L’icona della natività ci apre un mondo grandissimo, il mondo di Gesù, cioè come lui ha voluto nascere, vivere, chi ha voluto accogliere, che cosa ha voluto portare; in fondo questo mistero ci dice come lui ha voluto essere, e ci chiama a condividere con lui lo stesso stile di vita.
La scena che contempliamo oggi non è solamente un esempio da imitare: prima di tutto, è un evento che accade, e che segna la vita e in qualche modo la vocazione stessa di Maria. In fondo, la visitazione è solo la prima di tante visite che Maria compie agli uomini: lei entra nelle nostre vite, ci porta il suo figlio, si prende carico di noi, della nostra lontananza, e viene a visitarci. Ogni volta che la acclamiamo con le stesse parole di Elisabetta: “Benedetta sei tu tra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno”, continua ad accadere, ma questa volta proprio per noi, quella prima e originaria “visitazione”, che abbiamo contemplato nel mistero.
In questo mistero contempliamo come Gesù Cristo annuncia il Regno di Dio, la sua vicinanza e la sua presenza in mezzo agli uomini: perdonando i peccatori, guarendo i malati, annunciando la Parola. In un solo termine, potremmo dire che Gesù annuncia il Regno, e annunciandolo lo fa presente, “consolando” il suo popolo: la presenza di Dio in mezzo a noi è sempre una presenza di consolazione. Questa presenza sgorga dalla parola che Gesù ci dice, e si riempie di tantissimi colori diversi. Per qualcuno il Regno che viene è innanzi tutto una chiamata a lasciare tutto, farsi libero dai propri ripiegamenti sulla propria vita, a diventare libero per seguire Gesù, come per il pubblicano Levi-Matteo. Per altri, come per l’adultera, è l’esperienza che Dio è più grande del proprio peccato, che non siamo da Lui condannati e giudicati, ma accolti e benvoluti. Per altri, come i lebbrosi, è il fatto inspiegabile di essere risanati, nel corpo o nell’anima, di uscire da una qualche somiglianza con la morte, che i lebbrosi mostrano nel loro corpo, per entrare in una dignità nuova e più grande. Per altri, come gli indemoniati, è scoprire che esiste una Parola che è più forte delle catene che ci legano, delle schiavitù che ci vincolano, delle infelicità che ci attanagliano, è vivere l’incontro inaspettato con Colui che viene a farci liberi e figli di Dio, da estranei o nemici che ci ritenevamo; e così via, in tante forme quante sono le figure che i vangeli ci mostrano, e che si possono concretizzare in noi stessi, nelle nostre vite.
La parola di Gesù infatti è come un prisma, nel quale la luce di Dio si rifrange in molteplici colori e varie sfaccettature, ed entra nelle nostre vite con modalità diverse, ma sempre liberando, guarendo, consolando. Direi che contemplando questo mistero possiamo chiedere che il Regno di Dio per noi non sia una teoria, come a volte si ritiene. La fede infatti non è un libro che si legge, una ideologia che professiamo, anche se possiamo scrivere un libro su di essa oppure trarne una dottrina e un insegnamento, ma è innanzi tutto un incontro, vorrei dire un fatto, o una serie di fatti, che ci rivelano, come nascosto dietro le tende, Qualcuno. Questo Qualcuno è Gesù che ancora, come ai tempi della sua vita terrena, passa, sanando e beneficando tutti; dalle sue vesti, dal suo mantello, che è la Parola di cui è rivestito e portatore, sgorga una forza che sana e guarisce, e noi ci troviamo dunque come l’emorroissa, risanata e guarita, nonostante la sua triplice inguaribile impurità, di donna, di pagana, del sangue impuro che da lei sgorga. Oppure, come la samaritana, siamo smascherati nelle nostre piccole furberie, nei nostri pregiudizi, nelle nostre ambiguità e contraddizioni, e la Parola ci rivela per quel che siamo; ma non ci umilia, piuttosto ci solleva, e ci rende anche noi portatori e annunciatori dell’esperienza che abbiamo vissuto.
L’agire della Chiesa, cioè di tutti noi, non è altro infatti che essere trasparenza di quel che noi stessi abbiamo toccato con le nostre mani, visto con i nostri occhi, ascoltato con le nostre orecchie, come dice San Giovanni nella sua prima lettera. E come potrebbe dire certamente anche Maria, che sentiva dalla gente quanto il suo Figlio compiva, ci rifletteva, custodiva quanto accadeva intorno a sé nel suo cuore, lo confrontava con le parole dei profeti che sentiva annunciare nella sinagoga, riportandole al Figlio che aveva generato e che, unica, sapeva chi era veramente, perché sola sapeva come lo aveva generato. Anche in questo mistero Maria ci appare come la vergine saggia, che illumina la sua vita con l’esercizio continuo e fedele della meditazione della Parola di Dio, con il suo rifletterla e come scrutarla presente nella propria vita, nei segni che Gesù compie, nel vederla attuata e compiuta in quanto il suo Figlio dice e compie.
Possiamo pregare dunque per tutti noi, per le persone di questo mondo: perché anche oggi e anche da noi Gesù vuole farsi incontrare, e vuole che la sua Parola liberi, guarisca e consoli. Possiamo pregare perché questo incontro si compia nella grazia dello Spirito Santo e, infine, per essere noi stessi strumento e come guida agli altri per questo incontro che noi stessi abbiamo sperimentato.
È un tema non irrilevante nella società contemporanea, soprattutto in questa stagione di regali natalizi.
Uno studio del “Centro studi Cosmetica Italia” rileva che il fatturato delle imprese nazionali nel settore cosmetico a fine 2018 era di oltre undici milioni di euro che, si prevedevano in espansione l’anno successivo. Pur non volendo apparire moralisti, possiamo chiederci se ciò appartiene alla doverosa cura del corpo o invece riveli un’attenzione eccessiva o patologica. Dai resoconti appare che ciò non è appannaggio solo del mondo femminile, ma interessa anche quello maschile: tanta è la forza persuasiva soprattutto della pubblicità.
Nel canonizzare una persona santa la Chiesa accende nel suo firmamento delle vie maestre, strade garantite per una laurea in santità.
La liturgia, celebrata con fede e non solo per devozione o abitudine, morde la vita e la illumina dei colori dell’arcobaleno e ci avvolge in un abbraccio affettuoso che fa pulsare nel cuore dei credenti i valori essenziali del vivere umano. Un’iride colorata dalla nostalgia di una felicità sognata, sperata, è innestata come un embrione nel giorno del battesimo.
Non è qui il caso di trattare sull’importanza di quest’opera di carità, tanto raccomandata da Gesù stesso, praticata in ogni epoca dalla Chiesa e raccomandata da tutte le principali religioni. Fermiamoci al problema: bisogna fare la carità a questi “homeless”? Chi sono veramente “i poveri”? Solo i barboni che incontriamo per strada?
Di san Giuseppe i vangeli non danno molte notizie, limitandosi a registrare il suo silenzioso e concreto apporto agli inizi del grande mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio, fino al raggiungimento dei dodici anni di età. Dopo il ritrovamento di Gesù nel tempio di Gerusalemme, mentre conversava con i dottori, a Giuseppe si accenna appena quando Gesù è indicato come «figlio del carpentiere» (Mc 6, 3; Mt 13, 55).