Anche se la perdita dell’amico non cancella il ricordo e l’intensità di ciò che si è costruito insieme, la sua scomparsa indica che l’amicizia, l’amore costituiscono anche il segno e la nostalgia di una pienezza di cui ora è possibile sperimentare soltanto un anticipo. L’amore comporta il permanere di una ferita aperta, di una sofferenza che il tempo non cancella: ma senza una tale possibilità di sofferenza non ci potrebbero tuttavia essere né amicizia né amore. La sensazione reale di solitudine di cui si parlava sopra esplode nel momento della perdita dell’amico.
Amicizia e sofferenza non si escludono, anzi misteriosamente si illuminano a vicenda, proprio a motivo della solitudine che costituisce anche l’amicizia più grande, evidenziando una barriera che niente può colmare. Una relazione matura rimanda alle reciproche solitudini, ai limiti (non solo personali ma proprie dell’essere, basti pensare alla salute, alla vita limitata per cui per forza uno morirà prima dell’altro) e alle differenze che sono date dall’unicità dell’altro. Tutto ciò costituisce l’unica maniera di vivere una relazione affettiva reale e significativa, a tutti i livelli.
La solitudine può mettere a disagio quando trova la persona distante dal suo essere più profondo, quando vive con superficialità, nella vuota chiacchiera come direbbe Heidegger, che quanto più è vuota e superficiale tanto più, stranamente si diffonde perdendosi nelle cose da fare, nelle persone da vedere, nel pettegolezzo del momento… sperando che questo possa riempire il vuoto che tormenta. La solitudine non accettata sembra essere all’origine di relazioni interpersonali possessive e di una comunicazione malata: «Sovente pare che il pettegolezzo, la condanna delle azioni altrui e gli attacchi aperti contro l’altrui modo di vivere siano più segno di dubbio nei nostri propri riguardi che frutto di convinzioni solidamente fondate» (Nouwen).
Si sta diffondendo ai giorni nostri un tipo di concezione dell’amicizia e della comunicazione in genere tesa alla totale trasparenza, che ha come motto di dire all’altro tutto, con spontaneità, “così come viene”, senza lasciare nulla di segreto; questo alla fine non aiuta la comunicazione, perché le parole più preziose e profonde nascono dal silenzio, dal segreto del cuore. Come notava Pascal: «Ho scoperto che l’infelicità degli esseri umani deriva da una cosa sola: non essere capaci di rimanere in silenzio in una stanza».
Vivere l’amicizia richiede anche la capacità di stare bene con se stessi, con il proprio mondo interiore, e di saper accettare la solitudine. La solitudine è la situazione caratteristica di ogni essere umano, ma il celibe la avverte in modo particolare come rinuncia al rapporto esclusivo con un’altra persona; è una prova che si deve attraversare per poter conoscere il mistero d’amore di Dio, che è «più intimo a me di me stesso» (Sant’Agostino): la persona religiosa è essenzialmente chiamata a stare da sola con il Signore, come nota il vangelo a proposito della chiamata degli apostoli da parte di Gesù, «Ne costituì dodici che stessero con lui» (Mc 3, 14).
Un altro punto importante dell’amicizia autentica è l’aver superato la fase della vita corrispondente a quello che Freud chiamava il principio del piacere, che contrapponeva al principio di realtà. Il principio del piacere non riguarda soltanto le espressioni apertamente sessuali, ma anche gratificazioni di altro tipo, più sottili ma non meno deleterie, legate ad esempio al potere, ai ricatti affettivi, alla compiacenza al non poter dire ciò che si pensa perché tagliati fuori irrimediabilmente dalla considerazione altrui; in questo modo l’altro scompare come altro, esso è ridotto a una funzione, quella appunto di soddisfare la propria gratificazione: è stato ridotto a una cosa. Freud fa delle osservazioni acute sul carattere paradossale del piacere: esso non è altro che la morte del desiderio, allenta la tensione interna e con il tempo richiede dosi sempre più forti.
La vera amicizia può essere vissuta con coraggio e con franchezza, perché in questo caso la persona non è guidata semplicemente da un bisogno, ma da un valore etico: il bene dell’altro. I segni dell’amicizia autentica sono riconoscibili dall’apertura, dalla flessibilità, dall’assenza di possessività, dal desiderio di verità, dalla capacità di confrontarsi con gli altri e con le esigenze della vita, dalla disponibilità ad obbedire.
La persona affettivamente matura ha la propensione a cercare ciò che possa far felice l’altro, anche se comporta un sacrificio di sé; l’amicizia vissuta in autenticità di spirito e di intenti aiuta la persona ad aprire i propri orizzonti e a leggere nel cuore dell’altro.
Una delle forme più significative di relazione è data dall’amicizia; essa costituisce, insieme all’amore sponsale, il vertice dell’espressione affettiva della persona. L’amicizia è un bene prezioso per tutti, essa introduce nella vita il colore delle relazioni, è espressione di maturità affettiva e aiuta lo stesso rapporto con il Signore che ci ha chiamati amici (Gv 15,15). L’amicizia è una maniera di fare esperienza dell’amore di Dio, e insieme un possibile arricchimento e una purificazione del proprio essere.