aver fatto nulla. Gli pareva che sarebbe stato così facile essere santo! Ci sarebbe stato bisogno soltanto di un po’ di freno e un po’ di coraggio. Si sentiva come qualcuno che per pochi secondi avesse perduto l’appuntamento con la felicità…
Apochi mesi dalla proclamazione a Santo di Don Luigi Guanella (23 ottobre 2011), è stato pubblicato un consistente bilancio della sua vita e del suo grande lascito che dalla prima attività di un povero prete in mezzo a difficoltà e ostilità ha cominciato a fiorire e si trova oggi in piena espansione nel momento della glorificazione del fondatore dell'Opera e della Congregazione.
Il libro, pur dando spazio alla celebrazione e diffondendosi nella parte descrittiva e nella splendida documentazione fotografica, ha evitato quel compiacimento tipico di queste pubblicazioni mirando, negli interventi e nella parte documentaria, a fornire un quadro completo, nei limiti dello spazio predisposto, della storia, della situazione sociale, del tempo, dei fatti, del pensiero del Santo, autore anche di numerosi volumi, dello spirito religioso e pedagogico, delle figure che lo hanno affiancato e poi hanno proseguito la sua opera fino ai nostri giorni. Un volume che è un tributo e un ringraziamento al Fondatore e all'Opera Guanelliana, ma anche uno strumento utile e pratico per chiunque voglia sapere chi è stato San Luigi, cosa ha fatto, detto, predicato, da dove sia venuto e dove sia approdata la sua Opera quando ha lasciato la terra per il Cielo e come sia proseguita.
Il giovane Giuseppe era cresciuto in una buona famiglia guidata da suo padre Giacobbe. Il nome appare in fondo alla genealogia elencata dall’evangelista Matteo. E Dio lo arricchì delle sue grazie preparandolo a essere un degno sposo della Vergine Maria, la madre di Gesù: una pedagogia divina che operò attraverso le vicende umane. L’infanzia di Giuseppe è facile immaginarla attenendoci alle tradizioni tramandate oralmente in Israele, come si è detto, e poi raccolte e scritte nel Talmud, dalle cui pagine possiamo apprendere la graduale formazione religiosa di un giovane ben disposto ad assecondare l’opera della grazia.
Anzitutto Giuseppe, fin da quando riuscì a pronunciare la parola amen (così prescrive il Talmud) veniva condotto ogni sabato alla sinagoga dal padre Giacobbe. E qui imparò a leggere e a scrivere in lingua ebraica. Il dialetto aramaico lo apprese in famiglia e dai ragazzi con i quali condivideva il gioco.
Poi, al traguardo dei tredici anni che segnava il passaggio dalla fanciullezza alla maturità per ragazzi e ragazze ebraiche, Giuseppe poté muoversi autonomamente, aggregandosi anche ai pellegrini durante le visite al Tempio di Gerusalemme. I giovani potevano così frequentare le lezioni dei maestri della Legge nella sinagoga annessa al Tempio.
Gli esperti in sacra Scrittura - di solito farisei che si dedicavano non a tempo pieno all’istruzione dei giovani, - ascoltavano attentamente le domande che i giovani gli rivolgevano e le loro risposte; in tal modo colmavano le inevitabili lacune della loro formazione religiosa. I villaggi lontani da Gerusalemme raramente erano visitati da celebri rabbini.
Dal padre Giacobbe, di discendenza davidica, approdato a Nazareth dalla nativa Betlemme, Giuseppe imparò a memoria le quotidiane benedizioni che recitava nei tre momenti della giornata in compagnia del padre, durante la pausa di lavoro nella bottega. Le benedizioni venivano poi riposte nel tubo di metallo (il mezuzah) conservato in una apposita cassetta appesa alla parete, a imitazione di quanto avveniva il sabato nella sinagoga.
L’adolescenza è l’età della contraddizione. Se si vuol capire l’adolescente, bisogna tenere presente che se chiede “A”, dentro, implicita, c’è anche la richiesta “B”. Per educare un adolescente bisogna rispondere ad entrambe le richieste, soprattutto alla seconda, quella non espressa. Un esempio. L’adolescente si pone in un atteggiamento di autonomia. Ma nell’adolescente è forte anche il bisogno di dipendenza. L’adolescente va accompagnato, quindi, non solo nella sua richiesta di autonomia, ma anche con un accompagnamento autorevole.
Festa è un parola importante, necessaria quanto il lavoro, anzi: in questi tempi di diffusa crisi economica, solo il fatto di avere un buon lavoro oggi è già motivo sufficiente per fare festa». La festa è componente fondamentale di una vita che vuole essere pienamente umana, ma è necessario capire cosa è festa. L’uomo moderno, infatti, ha creato il tempo libero, ma ha perso il senso della festa e in particolare della domenica.
