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Super User

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Thursday, 03 December 2015 13:38

Figlio della tradizione con animo innovatore

Pieter Van De Meer

di Gabriele Cantaluppi

La storia della sua conversione è stata narrata in un volume da lui stesso tradotto in francese “Journal d’un converti” (Parigi 1921), che va dal 1907 al 1911, quando il 24 febbraio, nella chiesa di San Medardo a Parigi riceve insieme con suo figlio il battesimo, prendendo egli il nome di Pieter Mathias e il ragazzo quello di Pieter Léon. Padrini sono due convertiti, Léon Bloy e Jacques Maritain.

Thursday, 03 December 2015 13:37

Figlio della tradizione con animo innovatore

Pieter Van De Meer

di Gabriele Cantaluppi

La storia della sua conversione è stata narrata in un volume da lui stesso tradotto in francese “Journal d’un converti” (Parigi 1921), che va dal 1907 al 1911, quando il 24 febbraio, nella chiesa di San Medardo a Parigi riceve insieme con suo figlio il battesimo, prendendo egli il nome di Pieter Mathias e il ragazzo quello di Pieter Léon. Padrini sono due convertiti, Léon Bloy e Jacques Maritain.

Maria Goretti

di Gabriele Cantaluppi

Poche righe: la stampa di quel luglio 1902 riportava sommessamente la notizia dell’uccisione della giovane dodicenne Maria Goretti, avvenuta il giorno prima alla Conca di Nettuno. Solo il quotidiano romano “Il Messaggero” dedicava al ”brutale assassinio” un’intera colonna, sottolineando l’eroismo della giovane che aveva saputo resistere alle oscene proposte del ventenne Alessandro Serenelli. Anche la stampa cattolica mostrò atteggiamenti di riserbo, quando ancora nel 1939 il processo canonico stentava ad andare avanti perché “si tratta di un fattaccio così sconcio che non si ha il coraggio di mandarne la protagonista sugli altari”. Cose d’altri tempi: a noi oggi, abituati a ben altra cronaca, il sacrificio di questa giovane riporta agli Atti delle prime martiri dell’epoca cristiana.

Wednesday, 10 June 2015 14:59

Precursore dei moderni sistemi educativi

Padre Luigi Monti

di Gabriele Cantaluppi

E' notte fonda e Luigi dorme un sonno agitato: non solo le tenebre esteriori lo circondano, ma anche nel suo animo viveva l’amarezza di chi si sente tradito nei suoi ideali. Diciotto giovani, che avevano condiviso la sua scelta di servire gli ammalati con passione, erano stati respinti dall’Ospedale Santo Spirito a Roma, nonostante ne avessero pieno titolo. Li aveva mandati perché fossero infermieri animati da vera compassione verso gli ammalati, e non semplicemente mercenari, ma a non volerli erano stati i Cappuccini, cappellani in quel nosocomio, che preferivano privilegiare i loro terziari. Però un sogno e una voce lo rincuorano: “Luigi, non rattristarti” gli dicono Gesù e Maria apparendogli.

