A Betlemme Lucifero ha suonato la tromba della mobilitazione generale e ha attivato il piano predisposto per fronteggiare le calamità impreviste.
La notizia non è per lui un segreto: se la sanno anche i saggi della corte di Erode, tanto più lui con tutta la sua schiera di demoni.
L’era messianica è arrivata e a Betlemme bisogna ricercare il discendente di Davide.
Per qualche anno si dovranno tenere d’occhio tutti gli appartenenti a questa stirpe. E’ chiaro che a lei appartengono soprattutto coloro che godono di una posizione privilegiata nella società del tempo, cioè i ricchi e i potenti, che di solito si accompagnano nel cammino. Se ne contano alcune migliaia in Israele e tra gli emigrati nei paesi confinanti. Da parecchio tempo è stato promulgato un decreto che decide l’espulsione di quanti non hanno peso sociale per meritare l’attenzione.
Anche Giuseppe di Nazareth è tra costoro.
Tra i privilegi di San Giuseppe il più noto e celebrato è quello della sua pia morte: “Egli fra le braccia di Gesù e di Maria si consumò d’amore per il suo Dio”, leggiamo nell’elenco dei dodici privilegi concessi al nostro Santo. La conoscenza e diffusione del Transito, in Occidente, sono dovute al domenicano milanese Isidoro Isolano, che ne inserì la Storia nella sua Summa de donis St. Joseph, stampata a Pavia, nel 1522. Egli riferisce che i cattolici d’oriente usano celebrare con straordinaria venerazione la festa di san Giuseppe il venti luglio: “Nelle loro chiese suole essere letta una vita di san Giuseppe”, tradotta dall’ebraico in lingua latina nel 1340. Ne riporta, quindi, alcuni tratti, che qui trascrivo, limitandomi all’essenziale. Il racconto della vita di Giuseppe è attribuito allo stesso Gesù, che lo avrebbe confidato ai discepoli sul monte Oliveto.
“Senza l’Eucarestia, senza la Domenica, non possiamo vivere”. Così affermavano i santi cristiani degli inizi. Volevano forse dire che senza l’Eucarestia non si impara e non si vive la vera vita e soprattutto la vita di coppia, di famiglia. La Santa Messa, guardandola nella sua struttura, è una grande scuola di vita di famiglia. Certo non è stata fatta così per questo, ma, andandoci dentro con attenzione coniugale e famigliare, ci accorgiamo che nella Celebrazione, ogni momento parla e comunica alti insegnamenti di vita famigliare in tutti i sensi. Perché, in fondo, l’Eucarestia è il Sacramento dell’Amore e nella Santa Messa, non per caso, si celebra il matrimonio e ci si promette fedeltà per sempre, secondo la volontà di Dio. Proviamo a camminarci dentro insieme.
Dopo Maria, Madre di Dio, non c’è nessun santo che occupi tanto spazio nel magistero pontificio quanto san Giuseppe, suo castissimo sposo. E tuttavia, all’ombra di così grande “Sposa”, san Giuseppe passa talmente inavvertito, che qualcuno si meraviglierà scoprendo questa sua marcata presenza soprattutto in un papa notoriamente “mariano” come Giovanni Paolo II. Ogni qual volta si pensa a lui viene in mente, infatti, la sua singolare devozione verso la Madre di Dio, espressa senza equivoci nel suo stemma pontificio con la grande lettera “M” (Maria) e con la scritta “Totus tuus” (Tutto tuo).
Nei suoi viaggi apostolici era normale che fosse inclusa una visita ad un santuario mariano, espressione dei suoi sentimenti filiali, ma anche del riconoscimento del “ruolo materno” di Maria verso la Chiesa. Ma sappiamo anche quanto Giovanni Paolo II, da sempre interessato all’uomo, ai suoi valori e compiti, tenesse in alta considerazione il “ruolo maschile” nel Vangelo e nella Chiesa, e questo partendo proprio dalla considerazione della figura di san Giuseppe, come egli stesso afferma, ricordando le sue soste nelle chiese a lui dedicate sia a Wadowice che a Cracovia, nelle quali amava spesso soffermarsi in preghiera. “La figura di san Giuseppe fornisce speciali spunti e abbondante materiale per queste riflessioni”, in particolare sul ruolo prettamente maschile, quello protettivo, paterno, che “sembra non soltanto primario ma anche essenziale rispetto a qualsiasi altra sua attività all’esterno, sociale o organizzata”.
Il Sommo Pontefice Pio IX, che si spera venga un giorno innalzato all’onore degli altari (il desiderio di don Guanella si è avverato il 3 settembre del 2000, ndr), volle esteso il culto di S. Giuseppe, e dichiarò il purissimo Sposo dell’Immacolata, Patriarca e Patrono della Chiesa, universale.
Il glorioso Leone XIII – lumen de coelo – volle degnamente suggellare il decreto del suo predecessore, proclamando San Giuseppe Patrono non solo delle famiglie cristiane, ma anche di tutti gli Istituti pii.
