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Martedì, 17 Maggio 2016 13:54

Il martirio della carità consumato in una breve vita

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LA BEATA CHIARA BOSATTA 

di Gabriele Cantaluppi

Sola e semplice, senza altro titolo che la sua vita ordinaria e santa, come era stata su questa terra: così appariva suor Chiara la piovigginosa mattina di venticinque anni fa, il 21 aprile 1991, nello splendore della basilica vaticana. Accanto alla sua c’erano le immagini di altre due suore, destinate tra poco ad essere innalzate alla gloria dei Beati dal papa San Giovanni Paolo II: tutte e due fondatrici di congregazioni religiose: una italiana, Maria Annunziata Cocchetti e l’altra belga, Giovanna Haze (Maria Teresa del Sacro Cuore di Gesù), vissute anch’esse nell’Ottocento. Prendendo spunto dalla liturgia, che celebrava la quarta domenica di Pasqua, detta del Buon Pastore, tradizionalmente dedicata alla preghiera per le vocazioni sacerdotali e alla vita consacrata. il Papa indicava nell’attività delle tre beate il riflesso dell’amore di Cristo Pastore, che si prende cura del suo gregge: “La loro umanità era affascinata dalla carità di Cristo, così da renderle solidali con la sofferenza dei poveri, nei quali vedevano splendere il volto di Cristo”.

In questi venticinque anni che ci separano dalla sua beatificazione, la figura e gli esempi di suor Chiara Bosatta sono stati spesso motivo di riflessione per orientare la nostra vita sui sentieri del compimento della volontà di Dio, a conferma di quanto è scritto nel Breve Apostolico di Beatificazione: «Dio non abbandona mai il genere umano, anzi Egli stesso se ne prende cura e continuamente lo aiuta per mezzo dei santi che continuamente fa sorgere». Da quella data ormai lontana nel tempo, la Famiglia Guanelliana ha dilatato i suoi confini, raggiungendo tutti i cinque continenti, senza fare grande rumore, ma con la perseveranza umile di tanti confratelli e consorelle, amici e cooperatori, che, come suor Chiara, «non cadeva, perché si arrendeva con assoluta docilità alla mano che la guidava » (don Guanella). «È tipico dell’odierna cultura - scrive l’arcivescovo di Pisa Giovanni Paolo Benotto - spingere a buttarsi senza criterio! C’è invece da costruire mattone su mattone e ancor più c’è da scavare le fondamenta, affinché la costruzione sia resistente e capace di sostenere quell’amore che Dio affida». È stata la linea di Chiara: nella sua vita non c’è stato nulla di straordinario, se non il fatto di aver saputo compiere con amore le semplici azioni di ogni giorno, stando in sintonia con Dio, con il cuore sempre orientato a Lui. È l’eroismo della fedeltà; è, prendendo a prestito il titolo di un’autobiografia del cardinale Agostino Casaroli, grande tessitore dell’ostpolitik vaticana, il «martirio della pazienza». Papa Francesco, parlando ai bambini malati dell’ospedale di Ecatepec in occasione del suo viaggio apostolico in Messico nel febbraio di quest’anno, ha indicato gli atteggiamenti verso i sofferenti: che si sentano «curati, accompagnati, amati». Sono quelli di suor Chiara, che tanto contrastano con le cronache di questi giorni dove invece persone deboli e fragili, anziani e handicappati, sono percosse e umiliate da chi, almeno per deontologia, dovrebbe aiutarle. Nelle testimonianze di persone che l’hanno conosciuta direttamente e raccolte nel fascicolo di introduzione alla causa di beatificazione, c’è unanimità di opinione che Suor Chiara dimenticava se stessa per darsi tutta alle fanciulle e alle ammalate che assisteva: «Ho sentito dire dagli altri, e qualche volta ho visto anch’io, che la Serva di Dio era tutta premura di aiutare il prossimo, senza risparmiarsi; dopo aver serviti gli altri, per ultimo pensava a se medesima», anche a spese della sua salute. La sua premura era anche ammantata di misericordia, tanto che non solo aveva cura particolare di persone che magari gli altri rifiutavano per difficoltà di carattere, ma anche “era tutta impegnata e votata per la conversione dei peccatori, riconoscendosi così minima ed indegna agli occhi di Dio, e si doleva grandemente di non avere fatto tanto che bastasse per impetrare la conversione dei medesimi”. «Stiamo attente, stiamo attente per quei poveretti!» esortava le sue consorelle, affinché pregassero per il loro ritorno a Dio. Annota il guanelliano padre Fabio Pallotta: «Davvero spiccato in lei è il senso degli altri, che cresce a dismisura fino all’immolazione, per via della sua capacità naturale di sentire le cose dentro, che le permette di mettersi realmente nei panni altrui andando verso le persone, ma anche di portare le stesse dentro di sé, nel proprio mondo». Parlando ai giovani nello stadio di Morelia, a Michoacán nel Messico centrale, papa Francesco ha indicato la giovinezza come una ricchezza, a patto che sia capace di sperare e di sognare, cioè di proiettarsi verso il futuro nella donazione a un ideale di vita. Ma ha ancora ricordato che ciò è possibile quando si ha una giusta stima di sé e ci si riconosce come unici davanti a Dio, con i propri pregi e difetti. Pur avendo di se stessa un’immagine negativa di peccatrice, Chiara si è sempre abbandonata a Dio, donandosi con tutte le sue forze agli impegni che le venivano richiesti, convinta che «C’è una giovinezza dello spirito che permane nel tempo: essa si collega col fatto che l’individuo cerca e trova ad ogni ciclo vitale un compito diverso da svolgere, un modello specifico d’essere, di servire e d’amare» (San Giovanni Paolo II).