Wednesday, 18 February 2015 15:52

Una particella di dio nascosta in un diario

Claudio Contarin

di G. Cantaluppi

L’uscita dal pub era stata gioiosa, dopo una serata tra amici, tutti bravi ragazzi, impegnati nello studio, nel lavoro e nello sport. Claudio, Matteo, Francesco e Riccardo si sentivano orgogliosi di poter tornare a casa a bordo dell’Alfa 116, prestata dal padre di uno di loro. 
Una curva sulla strada che porta a Camisano Vicentino, forse presa a velocità un po’ sostenuta, ma sicuramente non eccessiva, vista l’ubicazione, o magari qualche altro motivo, solo nel cuore di Dio rimane il segreto che ha segnato il tragico destino di quattro giovani vite diciannovenni. Dopo avere sbandato ed essersi scontrata con il parapetto di un ponte, l’auto si è rovesciata finendo nel canale. Tutti morti sul colpo, tranne uno; ma anch’egli non ce l’ha fatta ed è spirato dopo i primi soccorsi.  
Sembrerebbe una delle tante cronache a cui purtroppo in questi tempi siamo abituati, se non fosse perché lo Spirito Santo ha voluto che da tanto dolore si sprigionasse una luce di fede e di speranza.
Uno di loro, Claudio, ha lasciato un’agenda su cui notava le sue riflessioni, un diario di cui neppure i genitori conoscevano l’esistenza, ora edito dall’emittente berica “Radio Oreb”.
Sì, un giorno, entrando nella camera del figlio, il padre l’aveva sorpreso in ginocchio a pregare, ed egli si era subito alzato, forse per essere stato scoperto in un suo segreto rapporto con Dio. Ma quel figlio era come tanti altri giovani, pur buoni e seri. Terminate le classi superiori, si era iscritto all’Isfav, la scuola di fotografia che, anche grazie alla professione del padre, costituiva insieme al calcio la sua passione e nella quale aveva talento, come testimoniano le foto annesse al suo diario. 
Aveva tanti tratti comuni ai suoi amici abituali:  le serate di divertimento al bar e in discoteca, il piacere di qualche bicchiere e della sigaretta e - perché no? - anche qualche simpatia verso le belle ragazze.
Aveva però incontrato Qualcuno che lo aveva conquistato: con Lui parla con spontaneità e naturalezza, chiamandolo Papà, a volte anche affettuosamente Papi o Pà. Tratta con gli Angeli, primo fra tutti il proprio Angelo Custode e con i Santi, suoi amici. Alla Madonna, la Mamma, va con trasporto: “Quanto ti vorrei abbracciare”, scrive.
è talmente amico di Gesù che lo invita a giocare o ad accompagnarlo al bar: “Oggi vieni a divertirti con me?”.
Come può un giovane definire lo Spirito Santo “la parte di Dio che brilla in noi”, se non è lo Spirito stesso a suggerirglielo?
Claudio non apparteneva ad alcuna forma di associazionismo parrocchiale o di altro tipo, però credeva che l’amore di Dio per lui fosse anche un riflesso delle cure prestate da suo padre Alberto, durante un pellegrinaggio in Terra Santa, a un bambino disabile di nome Yossi (Giuseppe in ebraico). Commenta: «Ora Alberto è tornato a casa, al primo maschio ha messo il nome Yossi (è il secondo nome di Claudio). La sua vita non è più la stessa: ad Alberto piace pregare, trovare un momento di pace e di sollievo con Dio. Usa tutte le sue energie per la sua famiglia, usa tutto il suo cuore per Dio. Negli occhi di quel bambino ha visto Gesù, l’ha aiutato».
Sembra quasi che avesse intuito la brevità della sua vita quando scrive: «Non sappiamo quanto tempo ci rimane. Forse poco, forse ancora tanto».
Anche per lui ci sono stati giorni in cui ha dovuto farsi forza per superare l’abitudinarietà, ma sapeva di non essere solo perchè c’è il suo “Papà”: «Ogni giorno che passa, per quante difficoltà io possa avere, ci sei tu, qui, presente!». E ancora: «Dacci una mano Papà, aiuta il nostro cuore a essere pronto a raccogliere il piccone dello Spirito Santo, a salire il muro… se saliremo, grazie a te arriveremo dall’altra parte… ci saranno poi altre difficoltà ancora più dure del muro… ma non ci volteremo».
Il proposito di «da fuori mostrare sempre un gran sorriso, grinta, voglia di vivere e aiutare gli altri» lo invita a chiedere di «essere leone perché il coraggio è la forza, la grinta riempie e iniziar così il cammino, forte come il leone, dolce come un bambino».