Per la famiglia l’esperienza della festa è esperienza di un tempo molto speciale: «Parte dell’emozione della festa è desiderarla, aspettarla e prepararla. Diciamo che essere in festa si apprende, la festa non si improvvisa come non si improvvisa essere amici. La festa è un ingrediente per creare legami che uniscono le persone che diventano parte della nostra vita. Nel focolare della famiglia, la festa è un giorno speciale, dove c’è posto per la contemplazione, l’adorazione, la gratitudine, come è la domenica».
La Chiesa è nata intorno all’Eucaristia e in essa «abbiamo qualcosa di più importante del divertimento: abbiamo l’amore portato agli estremi». Partendo da questa premessa, il card. Sean O’Malley, arcivescovo statunitense, ha proposto la sua riflessione su «Santificare la festa: la famiglia nel giorno del Signore». Secondo il cardinale, «la nostra celebrazione dell’Eucaristia, il sacrifico della messa, è per noi cattolici un pasto familiare. È lì che noi facciamo esperienza dell’amore di Dio e impariamo la nostra identità, chi siamo, perché siamo al mondo e cosa fare della nostra vita. Quando partecipiamo alla messa con loro, insegniamo ai nostri figli e nipoti una delle lezioni più importanti. I bambini che sentono dai loro genitori quanto e perché essi amano la messa, saranno meno portati a paragonare la messa con la televisione e considerarla noiosa».
L’intervento del card. Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio della famiglia, ha parlato all’Incontro mondiale sul tema: «La famiglia, il lavoro e la festa» e lo ha trattato alla luce del libro della Genesi riguardo ai «tre beni che si realizzano nella relazione con gli altri e con Dio». Questa relazionalità, ha suggerito il cardinale, è da valorizzare: «Gli altri non vanno guardati come rivali da sovrastare e utilizzare, ma come alleati con i quali aiutarsi, per crescere insieme. Non è lecito ridurli a strumento. Sono un bene in se stessi e meritano di essere rispettati, amati e valorizzati. In una stagione della storia nella quale la persona è ridotta ad individuo, la società a gioco d’interessi, la felicità a piacere, la verità a opinione, anche la famiglia, il lavoro e la festa subiscono riduzioni e distorsioni. Tutte le dimensioni della vita devono essere plasmate dall’amore». Nella riflessione del card. Antonelli «non solo nella famiglia e nella festa, ma anche nel lavoro e nell’economia deve prevalere la logica del dono, integrando utilità e gratuità, bene strumentale e bene voluto per se stesso. La famiglia è un fenomeno universale nella storia del genere umano. Ha una struttura permanente, costituita dal rapporto tra i due sessi, legame uomo-donna, e dal rapporto tra le due generazioni, legame genitori-figli, legami non solo affettivi, ma anche etici».
Il card. Antonelli ha concluso il suo intervento con un auspicio: «La cultura individualista, utilitarista, consumista, relativista ha impoverito le relazioni umane e ha compromesso la fiducia tra le persone; ha provocato la crisi dell’economia, del lavoro e della famiglia. La riscoperta dell’uomo come soggetto essenzialmente relazionale e la cura per la buona qualità delle relazioni porteranno al superamento della crisi del lavoro e della famiglia. La crisi fa emergere il malessere latente da tempo e apre prospettive nuove».
«Cari ragazzi, vi dico con forza: tendete ad alti ideali, siate santi! Ma è possibile essere santi alla vostra età? Vi rispondo: certamente! Lo dice anche sant'Ambrogio, grande Santo della vostra Città, in una sua opera: ogni età è matura per Cristo. Non manchi poi la vostra preghiera personale di ogni giorno. Imparate a dialogare con il Signore, confidatevi con Lui, ditegli le gioie e le preoccupazioni, e chiedete luce e sostegno per il vostro cammino».
«Non siate pigri, ma ragazzi e giovani impegnati, in particolare nello studio: è il vostro dovere quotidiano e una grande opportunità che avete per crescere. Siate disponibili e generosi verso gli altri, vincendo la tentazione di mettere al centro voi stessi, perché l'egoismo è nemico della gioia».
Cari ragazzi, tutta la vita cristiana è un cammino, è come percorrere un sentiero che sale su un monte in compagnia di Gesù; con questi doni preziosi la vostra amicizia con Lui diventerà ancora più vera e più stretta. Questa amicizia si alimenta continuamente con il sacramento dell'Eucaristia, nel quale riceviamo il suo Corpo e il suo Sangue. Per questo vi invito a partecipare sempre con gioia e fedeltà alla Messa domenicale, quando tutta la comunità si riunisce insieme a pregare, ad ascoltare la Parola di Dio e a prendere parte al Sacrificio eucaristico. E accostatevi anche al Sacramento della Penitenza, alla Confessione: è l'incontro con Gesù che perdona i nostri peccati e ci aiuta a compiere il bene».