Con questo atto insigne di sapienza e di pietà, l’augusto Vicario di Cristo, glorificava il Patriarca e Capo naturale della Sacra Famiglia, riconoscendo in lui l’alta autorità che egli esercitava sopra Maria Santissima, e sullo stesso Figlio di Maria e Figlio di Dio; ma in pari tempo ne accaparrava il potentissimo patrocinio in favore di quelle grandi famiglie, delle Case di beneficenza, scaturite non dal sangue, ma dalla carità. Quelle, senza il divino aiuto, rovinerebbero miseramente.
Nell’Esortazione apostolica “Redemptoris Custos” Giovanni Paolo II affida a san Giuseppe il compito di indicarci “le vie dell’Alleanza salvifica sulle soglie del prossimo Millennio, nel quale deve perdurare e ulteriormente svilupparsi la ‘pienezza del tempo’ che è propria del mistero ineffabile dell’incarnazione del Verbo” (n.32).
La “pienezza del tempo” corrisponde al periodo storico che stiamo vivendo e che si concluderà quando Gesù presenterà il regno davanti a Dio Padre (cf. 1 Cor 15,24); le “vie” dell’Alleanza salvifica si identificano con le “grandi opere di Dio”, alle quali “il Concilio Vaticano II ha di nuovo sensibilizzato tutti”. Si tratta dei “misteri della vita di Cristo”, “annunciati dagli apostoli e attuati nella liturgia”, che costituiscono appunto “quell’economia della salvezza, della quale Giuseppe fu speciale ministro” proprio nel momento fondamentale del passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento, la cui “unità” è tenuta ben presente nell’Esortazione apostolica, perché necessaria alla comprensione dei misteri della vita nascosta di Gesù.
Tutti sanno che il mese di marzo è dedicato a San Giuseppe, allo stesso modo che il mese di maggio è dedicato alla Madonna e il mese di giugno al Sacro Cuore.
Le origini di questa devozione sono legate a piccoli impulsi provenienti da alcune pubblicazioni che evidentemente avevano incontrato il favore dei fedeli, desiderosi di conoscere e di onorare san Giuseppe soprattutto in preparazione alla sua festa del 19 marzo, che rimane il punto di riferimento.
Dopo mesi di formazione, di dialogo e recita comunitaria dei salmi, esplode il grido degli apostoli: «Signore insegnaci a pregare». I discepoli non hanno chiesto formule di preghiere, hanno supplicato che fosse loro insegnato il «cuore» della preghiera, la strada che porta davanti a Dio. Gesù nella preghiera del «Padre nostro» apre la porta sul panorama di Dio. Pregare non è convincere Dio a darci qualcosa, ma è un tuffarsi nell’oceano della sua misericordia e sentire che, come si dice nella prima riga del libro della Genesi, su quelle acque aleggia lo stesso Spirito per fecondare la nostra vita.
Nei sogni di Dio non esistono periferie e davanti a Lui nessuno rimane orfano. Nel tempo fa abitare negli accampamenti dei poveri uomini e donne capaci di seminare amore e solidarietà tra le piaghe dell’emarginazione. La nascita di don Guanella è il segno dell’attenzione di Dio per i suoi figli.
E' sempre piacevole sfogliare l’albo delle foto di famiglia. Quelle pagine sembrano emanare la fragranza dei ricordi e risvegliare piacevoli reminiscenze nella nostra memoria. Più la foto è espressiva e lontana nel tempo, più gioia fa nascere nell’anima.
Questo avviene per il compleanno del nostro Fondatore Luigi Guanella.
Era il 19 dicembre di 171 anni fa. Fraciscio era coperta di neve e già nelle povere case i bambini aspettavano di preparare il presepe.
A pochi giorni dal Natale, la famiglia Guanella festeggia un’altra nascita. Maria Guanella dona alla luce il suo nono figlio. A Fraciscio le famiglie non erano molte, ma le nascite erano tante. Pa’ Lorenzo, all’indomani del parto, avvolge in una calda pelle di pecora questo batuffolo di carne e lo porta al fonte battesimale perché possa da subito respirare con il respiro stesso di Dio.
«Le cose piccole ondeggiano nello spazio grande del cuore; ma solo le grandi cose vi si fermano e prendono dimora». Paolo VI è nel cuore di molti e noi guanelliani abbiamo inciso la sua presenza nell’anima per le molte circostanze che hanno reso gloria al nostro santo fondatore e per i riflessi e la sua sensibilità verso il mondo dei derelitti, i feriti della vita. L’anno successivo alla sua elezione a governare la Chiesa universale, ha regalato ai poveri il carisma di un campione della carità, un’immagine speculare del volto stesso di Cristo, il buon samaritano dell’umanità.
Di origine lombarda, Giovanni Battista Montini ha conosciuto certamente la figura di don Luigi Guanella nei suoi anni giovanili. Quando è morto don Guanella, Montini aveva 18 anni e stava in fase di discernimento per la sua vocazione sacerdotale. Suo padre, uomo impegnato nel giornalismo e nella vita politica ne avrà certamente parlato e scritto. Nel suo entusiasmo giovanile don Guanella, padre dei poveri, certamente lo aveva affascinato e aveva offerto un modello di santità per la sua chiamata al sacerdozio.