In un momento di panico, in cui confessa di non riuscire a pregare per l’inquietudine, si affida alla Madonna: «Chiedi alla Mamma un po’ di dolce calma e poi con lei torna a pregare e ora che c’è lei nella tua mano mi raccomando non ti preoccupare». 
Di amici ne aveva tanti fra i Santi: quasi ogni pagina del suo diario si chiude con «Claudio & san... e tutti noi». In una poesia definisce ogni Santo una nuvola che sorregge il trono del Signore e conclude: «Anch’io voglio essere una nuvola!». «Caro Angelo, scrive all’Angelo Custode, la cosa più bella sarebbe arrivare da Dio con te mano nella mano. Aiutami a resistere alle tentazioni e aiutare gli altri come tu aiuti sempre me».
Pensa anche al suo avvenire, quando, parlando di San Giuseppe, confida: «Egli lavora, porta a casa il pane e la fede nella propria famiglia. Se sarà ‘fare il papà’, nel progetto di Dio, lo farò ascoltando quando mi parla e dicendo: ‘Ecco il tuo servo: sia fatta di me la tua volontà!».
L’itinerario gli è chiaro: «Così vive il Santo. Sempre con quel profondo desiderio di esserlo… E la giornata il Santo come la vive? Sempre con gli occhi ‘brillanti’ di Gesù» perché «anche semplici sorrisi, ma davvero sinceri, sono questi i veri miracoli». E chiede al Signore: «Il calcio mi ha dato grande soddisfazione verso di te. Ma aiutami… a far giocare la palla con il cuore» e chiede di poter vedere in ogni sua azione «il volto di Gesù. Così davvero colorerò la mia vita».
Paragona i santi alle campane: «Come le campane di casa Tua che chiamano così soavemente e timidamente, così un santo chiama il prossimo suo”.
La certezza di essere amato da Dio, aiuta Claudio a vivere coerentemente anche l’esperienza della fragilità e del peccato.
Ricordando le parole di Gesù misericordioso a suor Faustina Kowalska: «Tu sei la gioia e la delizia del mio cuore», scrive: «Anch’io quando non riesco ad ascoltare il mio cuore perché il male mi atterra, me lo ripeto… e tu vieni a soccorrermi».
«Ho peccato. Oggi non sono andato a messa. Oggi è il giorno del Signore. Se cadiamo perchè noi non riusciamo a sentirti, allora ti prego aiutaci a chiedere scusa, a rialzarci e a tornare da te più forti di prima. Sapendo che il tuo cuore è più tenero di un bacio della Madonna». 
Il rapporto di Claudio con il suo “Papi” è alimentato dalla preghiera: «Mi sono svegliato, oggi ho un profondo desiderio di te!». Si sente un’ape che si posa sul fiore aperto per saziarsi: quel fiore è Dio. La preghiera non è solo mettersi in ginocchio, ma anche «un continuo ‘dare’ a Dio» nel povero, e un continuo ricevere da Dio: è quello che lo colpisce nella vita di Madre Teresa.
Non mancano momenti di “deserto” per stare a tu per tu con Gesù.  In un giorno del settembre 2007 segna sulla sua agenda: «Programmare un giro con Gesù: in bici sui colli, da solo o in compagnia di chi preghi te; cose da portare, rosario e vangelo; optional, qualcosa da mangiare e da bere così da fare merenda con Gesù». 
Si impegna: «Ho deciso per avvicinarmi alla preghiera che ogni lunedì mi impegnerò di più a pregare». Tanto da chiamarlo ‘lunedì di preghiera’, perché «la preghiera è importante per respirare attimi di aria celeste, per far brillare i nostri occhi di gioia, per ristabilire forte il sorriso nelle mie giornate». E ancora: «Nella preghiera voglio rifugiare la mia vita» per «vivere sentendo il battito del cuore…  fidandoci e mettendo radici salde in Dio, sapendo che la sua volontà è solo amore. E Dio lo troviamo nella preghiera».
Claudio ha diciannove anni ed esplode di  gioia: è pieno di gratitudine per quello che ha ricevuto da Dio,  dalla famiglia e dagli amici, con la voglia di regalare un sorriso a chi incontra: «Là, dove manca un sorriso, io lo porterò. Un amico è importante, un sorriso vale una vita. E entrambe le cose si possono sempre dare».
Il segreto della gioia di Claudio lo troviamo anche in due sue affermazioni: «Solo nell’umiltà si trova la vera ricchezza… invece di lamentarsi bisogna guardare le cose che abbiamo».
C’è una fotografia di Claudio nel suo diario in cui il cielo azzurro appare al di là di un intreccio di rami e che egli commenta come simbolo della lotta dell’uomo nello sforzo di aprirsi il varco verso il cielo per arrivare a Dio. Una fatica che anche lui ha vissuto, «ma da fuori mostrare sempre un gran sorriso, grinta, voglia di vivere e aiutare gli altri».
 
