La cosa stupenda della nostra fede è che il Dio eterno in Gesù ha voluto rivestirsi del tempo, affinché anche il nostro tempo avesse un’anima e non fosse solo uno scorrere di ore e di giorni. Un salmo prega con queste parole: «Signore, insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza»; sapienza significa il sapore della vita.
Nella spiritualità della Pia Unione del Transito di San Giuseppe non manca una attenzione particolare nel “contare i giorni” e dedicare del tempo alla ricerca della sapienza alla scuola di San Giuseppe. Un “tempo” da dedicare a San Giuseppe, nello stare in compagnia con lui, far scorrere i minuti nel gustare il sapore della sua stessa sapienza nel gestire la sua vita in compagnia di Gesù e della sua sposa, Maria.
C’è nella nostra tradizione anche un’ora da dedicare a Dio in compagnia con San Giuseppe. Quest’ora - che vorremmo fosse davvero santa - nella nostra Basilica del Trionfale è trascorsa ogni mercoledì dalle ore 17,30 alle 18,30 pregando la Coroncina in onore di San Giuseppe e i Vespri della festa del grande Patriarca. Il primo mercoledì del mese recitiamo comunitariamente il Sacro Manto.
In questo tempo di preghiera il respiro dello spirito si fa universale: non solo entrano nelle nostre intenzioni gli iscritti alla Pia Unione del Transito, ma anche i morenti, gli ammalati nel corpo e nello spirito, gli orfani, gli anziani soli. In quest’ora affidiamo a San Giuseppe le sorti della Chiesa. Nessun ferito nella vita è assente da questa preghiera. Molte sono le persone di Roma e della parrocchia che si unisco in Basilica, ma tante altri fedeli, sparsi nel continente europeo, sono uniti alla nostra preghiera.
L’impegno di un’ora con San Giuseppe è un momento privilegiato per una divina trasfusione di spiritualità, inoltre, è un atto di libertà per non essere schiavi delle faccende, è un atto di amore al tempo stesso per non dissiparlo.
Come gli iscritti alla Pia Unione si uniscono a distanza a questa nostra preghiera, possono ugualmente scegliere anche altri momenti per stare in compagnia di San Giuseppe e pregarlo per le sorti del mondo. Il tempo di questa “compagnia” può essere riempito di preghiere recitate, ma anche di atti di amore, consacrando all’amore divino le faccende di casa, al lavoro in fabbrica, in ufficio. Scelgo un’ora ed è una frazione del tempo della mia giornata sulla quale metto il sigillo di un’offerta d’amore in onore di San Giuseppe.
La Pia Unione, per questo, invita tutti gli iscritti a scegliere un’ora almeno alla settimana da dedicare ad un momento particolare di preghiera o di lavoro come offerta solidale per il bene del mondo ed in particolare per chi è emarginato dalla vita sociale, senza affetto, senza lavoro o casa. Sappiamo che la preghiera solleva il mondo. La preghiera è la debolezza di Dio e la potenza dell’uomo. Don Guanella diceva che “come con il soffio delle labbra si ravviva il fuoco nel braciere, così con il soffio della preghiera si ravvivano i desideri dell’anima”.
Ecco l’invito: facciamo che ogni frammento del nostro tempo non sia mai orfano dal sapore dell’eternità con la nostra attenzione a Dio e all’amabile intercessione di San Giuseppe.
Chi desidera impegnarsi può scegliere liberamente la sua “ora” di San Giuseppe e, se crede, può comunicarcela, così da avere la visione di un arcobaleno colorato dalle nostre preghiere.
Il Papa Francesco ha una grande devozione per San Giuseppe. Fuori la sua stanza nella Casa Santa Marta, si trova una statua del santo ai cui piedi il Papa lascia carte con richieste di grazie scritti da lui stesso. Quando i messaggi diventano troppi, la statua si alza un po’. La devozione a San Giuseppe accompagna il Papa da quando era giovane. La parrocchia di Flores a Buenos Aires, il quartiere dove è nato e cresciuto Jorge Mario Bergoglio, è dedicata a San Giuseppe.