«La santità è la via normale del cristiano: non è riservata a pochi eletti, ma aperta a tutti. Naturalmente, con la luce e la forza dello Spirito Santo! E con la guida di nostra Madre. Chi è nostra Madre? È la Madre di Gesù, Maria. A lei Gesù ci ha affidati tutti, prima di morire sulla croce. La Vergine Maria custodisca allora sempre la bellezza del vostro 'si" a Gesù, suo Figlio, il grande e fedele Amico della nostra vita».
Ti prepari per tre anni a questo 7° incontro mondiale delle famiglie. Poi ti basta salire sull’auto che viene a prenderti alla stazione e scambiare qualche parola con l’autista, uno dei cinquemila volontari. è un operaio, sindacalista nella sua fabbrica. Ha preso le ferie per lavorare da volontario. Gli basta essere vicino a tante famiglie, lui che la famiglia non l’ha avuta da quando è nato: genitori subito separati; fratelli e sorelle rintracciati – a stento – dopo decine di anni; darebbe chissà che cosa per conoscere e frequentare almeno i nipotini. E per di più ci ringrazia di essere venuti, di portare aria di famiglia, di raccontare che la famiglia c’è e vuole contare. “Vi prego, fatelo anche per me”.
Poi arrivi al banco dell’accoglienza: ragazzi con la maglietta dei volontari e col sorriso pronto ad accogliere, ascoltare, rispondere, accompagnare, risolvere. Sono schierati come piccoli plotoncini; ognuno con la sua guida che, subito, allerta: “Ai posti, ragazzi, sta arrivando il mondo!”.
Rev.mo don Mario,
ringrazio lei e i suoi collaboratori per la bellissima cartolina con gli auguri onomastici, che ammiro con piacere, con quella finestra aperta che mostra un giardino pieno di fiori e che mi fa pensare al Paradiso che ci attende, “cieli nuovi e terra nuova” che San Paolo, rapito al terzo cielo vide. Noi, comunque, per ora ci accontentiamo di vederlo nella fede, nell’attesa di arrivare là quando il Signore vorrà, per cantare insieme alla nostra Mamma celeste, San Giuseppe con tutti gli altri Santi e Angeli il nostro eterno Alleluia! Vero? La saluto e chiedo di benedirmi mentre assicuro il mio ricordo nella preghiera. Dev.ma in Gesù.
Suor M. Giulia Dell’Arco – o.p.
Spettabile redazione di "la Santa Crociata in onore di San Giuseppe"
Vi ringrazio del fatto che ci inviate il Vostro bel giornale da molto tempo nonostante le ns offerte non arrivino.
Purtroppo devo dirvi che non potremo mandarvi nulla a causa di difficoltà economiche.
Ci spiace però che sprechiate risorse per inviarci il giornale e questo investimento non porterà ad alcuna entrata.
Valutate quindi se non sia meglio per voi sospendere l'invio.
Aggiungo i dati dell'indirizzo che trovo sulle copie che arrivano.
Fabio e Gilda , Delebio (SO)
Gent.mo Direttore,
cari amici, con grande tristezza vi scrivo per comunicarvi la scomparsa della mia cara mamma Nella Lisci, affezionata lettrice e divulgatrice del vostro mensile, ma soprattutto vorrei offrirvi la testimonianza della sua grande devozione per San Giuseppe e delle grandi consolazioni legate alla pratica del S. Manto. Ogni circostanza, ogni occasione, sia di gioia che di sofferenza, era legata al suo intenso rapporto di preghiera e confidenza con San Giuseppe. Devo dirvi che è stato un grande segno per me e anche motivo di riflessione e meditazione considerare che la mia cara mamma è volata in Cielo nelle ultime ore del giorno 9 marzo, per un infarto preceduto da un lieve malessere. È stata premiata con una morte santa che l’ha condotta dolcemente in Cielo dove, sono certa, ha potuto celebrare nell’abbraccio del Padre la cara pratica della Novena a San Giuseppe, che si apprestava a recitare con fede per la sua festa. Quanto vi ho raccontato forse n ha nulla di eclatante, ma per me ha assunto un forte che rafforza la mia fede e mi conforta nella certezza che mamma mi sorride mi incoraggia a proseguire con fiducia il suo cammino di fede. Un grazia a tutti voi per la preziosa opera che svolgete anche attraverso il vostro mensile.
Lina Lisci , Cagliari