 

Una piccola grande storia Nata a Pianello Lario (Como) il 27 maggio 1858, chiamata Dina, a tre anni, rimase orfana di padre e fu presto avviata ai lavori della filanda di seta. Fu poi allieva dell'Istituto delle Madri Canossiane di Gravedona, prestandosi contemporaneamente ai servizi domestici. Esse l’avrebbero voluta nel loro noviziato di Como, ma per il suo carattere timido e riservato, fu giudicata non idonea e ritornò in famiglia. Nel paese il parroco don Carlo Coppini aveva nel frattempo riunito un gruppetto di giovani: la Pia Unione delle Figlie di Maria, sotto la protezione di s. Orsola e s. Angela Merici, a cui aveva aderito Marcellina, la sorella di Dina, che ne divenne superiora. Con loro venne inaugurato un provvidenziale ospizio per vecchi e bambini abbandonati. Nel 1878 emise la professione, prendendo il nome di Chiara e, tre anni dopo, alla morte di don Coppini, gli succedette don Luigi Guanella, che trasformò la Pia Unione delle Orsoline in una congregazione col titolo di Figlie di S. Maria della Provvidenza. Fu direttore spirituale di suor Chiara, guidandola sulle vie della contemplazione più alta, specialmente della passione di Cristo, e impegnandola nel servizio della carità verso i più bisognosi. Nel 1886 suor Chiara si trasferì a Como, dove don Guanella aveva aperto la Piccola Casa della Divina Provvidenza e lei divenne propulsore e amorevole di quella casa: delle suore, delle postulanti, delle ospiti, delle anziane bisognose, delle ragazze operaie in città. Nell'autunno si ammalò di etisia polmonare. Sperando che l'aria nativa le potesse giovare, fu trasportata al paese natale, dove morì il 20 aprile 1887. Fu beatificata il 21 aprile 1991 da papa Giovanni Paolo II. Il suo corpo è venerato nel Santuario del S. Cuore in Como, accanto a quello di San Luigi Guanella.

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