Lo scandalo della povertà, provocato da Francesco d’Assisi, ha avuto una vasta eco nella Chiesa dal tredicesimo secolo e ha trascinato schiere di giovani al seguito del Poverello al cui fascino non è stato indifferente Dante Alighieri che dedica un canto a Madonna Povertà: Oh ignota ricchezza, oh ben ferace! Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro dietro a lo sposo, sì la sposa piace (Paradiso XI, 82).
Ma non a tutti piacque... e Dante ha parole dure per chi di nova vivanda è fatto ghiotto. Il voto di povertà come lo intendevano Francesco e Chiara d’Assisi non era bene accetto ai giovani frati che manifestavano apertamente il loro dissenso: “Sappiamo che frate Francesco fa una nuova Regola e temiamo che la faccia così dura che non possiamo osservarla. La faccia per sé e non la faccia per noi”.
Lungo i secoli di storia ebraica il Signore poté contare sulla fedeltà, non sempre perseverante, del suo piccolo gregge, per preparare la venuta del Messia.
E quando questo gregge irrequieto si smarriva a contatto con l’idolatria seguendo i pagani che negavano il soprannaturale, Dio inviava i suoi profeti affinché, con le buone o con le cattive, lo riconducessero all’ovile, come recita il salmo 80: “Ascolta, popolo mio, ti voglio ammonire. Israele, se tu mi ascoltassi! Ma il mio popolo non ha ascoltato la mia voce. Israele non mi ha obbedito”. Dio però è fedele alla parola data. Gli ebrei attendevano il Messia potente in grado di liberarli da ogni schiavitù, non solo da quella del peccato...
Con l’annunzio notturno fatto dall’Angelo inizia (nel segreto di quattro mura) l’incomparabile storia di Giuseppe, sposo di Maria e “padre” di Gesù. Perché virgolettare la parola “padre” quando anche i due evangelisti parlando di Giuseppe dicono esplicitamente padre di Gesù? E così lo chiama anche Maria davanti ai maestri nel Tempio: “Tuo padre ed io angosciati ti cercavamo...”.
Lasciamo la risposta ai Padri della Chiesa che, spiegando questo difficile momento nella vita di Giuseppe, hanno ripetuto le parole dell’angelo: “A Dio niente è impossibile”. Lo sappiamo da sempre.
Ambrogio, il santo vescovo di Milano, parlando di Maria sposa e vergine madre, si domanda: “Perché non ha concepito per opera dello Spirito Santo prima del fidanzamento?”. E risponde: “Probabilmente perché non si dicesse in giro che aveva concepito dalla colpa”.
Dalle due genealogie elencate da Matteo e Luca sulla discendenza dal re Davide è escluso il nome di Gioacchino padre di Maria. Non si dava la genealogia del ramo femminile. Ciò non significa che non si debba tener conto della tradizione che considera anche Maria tra i discendenti di re Davide, anche se Luca e Matteo non lo dicono esplicitamente.
è forse questo particolare che ha avvicinato Giuseppe alla fanciulla di nome Maria. Per questa lontana parentela Giuseppe, all’uscita dalla sinagoga, si fermava a salutare Maria e i genitori di lei, Gioacchino e Anna, che ogni sabato accompagnavano la figlia alla Casa della preghiera. Qui Maria e la madre prendevano posto nella tribuna riservata alle donne, mentre il padre sedeva quasi sempre in prima fila nella grande sala, per ascoltare la lettura della Torah, preceduta dalla professione di fede all’unico Dio: Shemà, Israel, ascolta, Israele.
Il giovane Giuseppe era cresciuto in una buona famiglia guidata da suo padre Giacobbe. Il nome appare in fondo alla genealogia elencata dall’evangelista Matteo. E Dio lo arricchì delle sue grazie preparandolo a essere un degno sposo della Vergine Maria, la madre di Gesù: una pedagogia divina che operò attraverso le vicende umane. L’infanzia di Giuseppe è facile immaginarla attenendoci alle tradizioni tramandate oralmente in Israele, come si è detto, e poi raccolte e scritte nel Talmud, dalle cui pagine possiamo apprendere la graduale formazione religiosa di un giovane ben disposto ad assecondare l’opera della grazia.
