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Un silenzio che spera

di Michele Gatta

Siamo ancora in emergenza Coronavirus. La pandemia dichiarata dall’Oms sembra non lasciare intatto nessun angolo del pianeta. I governi nazionali alzano la voce nelle sedi opportune per avere aiuti, a volte si sono diffusi falsi allarmismi, e qualcuno ha sminuito eccessivamente la pericolosità, alcuni sono scappati dal Nord, il Sud si è visto infettato e noi siamo stati tutti a casa (più o meno, ovviamente, in base ai lavori che si svolgono). I social sono impazziti, sono girati migliaia di video, barzellette, vignette. Chiaramente non si è parlato di altro. C’è chi ha usato la parola guerra, e chi si è definito sopravvissuto… Forse si sono usati termini in modo poco appropriato. 

di Giovanni Cucci

Continuando con la lettura del Diario di un dolore, nel terzo quaderno sulla fiducia, Lewis in questo sofferto percorso riconosce così un fondamento, base di ogni suo dire, anche della protesta e del dolore. Un fondamento, tuttavia, che non è a misura d’uomo. Come il sorriso della Gioconda analizzato da P. Ricœur, il fondamento è presenza simbolica dell’assente: il sorriso della Monna Lisa è così intenso e significativo perché ricorda la madre del pittore, assente e insieme presente in quel particolare sorriso, nella sua espressione e nei suoi colori, che ci parlano in qualche modo di lei, se non altro nella nostalgia che evoca.

di Eraldo Affinati

Siamo tutti ossessionati dal risultato. E invece ogni vero percorso educativo non dico che dovrebbe prescinderne, perché in realtà resta fondamentale sapere dove siamo diretti e in quale luogo vogliamo andare, ma avrebbe bisogno di elaborare passioni in grado di sostenere il cammino, prima di condurci al traguardo. Saper restare nel fuoco della battaglia, senza illuderci di potersene affrancare, rappresenta il coraggio pedagogico più distintivo.

Leggendo «Querida Amazonia»

di Gabriele Cantaluppi

In questi mesi, dalla celebrazione del Sinodo dei Vescovi sull’Amazzonia dell’ottobre scorso, il celibato sacerdotale ha spopolato sui web, sulla stampa e nei discorsi. Ma quanti hanno saputo documentarsi, prima di allinearsi alle opinioni di tanti “bar dello sport”?