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di Fabio Pallotta

Chi conosce un po’ l’animo di San Luigi e il suo sentire verso la Chiesa,
sa che verso il Papa nutriva fede, semplicemente fede,
non meno che la fede nella Scrittura e nei Sacramenti

Aveva solo quattro anni don Guanella quando fu eletto Papa Pio IX ed era già trentaseienne quando questi morì; metà della sua vita fu segnata dalla figura di Papa Mastai, infanzia, adolescenza, primo sacerdozio; poi visse per altri 25 anni sotto Leone XIII che fu il papa della sua esperienza di Fondatore, nell’arco di tempo che lo vide aprire a Como e arrivare a Roma; maturo di anni e di fama, già additato come santo, la Provvidenza gli regalò il veneto Pio X, un Papa amico che lo trattava quasi alla pari e gli apriva le porte più impraticabili; nell’ultimo anno di vita, dopo umiliazioni inenarrabili, la gioia di sapere che le sue Suore, ricevute dal nuovo Papa, Benedetto XV, si erano sentite dire: “Se voi siete di don Guanella… io voglio vederlo questo don Guanella”.

di Fabio Pallotta

Arrivare a Roma nel 1903, ormai sessantenne con quasi trenta case già aperte,
fu come saltare finalmente tutti gli intermediari e i portavoce
e attaccare una presa diretta con la Chiesa

Sentì suonare le campane della Città e scoppiò a piangere per l’emozione. Per don Guanella mettere radici a Roma non fu un evento funzionale, ma una sorta di abbraccio con la Chiesa: Roma era il Papa, il Papa era la Chiesa, la Chiesa era la Madre di cui aveva scritto tanto negli anni giovanili, prima e dopo la morte di sua mamma, avvenuta nel 1879 quando don Luigi aveva 37 anni e attraversava la stagione più promettente e più ostacolata della sua vita, a Traona.
Naturalmente il suo sentire la Chiesa era maturato lungo gli anni da una visione unilaterale, battagliera e quasi ingenua ad una passione più intima e anche più consapevole, ma era stato il suo primo amore e non lo tradì mai. Fino alla morte sentì che la Chiesa era davvero il capolavoro di Dio realizzato con i deludenti materiali umani, di cui uno era lui stesso.
La Chiesa per lui aveva il volto dei Pastori che aveva visto ostacolati nel ministero, perché veniva loro negato il riconoscimento civile e non potevano raggiungere le rispettive sedi; il volto di mons. Frascolla, Vescovo prigioniero che lo consacrò prete e gli suscitò amore eterno verso tutti i perseguitati per causa della giustizia che poi avrebbe trovato; il volto paterno e incoraggiante del cardinal Ferrari, che lo sostenne e lo lanciò nell’avventura di Fondatore; il volto dei Vescovi che spesso lo ostacolarono e lo isolarono, riservandogli pochi elogi, quasi sempre serviti in salsa amara; il volto dei suoi fedeli di Prosto, Savogno, Traona, Gravedona, Olmo, dei poveri che hanno fame e sete di Dio.

Giovedì, 12 Gennaio 2012 12:10

Occhi sul passato per leggere il futuro

di Mario Carrera

L’acqua della storia passa voluminosa e imponente, sedimentando sul letto del fiume schegge del metallo prezioso. L’abilità del ricercatore consiste nell’individuare nella sabbia del setaccio quel luccichio d’oro, frammento di una possibile fortuna

La nostra epoca tecnologica vive in simbiosi con il computer, tuffata nella sua oceanica memoria. In quel serbatoio di notizie troviamo tutto. In questa navigazione, però, è indispensabile una guida, infatti «se non c’è una mente che seleziona, elabora, interpreta, e comprende, quell’immensa massa di dati può solo creare l’illusione di sapere».  Senza un «maestro» questo sapere è volatile come fumo, nebbia, rugiada evaporata al primo sole.

Per difendere e testimoniare il Vangelo

«Ifigli sono la pupilla dei nostri occhi [...] Che ne sarà di noi se non ci prendiamo cura dei nostri occhi? Come potremo andare avanti?», così Papa Francesco all’apertura della Giornata Mondiale della Gioventù in Brasile. Quest’anno 2014, la Conferenza episcopale italiana per la Giornata della Vita ha lanciato un messaggio con questo slogan: «Generare futuro». Il futuro è nei desideri di tutti perché ogni figlio è l’apparizione tra noi del volto del Signore «amante della vita» e sorgente di ogni futuro. Questa volontà di futuro è coltivata anche all’ombra della nostra basilica di San Giuseppe. Nel mese di giugno dello scorso anno la parrocchia di San Giuseppe al Trionfale ha inaugurato un Centro di ascolto e di aiuto alla vita nascente. In questa comunità ecclesiale è stato affidato a San Giuseppe il compito di essere il custode della vita dal momento della nascita al suo naturale partorire nell’abbraccio misericordioso di Dio per l’eternità.