Anzitutto Giuseppe, fin da quando riuscì a pronunciare la parola amen (così prescrive il Talmud) veniva condotto ogni sabato alla sinagoga dal padre Giacobbe. E qui imparò a leggere e a scrivere in lingua ebraica. Il dialetto aramaico lo apprese in famiglia e dai ragazzi con i quali condivideva il gioco.
Poi, al traguardo dei tredici anni che segnava il passaggio dalla fanciullezza alla maturità per ragazzi e ragazze ebraiche, Giuseppe poté muoversi autonomamente, aggregandosi anche ai pellegrini durante le visite al Tempio di Gerusalemme. I giovani potevano così frequentare le lezioni dei maestri della Legge nella sinagoga annessa al Tempio.
Gli esperti in sacra Scrittura - di solito farisei che si dedicavano non a tempo pieno all’istruzione dei giovani, - ascoltavano attentamente le domande che i giovani gli rivolgevano e le loro risposte; in tal modo colmavano le inevitabili lacune della loro formazione religiosa. I villaggi lontani da Gerusalemme raramente erano visitati da celebri rabbini.
Dal padre Giacobbe, di discendenza davidica, approdato a Nazareth dalla nativa Betlemme, Giuseppe imparò a memoria le quotidiane benedizioni che recitava nei tre momenti della giornata in compagnia del padre, durante la pausa di lavoro nella bottega. Le benedizioni venivano poi riposte nel tubo di metallo (il mezuzah) conservato in una apposita cassetta appesa alla parete, a imitazione di quanto avveniva il sabato nella sinagoga.
Nel salmo 39 si leggono le parole che ben si addicono al profilo spirituale di Giuseppe, fedele osservante della Legge di Mosè e attivo frequentatore della sinagoga di Nazareth: “Nel rotolo del Libro di me è scritto di compiere il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero; la tua legge è nel profondo del mio cuore”.
Ogni buon israelita, quindi anche Giuseppe, tre volte al giorno recitava, e recita, la benedizioni (come il cristiano inizia e chiude la giornata con la preghiera). E il sabato, nella sinagoga, i riti religiosi si aprono appunto con una benedizione, lo Shemà Israel, la professione di fede nell’unico Dio: “Ascolta, Israele, l’Eterno è il nostro Dio, l’Eterno è uno: Shemà, Israel, Adonai elohenu, Adonai ehad... Questi precetti che ti do staranno nel tuo cuore. Li insegnerai ai tuoi figli, li mediterai in casa e lungo il viaggio, andando a dormire e alzandoti; te li legherai come un segno alla mano; li terrai come frontale tra gli occhi; li scriverai sugli stipiti e sulle porte della tua casa”. Ecco spiegato il significato di quell’astuccio che l’ebreo osservante della Legge, cioè giusto, (come dice l’evangelista) tiene legato sulla fronte. E Giuseppe, fin dall’età matura, a tredici anni, osservava queste prescrizioni, recitando le benedizioni quotidiane.
Il legno della Croce è stato il trono del Crocifisso, Re della gloria. è dunque il legno la materia privilegiata e prescelta da Dio fra tutti gli elementi naturali da lui creati, materia che ha "collaborato" alla nostra Redenzione. Mirabile e misterioso il piano di Dio! Il Padre celeste affida il suo Unigenito nella sua missione in terra ad un padre terreno quale suo vicario. Non sceglie un dottore della Legge, né un sacerdote del Tempio, né un leader politico, né uno scienziato, sceglie un artigiano del legno, un falegname, un carpentiere.
Gesù dunque, secondo la volontà divina, avrebbe dovuto acquisire per esperienza personale una conoscenza manuale, una certa familiarità con il legno. Di fatto il legno lo accompagnò da Betlemme al Calvario.