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Super User

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Mercoledì, 12 Marzo 2014 17:03

Noi e la povertà

Seguire Gesù povero

di Mario Sgarbossa

Povertà che educa e al tempo stesso che provoca e dà scandalo come la visse frate Francesco, e la Santa Famiglia di Nazareth. Nel precedente articolo (gennaio 2013), parlando del Poverello d’Assisi, si è detto che i poveri interrogano la Chiesa. Ora ascoltiamo la risposta che a questo interrogativo dei poveri dà la Chiesa, oggi,  con l’esempio e con le parole dei suoi ministri, dai più titolati agli ultimi nella scala gerarchica, i preti “in cura d’anime”, appunto chi condivide in loco povertà e speranze del popolo, per cui il pastore sente, come dice il Papa Francesco, l’odore  delle sue pecore.
Mercoledì, 18 Febbraio 2015 15:32

Spiritualità e devozioni come anima in un corpo

Stimato signor Direttore, 
sono un’iscritta alla Pia Unione di San Giuseppe, leggo con profitto la rivista, cerco di essere fedele alla preghiera quotidiana per i morenti, a volte, recito il sacro Manto in onore di San Giuseppe. Le scrivo per un chiarimento: a volte mi chiedo se le pratiche in onore di san Giuseppe sono una semplice devozione, oppure  la conseguenza di una spiritualità specifica?
Tiziana Vella – Catanzaro
 
Caro Direttore,
avvicinandosi il periodo dell’Avvento e, quindi, il Natale, mi sono chiesto se era necessario che la vergine Maria fosse sposata.  San Giuseppe le è accanto come “copertura legale”. Che cosa impediva a Dio di far nascere suo figlio Gesù direttamente da Maria, senza coinvolgere san Giuseppe in un dramma sentimentale con un pesante travaglio? Se può aiutarmi, la ringrazio.
Rita – Milano
 
I trattati di teologia dedicano pochissimo spazio al tema del matrimonio della Madre di Gesù, non solo trascurando il suo stato civile di «sposa di Giuseppe», ma preferendole altre «nozze», che la trasformano rispettivamente in sposa della SS. Trinità, sposa del Padre, sposa del Figlio, sposa dello Spirito Santo, sposa della Chiesa, sposa dell'anima. Scompare il titolo di «sposa di Giuseppe», molto sottolineato, invece, da Matteo e Luca, che sono la testimonianza della predicazione della Chiesa apostolica. «Gli evangelisti, infatti, pur affermando chiaramente che Gesù è stato concepito per opera dello Spirito Santo e che in quel matrimonio è stata conservata la verginità (cf. Mt 1,18-25; Lc 26-38), chiamano Giuseppe sposo di Maria e Maria sposa di Giuseppe (cf. Mt 1,15.18-20.24; Lc 1,27; 2,5). Ed anche per la Chiesa, se è importante professare il concepimento verginale di Gesù, non è meno importante difendere il matrimonio di Maria con Giuseppe, perché giuridicamente è da esso che dipende la paternità di Giuseppe. Da qui si comprende perché le generazioni sono state elencate secondo la genealogia di Giuseppe».
Già sant'Agostino se ne era reso perfettamente conto. San Tommaso l’evidenzia considerando espressamente la «verità» di questo matrimonio. Nella Summa (q. 29), lo sposalizio della Madre di Dio lo mette subito di fronte a due questioni: Cristo doveva nascere da una donna sposata? Il matrimonio tra la madre del Signore e Giuseppe fu vero matrimonio?
Evidentemente per questi due grandi teologi il matrimonio di Maria e Giuseppe non era una questione puramente personale, ma aveva uno stretto rapporto con il mistero dell'incarnazione e della redenzione, e andava, perciò, seriamente studiato.
Nell'ambito della domanda, san Tommaso sostiene che la nascita di Cristo da una vergine sposata era conveniente per lei: 1) per preservarla dalla pena della lapidazione; 2) per liberarla dall'infamia; 3) perché Giuseppe le fosse di aiuto; 4) perché la testimonianza di Giuseppe garantisce che Cristo è nato da una vergine; 5) per rendere più credibili le parole stesse della Vergine affermante la propria verginità; 6) perché nella persona della Madre del Signore, sposata e vergine, sono onorati e la verginità e il matrimonio. Come si vede, le motivazioni non sono poche, né di poco peso.
A ragione, dunque, Matteo considera Maria «sposata» (1,18) e «coniugata» (1. 20-24). 
Padre Tarcisio Stramare
Sabato, 08 Novembre 2014 11:09

