La liturgia della Chiesa è sempre madre e maestra e ci accompagna nella crescita della fede. Le diverse tappe delle celebrazioni liturgiche rendono contemporanei gli eventi registrati nella storia e rinnovano lo stupore di una presenza. Nella liturgia il passato si fa presente e si riempie di futuro. Per questo possiamo dire che ogni giorno è Natale: il respiro della vita Dio è impreziosito da un farmaco di immortalità.
Con un velo di tristezza constatiamo, purtroppo, che in questi tempi celebriamo un «Natale» in cui non nasce nessuno. L’ultimo scampolo per recuperare stupore la comunità cristiana lo celebra il 2 febbraio con la festa della Presentazione di Gesù al tempio di Gerusalemme. In questo episodio c’è un grande vecchio, custode del passato e ancora capace di stupore. Uno stupore che nasce da una lunga attesa. I secoli avevano atteso quel momento e il vecchio Simeone si fa portavoce dei gemiti dei poveri, custoditi nelle pagine della storia della salvezza. La sua anima sazia di giorni e piena di consolazione chiede il permesso di poter partire dalla terra dopo che i suoi occhi hanno visto il Messia.
Il tempo e lo spazio sono due elementi essenziali alla vita di fede. Il tempo è per la ricerca e lo spazio per il pellegrinare nei sentieri della vita. Anche la «Porta», che in quest’anno siamo invitati a varcare, è il simbolo di un itinerario verso la terra promessa vivificata da un clima di misericordia. Nel tempo della storia umana il lavoro di Dio è di perdonare, di seminare misericordia con amore, perché il tempo è, comunque e sempre, una carezza affettuosa di Dio sul nostro cuore umano. San Giuseppe ha certamente celebrato dei giubilei durante la sua vita terrena e, oggi, ci accompagna con il suo sguardo paterno nel sostenere la fatica del vivere e nell’aiutarci con il suo esempio e la sua intercessione a guarire le ferite della vita. Come stella polare del suo magistero papa Francesco ha scelto il motto «miserando atque eligendo», che potremmo tradurre: «amare sempre con un cuore pieno di misericordia».
Il Natale è la festa più cara al popolo cristiano. Oltre al fatto che Dio decida di entrare a far parte della nostra storia, prendendo una carne come la nostra, il Natale è un vento accarezzevole che muove le nostre vele sul lago della memoria. In questa galleria di ricordi c’è il mondo magico dell’infanzia, dei doni ricevuti e offerti. La nostalgia della famiglia riunita, il dolore di qualche assenza.
Natale è l’appuntamento annuale alla sorgente del fiume della salvezza. Come un fiume Dio è sempre in cammino alla nostra ricerca. Egli viene sempre. Il Dio invisibile diventa visibile e si fa compagno di viaggio nel cammino della vita.
{gspeech}Charles Péguy è il poeta della speranza, che tenta di cogliere la perfetta proiezione di Dio nell’imperfetto dell’umano, recuperando nella vita quotidiana quel Dio che la scienza e la filosofia tentano di «scacciare dalla storia». All’inizio del 1900, ha scritto: «Ci sono lacrime d’amore che dureranno più a lungo delle stelle del cielo, ci sono sguardi di supplica e sguardi di tenerezza carichi di carità che risplenderanno eternamente notte dopo notte».{/gspeech}
Mi piace immaginare il mese di ottobre con i colori vivaci che rivestono le foglie degli alberi in autunno. A prima vista sembrerebbe un sorriso stanco, invece è la gioia di essere stati capaci di donare vita con i frutti e allegria con i colori. L’autunno è un addio, avvolto dai colori della speranza, è un caloroso saluto carico di aspettative. È un arrivederci nella stagione primaverile. L’autunno, oltre l’offerta dei colori, ai nostri anziani, che non conoscevano i supermercati, riempiva la dispensa con i suoi ultimi frutti: c’era il vino per la gioia e c'era l’olio per il sostegno della salute. Da qualche settimana anche la vita sociale ha ripreso il suo cammino ordinario: per i genitori nel dimenticatoio le ferie e per i ragazzi le vacanze una struggente nostalgia. Se qualcuno vive di nostalgia, per la categoria dei nonni il lavoro non è finito, anzi, c’è un supplemento di attività. In una società frenetica, sempre di corsa in tutto, dell’«usa e getta», il ruolo educativo sta soffrendo una crisi preoccupante.
La Chiesa italiana sta vivendo una stagione di accorata riflessione in preparazione al 5° Convegno nazionale alla ricerca di un «Nuovo Umanesimo», un’immersione nel quotidiano per riscoprire nella carne viva della storia i semi di Cristo. L’umanesimo ebbe la sua culla nella città di Firenze, là dove il respiro divino ha ripreso a fiatare con il respiro umano e a scoprire la gioia della dignità come persona, «creata a immagine e somiglianza di Dio». Da qui scoprire che ogni desiderio di bene nasce da un’attrazione divina che desidera condividere la nostra esperienza umana.
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Chiamati con il battesimo a sentir fluire la stessa vita divina nelle nostre vene, tuttavia sembra che dentro di noi si abbia paura dell’Infinito. In effetti «la paura si annida nel cuore dell’uomo e lo mina interiormente, sino a farlo crollare improvvisamente, privo di forza». È proprio nel cerchio delle nostre paure che si costruisce una rigida difesa persino di fronte all’amore divino. A volte si paralizzano anche i sogni e siamo ridotti a guardare il futuro, carico di un amore misericordioso, da dietro all’inferriata della nostra paura. La paura di lasciarci innamorare da Gesù. Con la Risurrezione Cristo, il Signore della storia, ha spezzato le catene dei molteplici timori esistenziali e a ogni persona liberata dalle catene delle nostre tante morti e paralisi, ha consegnato la carta vincente dell’esistenza: il sentirci amati.
Presi dalle nostre insicurezze non ci accorgiamo che, al nostro risveglio, il primo raggio di luce è una carezza d’amore, calda come un bacio e profumata di positivo futuro. È Dio che scende a condividere la nostra vita e a rinnovare il suo patto di amore.
«Dio non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande»: queste parole di Alessandro Manzoni ci aiutano a vivere la Commemorazione dei nostri fedeli defunti. Nei primi giorni di novembre la nostra tradizione cristiana ci sollecita alla visita dei cimiteri, ai campi della speranza. Il campo santo, come si diceva un giorno, è un recinto dove è possibile abbracciare un mondo di ricordi, rinnovare i nostri affetti e rinverdire quel quoziente di gioia che Dio ha nascosto anche nelle sofferte pieghe della morte dei nostri cari, perché lo sappiamo e lo professiamo con fede:
Caro San Giuseppe,
il mese di maggio l’antica tradizione l’ha dedicato alla tua dolce sposa Maria, ma il primo giorno è consacrato al tuo impegno di proteggere la fatica del lavoro umano. Vogliamo ritagliare un piccolo spazio da dedicare alla tua vita di onesto lavoratore invocato e benedetto come patrono e modello dei lavoratori, soprattutto per esprimere la nostra fiducia in te e per chiederti la perseveranza nella nostra vita di fede. Stiamo vivendo un momento assai drammatico nel mondo del lavoro.
La fede è gioia cantata con le note musicali della vita di chi crede. Papa Francesco, al termine dell’Anno della fede, ha consegnato alla Chiesa gli strumenti della gioia con l’Esortazione apostolica che inizia con queste parole: «La gioia dell’Evangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù». Chi si accosta a Gesù sente zampillare nell’anima questa gioia che si fa spazio nel vuoto interiore e cancella la tristezza di una vita senza illuminanti speranze.