Giovedì, 05 Dicembre 2013 16:30

Pellegrinaggio degli antichi parrocchiani

Nell’accogliere i pellegrini di Pianello in arrivo a Roma ho provato i sentimenti di Giuseppe l’ebreo, quando ha incontrato i suoi familiari. È stato come un incontro di famiglia, legata da vincoli antichi con le radici nell’unica fede, che nella città santa di Roma ha conosciuto la testimonianza di migliaia di martiri.
Accanto all’immagine del lontano Egitto, c’era anche un accostamento tra Pianello del Lario e la sponda del lago di Genezaret a Cafarnao.
Come Gesù ha incontrato i suoi primi discepoli a Cafarnao, così don Guanella ha raccolto a Pianello le prime generose anime di ragazze per formare la sua nuova congregazione. Inoltre, come Gesù ha scelto Pietro per affidargli la Chiesa, don Guanella ha scelto e coltivato don Leonardo Mazzucchi per affidargli il futuro della congregazione dei Servi della Carità.

di Wladimiro Bogoni

Ci sono tante anime eucaristiche nella Parrocchia di San Giuseppe al Trionfale! è una delle più belle e confortanti scoperte come parroco, da poco più di un anno, della parrocchia san Giuseppe al Trionfale.
L’occasione per questa piacevole constatazione è venuta, quando il 1 Novembre u.s. il consiglio presbiterale con il consiglio pastorale, iniziando a concretizzare il progetto pastorale della parrocchia per il triennio 2011-2014, approvato nella giornata/ritiro del 01 ottobre presso il Santuario della Mentorella, ha fatto partire, sotto il coordinamento di Stefano Marchionni, l’iniziativa della «Adorazione eucaristica quotidiana continua».

Mercoledì, 19 Dicembre 2012 14:27

Dicembre: riserve, orto e prodotti spontanei

di Carlo Lapucci

Se a novembre si comincia a sentire sensibilmente la diminuzione del flusso degli alimenti che arrivano dalla terra sulla  tavola, a dicembre si avverte che la natura è entrata nel suo riposo annuale. Un tempo le massaie si difendevano con i diminuiti prodotti dell'orto e le riserve conservate: la frutta sui cannicci o secca, i pomodori appesi ai tralicci, carne e ortaggi sott'olio, sott'aceto, seccata, affumicata, funghi secchi, conserve, fagioli, ceci, lenticchie, castagne, fave, crepide, olive secche, pesce salato e altre risorse derivanti dai sistemi di conservazione elementare, come le uova che si mettevano sotto la cenere o sotto la sabbia per poterle consumare in questo periodo che le galline si riposano fino a gennaio.

di Carlo Lapucci

Per le nostre zone settembre è il periodo più generoso di frutti e alimenti donati dalla terra: dall'orto ai campi; gran parte delle risorse alimentari si raccolgono in questo tempo e tale è l'abbondanza che perfino le siepi sono piene di bacche e l'uomo, con gli animali, non riescono a utilizzare tutti i beni che sono a disposizione. Questo appare come uno spreco della natura, soprattutto agli occhi di coloro che un tempo potevano conservare pochissimo e avevano scarsi mezzi per farlo: la salatura, l'affumicatura, l'essiccamento al sole e in forno, la preparazione delle conserve, la messa sotto aceto, sotto spirito, sott'olio, ma si trattava di poche cose.
La natura però guarda lontano pensando a tutti e questa abbondanza esagerata torna utile per gli animali, molti dei quali si rimpinzano di tutto questo ben di Dio con una provvidenziale ghiottoneria. Molti infatti col freddo dovranno cadere in letargo e il grasso accumulato in questo periodo d'abbondanza servirà loro per vivere nell'inverno dentro le loro tane, sotto la terra, nel fango, nelle tane degli alberi, dentro gli alveari. Altri come gli uccelli si preparano alle migrazioni e anche loro hanno bisogno di riserve alimentari ed energetiche per attraversare i mari, percorrere immense distanze.

Giovedì, 12 Luglio 2012 10:00

Cipolle, angurie e meloni

di Carlo Lapucci

Le piante alimentari che in questo periodo di calura offrono i loro frutti, le foglie, i tuberi da mettere in tavola sono tante (L'estate è la mamma dei poveri, dice un proverbio) che se ne presentano un paio, più caratteristiche e rappresentative, una delle quali è certo la cipolla, ingrediente fondamentale della cucina povera e ricca,
diciamo pure da sempre.
Scrive Plinio nella sua Storia naturale  (XX, 20): «In Egitto l'aglio e la cipolla sono considerati come divinità e vengono invocati nei giuramenti. I Greci distinguevano le seguenti specie di cipolla: quella di Sardi, la samotrace, l'alsidena, la setania, la schista e l'ascalonia, così chiamata dalla città che si trova nella Giudea. Tutte quante possiedono un odore che fa lacrimare gli occhi: al massimo grado la qualità di Cipro, al minimo quella di Cnido. Tutte hanno il corpo rivestito di tuniche cartilaginee... Da noi ci sono due specie principali: una impiegata per insaporire i cibi, che viene detta getion dai Greci e pallacana in latino, l'altra specie è quella "a testa grossa": si semina dopo l'equinozio d'autunno oppure dopo che ha cominciato a soffiare il favonio».

di Carlo Lapucci

Due proverbi indicano l'importanza che ebbero queste due piante nel passato quasi fino ai nostri giorni: L'aglio è la farmacia dei contadini; I fagioli sono la bistecca dei poveri. Infatti  senza questi due elementi la vita della povera gente un tempo sarebbe stata assai più tribolata: l'aglio oltre al sapore che con l'uso moderato conferisce agli alimenti, costituisce un antisettico prodigioso che preserva da malattie e contagi; i fagioli costituiscono un deposito di proteine che hanno una capacità alimentare vicina a quella della carne.
Giugno (oggi con coltivazioni speciali ci sono anche prima i mangiatutto oppure burrini) è il tempo della raccolta degli agli e della comparsa negli orti dei primi fagioli da sgranare, per cui è bene arrivare a questa scadenza dopo aver esaurito completamente le provviste dei fagioli e degli altri legumi secchi.

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