Il regno del male da illuminare con il bene

Il regno del male da illuminare con il bene 

 

Tante volte nel nostro agire si compiono azioni per così dire "non buone". Le compiamo nella nostra piena libertà è vero, ma quanta debolezza. Non compiamo il bene che vogliamo e invece ci riesce a commettere il male che contestiamo. Il confine tra buono e male non appare subito evidente. In che modo può essere svelato il "principe di questo mondo" nelle nostre azioni? Ci sono precauzioni? 
Il Papa Francesco recentemente ha ricordato che non è passato di moda il diavolo. Anzi lavora più che mai.
Grazie per l'aiuto che potrà dare tramite la sua risposta.
Luciano Veronesi - Lucca
 
Gentile e caro signor Luciano,
lei chiede una risposta alla nostra fatica quotidiana nel compiere il bene ed evitare il male. La libertà è la prerogativa che Dio ha concesso come custode geloso per ogni creatura. Ma quanta fatica essere davvero liberi. I momenti di autentica libertà hanno la durata minore di un buon profumo, sono come l’acqua nella mano: non si può trattenere.
Lunedì, 16 Giugno 2014 12:04

Il purgatorio

Ho letto sulla vostra rivista del «Suffragio perpetuo» e poiché penso che questo suffragio sia legato al Purgatorio, volevo sapere qualcosa di più dell’uno e dell’altro.
La ringrazio.
Letizia di Torre Annunziata
 
Per rispondere alla sua prima domanda è necessario illustrare la seconda. Quella sul purgatorio.
Innanzitutto il purgatorio non può essere pensato come un campo di concentramento in cui le anime sono recluse in attesa di scontare una pena prima di poter vedere Dio faccia-faccia. Un’immagine evangelica che getta una luce d’intuizione sulla realtà del purgatorio è il tradimento di Pietro. L’evangelo dice che Gesù si voltò e gli occhi di Pietro s’incrociarono con lo sguardo del Maestro, il capo degli apostoli fu sconvolto dal dramma del suo tradimento e pianse amaramente. I suoi occhi non hanno retto allo sguardo di Gesù.
Lunedì, 12 Maggio 2014 12:52

I fratelli e le sorelle di Gesù

Sull’ultimo numero della nostra rivista ho letto con interesse la rubrica «Il problema del mese»: I Vangeli apocrifi, e subito mi è sorta la curiosità di conoscere l’interpretazione della meraviglia degli abitanti di Nazareth quando Gesù nella sinagoga parla della sua identità e i suoi compaesani si domandano da dove venisse quella sapienza per questo giovanotto di professione «carpentiere, figlio di Maria, fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?». La famiglia di Gesù era una famiglia numerosa?
Spesso sento parlare di «vangeli apocrifi» dove sono raccontati soprattutto i fatti che riguardano l’infanzia di Gesù con Giuseppe e la sua sposa Maria. I capitoli evangelici della vita pubblica di Gesù narrano dei fatti, delle circostanze, invece quelli della nascita e dell’infanzia di Gesù ricorrono a circostanze e situazioni un poco singolari. Ci sono sogni, visioni che sono state narrate dopo anni di distanza dagli avvenimenti. Quale quoziente di affidabilità hanno questi vangeli?

