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Mercoledì, 14 Marzo 2012 11:08

La bottega dell'artigiano e il sabato del villaggio

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di Mario Sgarbossa

Nel salmo 39 si leggono le parole che ben si addicono al profilo spirituale di Giuseppe, fedele osservante della Legge di Mosè e attivo frequentatore della sinagoga di Nazareth: “Nel rotolo del Libro di me è scritto di compiere il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero; la tua legge è nel profondo del mio cuore”.
Ogni buon israelita, quindi anche Giuseppe, tre volte al giorno recitava, e recita, la benedizioni (come il cristiano inizia e chiude la giornata con la preghiera). E il sabato, nella sinagoga, i riti religiosi si aprono appunto con una benedizione, lo Shemà Israel, la professione di fede nell’unico Dio: “Ascolta, Israele, l’Eterno è il nostro Dio, l’Eterno è uno: Shemà, Israel, Adonai elohenu, Adonai ehad... Questi precetti che ti do staranno nel tuo cuore. Li insegnerai ai tuoi figli, li mediterai in casa e lungo il viaggio, andando a dormire e alzandoti; te li legherai come un segno alla mano; li terrai come frontale tra gli occhi; li scriverai sugli stipiti e sulle porte della tua casa”. Ecco spiegato il significato di quell’astuccio che l’ebreo osservante della Legge, cioè giusto, (come dice l’evangelista) tiene legato sulla fronte. E Giuseppe, fin dall’età matura, a tredici anni, osservava queste prescrizioni, recitando le benedizioni quotidiane.

Egli adempiva con sollecitudine ogni comandamento della legge giudaica, oltre al Decalogo. E quando il rabbino posava sul leggio, posto su una pedana, il rotolo della Torah, la Legge contenuta nei cinque libri del Pentateuco, per la lettura di un brano ad ogni sabato, a leggere il testo assegnato era sovente lui, che intonava la prima benedizione.
Anche Gesù farà precedere la benedizione a ogni atto importante della sua vita, come la moltiplicazione dei pani: “Allora Gesù ordinò di far sedere la folla sull’erba. Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo e disse la preghiera di benedizione” (Matteo 14,19). Farà altrettanto all’ultima Cena, al momento di istituire l’Eucaristia, col la benedizione del pane e del vino.
Non era soltanto Giuseppe a essere invitato ad aprite il rotolo e a leggere. Di solito tale compito veniva assegnato per estrazione dal rabbino, tra coloro che si riteneva fossero in grado di leggere il testo nella lingua ebraica, considerata sacra, e non in aramaico, il dialetto parlato in Galilea. Ma erano pochi all’altezza di leggere l’ebraico come si parlava a Gerusalemme, per cui la scelta cadeva su Giuseppe. Tale scelta era gradita a Gioacchino e Anna e alla loro figlia, Maria.
La sinagoga di Nazareth, come tutte le sinagoghe, è detta la Casa del Libro (beth ha-sefer); era ed è tuttora il punto d’incontro di tutti gli israeliti, o quasi, in cui si svolgono i riti del sabato; dunque casa di preghiera e di istruzione religiosa con la lettura del Talmud, il complesso delle norme tramandate oralmente fin dal tempo di Mosè e codificate più tardi nella dottrina giudaica, particolarmente nel Talmud, codice religioso e civile che ogni buon ebreo osserva, compresa la Misna e la Gemara, rispettivamente: testo fondamentale e commento tramandato dai celebri rabbi, i maestri della legge, scribi e farisei.
La raccolta di questi commenti risale al secondo secolo dopo Cristo, per cui al tempo di Giuseppe l’istruzione si basava sulla tradizione orale, affidata al rabbino e agli anziani del popolo, nei piccoli villaggi, mentre a Gerusalemme c’erano i maestri della legge, ai quali era riservata la sinagoga attigua al Tempio. E qui li “ascolterà e interrogherà” l’adolescente Gesù, inaspettatamente sfuggito alla sorveglianza dei genitori. Da quel giorno la bottega del falegname Giuseppe sarà per l’adolescente Gesù una buona palestra di istruzione religiosa, oltre che per impararvi il mestiere tramandato di padre in figlio.

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