Wednesday, 17 December 2014 13:51

Guido Gonella

Un politico al servizio della ricostruzione nel dopoguerra

di Gabriele Cantaluppi

Guido Gonella nacque a Verona nel 1905. Si laureò  in Filosofia e in Scienze giuridiche, diventando docente universitario di Filosofia del diritto nelle Università di Bari e di Pavia. Negli anni Trenta collaborò all’Osservatore Romano su cui,dal 1933 al 1940,curò la rubrica “Acta diurna" che diventò una centrale di notizie provenienti da ogni parte del mondo,dalla quale attinsero tutti i corrispondenti stranieri.
In stretto rapporto con De Gasperi e con altri esponenti democristiani, fino al 1946 diresse il quotidiano “Il Popolo”, organo ufficiale del partito. Componente dell’Assemblea costituente,fu deputato dal 1948 al 1972 e senatore dal 1972 al 1983; ministro della Pubblica istruzione, di Grazia e Giustizia e della Riforma burocratica. Nel 1976 rappresentò l’Italia al Consiglio d’Europa per poi essere eletto al Parlamento europeo nel 1979. Morì a Nettuno nel 1982.

Le carte vincenti del suo impegno

di Gabriele Cantaluppi

«Adesso ho fatto tutto ciò ch'era in mio potere, la mia coscienza è in pace. Vedi, il Signore ti fa lavorare, ti permette di fare progetti, ti dà energia e vita. Poi, quando credi di essere necessario e indispensabile, ti toglie tutto improvvisamente. Ti fa capire che sei soltanto utile, ti dice: ora basta, puoi andare»: sono queste parole, dette alla figlia Marianna  cinque giorni prima della morte, avvenuta il 19 agosto 1954 a Val di Sella in Trentino, quasi il testamento di Alcide De Gasperi. Convinzioni di uno statista che ha dato un intenso e fondamentale contributo alla ricostruzione dell’Italia.
Monday, 16 June 2014 13:13

Giancarlo Rastelli accanto al malato

di Gabriele Cantaluppi

"Con la carità della scienza"

La sorella Rosangela, giornalista e scrittrice, è oggi l’unica superstite della famiglia Rastelli, in seno alla quale  a Pescara il 25 giugno 1933 ha visto la luce Giancarlo. 

Il padre e la madre erano di origini parmensi: giornalista lui, maestra lei, fu proprio l’attività del padre a spostare la famiglia a Roma e a Sondrio fino a stabilirsi definitivamente a Parma, dopo la guerra. La direzione spirituale di Padre Molin Mosé Pradel, presso i gesuiti di San Rocco, convinse  Giancarlo a iscriversi nella Congregazione Mariana, incontrando un cristianesimo che dona amore gratuito senza chiedere nulla in cambio, così che potrà affermare: “Sapere senza saper amare è nulla. è meno di nulla. Alla fine della vita l’importante è avere amato. Sarete giudicati sull’amore e non sulla fede”. Si formò all’apostolato verso quelli che papa Francesco ha definito “gli scarti” dell’umanità, acquisendo nei loro confronti quella sensibilità che nel corso della sua professione gli farà ritenere l’ammalato appartenente alla categoria dei “nuovi poveri”, vedendovi riflesso il volto di Cristo. 

di Gabriele Cantaluppi

«Spirito di preghiera, accoglienza, ospitalità senza confini»

Alla domanda su cosa sarebbe rimasto della sua opera, Maria rispose: “L’eco di un canto di allodola in un cuore che l’ha ascoltato. Un seme è gettato. Se il seme è benedetto, darà frutto”. E sembra proprio che così sia avvenuto: lì a Campello sono rimaste solo due “sorelle” della piccola comunità fondata nei primi decenni del secolo scorso da Maria di Campello.

«Sono una cristiana con fede rocciosa, incrollabile... per grazia di Dio»

di Gabriele Cantaluppi

Nata a Forlì il 2 aprile 1943, fin da quando aveva cinque anni sentì l’ispirazione a dedicare la vita ai poveri. Un intuito che maturò negli anni di liceo, anche quando, grazie ai brillanti risultati scolastici, trascorse un periodo a Boston per imparare l’inglese.
E fu proprio nel quartiere nero di quella città, a contatto con quelli che soffrono, che non hanno voce davanti al mondo, che la sua vocazione si fece chiara. I suoi genitori desideravano per lei la carriera  giudiziaria e, per accontentarli, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza. Ma per non perdere tempo si impegna con tutte le forze nel Comitato per la lotta contro la fame del mondo, sorto in quegli anni nella sua città, e accetta la carica di presidente della sezione femminile della FUCI.
Numerose sono le sue iniziative a favore dei poveri: conferenze, dibattiti pubblici, che la mettono in contatto anche con Raoul Follerau, l’apostolo dei lebbrosi, e l’abbé Pierre, il fondatore della comunità Emmaus. Ha come punti di riferimento Gandhi, che legge assiduamente, ma anche altre guide cristiane, dai padri del deserto, a Francesco e Chiara di Assisi e altri, fino a quelli più vicino a noi come Primo Mazzolari e Lorenzo Milani.
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