 Caterina Gennari - Milano

 
Gentile signora Caterina, la ringrazio per questa domanda che ci offre l’opportunità di dare una parola chiarificatrice su quest’argomento, che ci sta a cuore non solo da un punto di vista generale, ma anche perché un nostro confratello guanelliano, don Mario Erbetta, formidabile conoscitore delle lingue orientali, ha dedicato la vita allo studio e all’insegnamento sui vangeli apocrifi all’Università Urbaniana, pubblicando un grosso e assai qualificato volume sui vangeli apocrifi. 
Diciamo subito che gli «apocrifi» che riguardano il Nuovo Testamento sono degli scritti che non fanno parte del canone biblico (cioè della raccolta ufficiale dei testi) del NT, ma dai titoli, dalla presentazione, dal modo con cui trattano l’argomento riguardante Gesù e la sua famiglia si presentano come testi che per la loro antichità rivendicano una credibilità degna di attenzione non pari a quella del canone degli evangeli riconosciuti dalla Chiesa, ma fanno da cornice ad avvenimenti veritieri con il tentativo di completarli con alcune narrazioni a volte fantasiose e altre volte verosimili. 
Caro Direttore,
nel periodo della Quaresima la Chiesa ci invita a essere più generosi nei confronti dei poveri, i senza fissa dimora, i barboni. È fuori dubbio che davanti a Dio sia un’azione altamente meritoria, però mi sorge una perplessità. Con il fatto che mani caritatevoli rimediano ogni tipo di assistenza, è possibile che questi indigenti possano adagiarsi alla loro condizione di povertà e abituarsi a una situazione di ignavia, indolenza?
 Roberto Giannelli - La Spezia
 
Caro Roberto, 
il pericolo esiste. Pur ricordando in linea di principio che la carità ha sempre una dimensione educativa, cioè: non si possono lasciare le persone così come sono, bisogna non solo offrire «il pesce per sfamarsi, ma fornire loro anche una canna da pesca per pescare».
Mercoledì, 09 Settembre 2015 13:57

Apostoli, testimoni e buoni samaritani

Nel mese di ottobre, oltre alla recita del santo Rosario, sembra che la liturgia abbia il compito di ricordarci i copiosi e saporosi frutti della santità, offerti dall’esempio dei santi ricordati nel calendario liturgico in questo mese. Il mese di ottobre commemora il genio femminile con due sante «dottoresse», esperte in dottrina e santità: santa Teresa di Lisieux, il 1° ottobre, e santa Teresa d’Avila, il 15 ottobre. Entrambe le sante hanno vissuto una spiritualità assai ispirata dall’esempio di san Giuseppe. La prima, che desiderava «essere come il cuore per la Chiesa», nell’aiuola della santità, è un fiore delicato, fragile e gentile. Per il suo sapiente itinerario nella santità, durante la XII Giornata della gioventù del 1997 a Parigi, Giovanni Paolo II la propose ai giovani come modello di una santità possibile. Il 18 ottobre la Chiesa canonizzerà anche il papà e la mamma di santa Teresina. La seconda, santa Teresa d’Avila, sia per carattere come per spirito d’intraprendenza, completa le caratteristiche della santità di santa Teresina.

Mercoledì, 24 Settembre 2014 13:30

Con la Parola di Dio del mese di ottobre

1 ottobre

Santa Teresa di Gesù Bambino carmelitana (1873-1897), dottore della Chiesa

La "santa del sorriso", che "si era offerta a Gesù Bambino per essere il suo trastullo, una pallina di nessun valore, da poter buttare per terra, da spingere col piede, lasciare in un canto", fu presa in parola. Marie Françoise Thérèse Martin, giovane di trasparente bellezza, orfana di madre a quattro anni, cresciuta ad Alençon accanto a un padre affettuoso e buono, all'età di quindici anni poté entrare per indulto speciale nel Carmelo di Lisieux, dove già due sorelle l'avevano preceduta e la terza l'avrebbe seguita. Nei nove anni di vita claustrale Teresa lasciò un segno profondo, offrendo al mondo cristiano la sorprendente immagine di una giovane monaca che pur relegata nella stretta clausura del Carmelo visse immersa nella vita ecclesiale, tanto da essere dichiarata nel 1927, a due anni dalla canonizzazione, patrona delle Missioni con san Francesco Saverio, e nel 1944 co-patrona della Francia accanto alla battagliera santa Giovanna d'Arco.
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