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Monday, 16 June 2014 13:13

Giancarlo Rastelli accanto al malato

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di Gabriele Cantaluppi

"Con la carità della scienza"

La sorella Rosangela, giornalista e scrittrice, è oggi l’unica superstite della famiglia Rastelli, in seno alla quale  a Pescara il 25 giugno 1933 ha visto la luce Giancarlo. 

Il padre e la madre erano di origini parmensi: giornalista lui, maestra lei, fu proprio l’attività del padre a spostare la famiglia a Roma e a Sondrio fino a stabilirsi definitivamente a Parma, dopo la guerra. La direzione spirituale di Padre Molin Mosé Pradel, presso i gesuiti di San Rocco, convinse  Giancarlo a iscriversi nella Congregazione Mariana, incontrando un cristianesimo che dona amore gratuito senza chiedere nulla in cambio, così che potrà affermare: “Sapere senza saper amare è nulla. è meno di nulla. Alla fine della vita l’importante è avere amato. Sarete giudicati sull’amore e non sulla fede”. Si formò all’apostolato verso quelli che papa Francesco ha definito “gli scarti” dell’umanità, acquisendo nei loro confronti quella sensibilità che nel corso della sua professione gli farà ritenere l’ammalato appartenente alla categoria dei “nuovi poveri”, vedendovi riflesso il volto di Cristo. 
La laurea in medicina a ventiquattro anni e nel 1961 una borsa di studio della NATO gli hanno ottenuto l’ingresso nel centro di ricerca medica più importante del mondo, la Mayo Clinic di Rochester nel Minnesota (USA). Tre anni dopo sposò Anna Anghileri, conosciuta sulle piste gli sci di Bormio e proprio nel ritorno dal viaggio di nozze si autodiagnosticò il morbo di Hodgkin, contratto a causa delle sue ricerche.  Al tempo era una malattia senza speranza che gli concedeva solo cinque anni di vita. 
In questo breve arco di tempo e mentre combatteva la battaglia per la sua salute, mise a punto due tecniche innovative di intervento per malformazioni congenite al cuore, poi catalogate come “Metodo Rastelli 1” e, successivamente “2”, mentre il “3”, che stava progettando, non potè presentarlo per il sopraggiungere della morte. Fu premiato a Washington con tre medaglie d’oro.
Morì il 2 febbbraio 1970 a Rochester a soli 36 anni, dopo essere divenuto capo della ricerca cardiochirurgica alla Mayo.
Rastelli seppe vivere in maniera esemplare la sua professione con carità e tenendo fisso lo sguardo al Vangelo dei “piccoli”. Lo spirito di servizio lo spingeva anche alla continua ricerca, convinto che “far cessare la ricerca è far cessare la vita”, perché, sono parole sue, il medico ha  un rapporto  con “i malati da vivere”. Era convinto che il medico e gli ospedali sono in funzione degli ammalati e non per creare posti di lavoro.
Ha scritto Giovanni Paolo II nella  Novo millennio ineunte: «Gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di parlare di Cristo, ma in un certo senso di farlo “vedere”». Così è vissuto Giancarlo: un cristianesimo autentico da laico, nell’ordinarietà della professione e nel quotidiano, con il suo sorriso luminoso e la sua risata cristallina anche nel periodo della malattia. Era un giovane bello, simpatico, pronto alla battuta umoristica, tanto che uno dei più grandi cardiochirurghi americani scrisse di lui: “La prima cosa che mi colpì fu quel bel sorriso comunicativo; poi conobbi la sua intelligenza ed infine la sua grande umanità. Non so se ho imparato più da lui come scienziato oppure come uomo”. 
Per lui la vita è un grande valore a prescindere della sua qualità, e va vissuta con gioia, anche perché il sorriso dell’uomo è riflesso di quello di Dio.
Da lui la professione non fu mai svolta solo a scopo di lucro, ma esercitata con grande altruismo fino ad ospitare in casa sua, per altro modesta, i bambini pazienti in attesa dell’intervento, rinunciando a parte del suo stipendio di chirurgo per aiutare ed accogliere quanti avevano bisogno di cure dopo l’operazione.
Poteva scrivere. “La prima carità che l’ammalato deve avere dal medico è la carità della sua scienza. è  la carità di essere curato come va fatto. Senza di questo è inutile parlare di altre carità. Senza di questo si fa del paternalismo e del pietismo soltanto”. Sosteneva anche che “Qui (alla Mayo) i vasi di coccio vanno in pezzi immediatamente. I valori e le conoscenze scientifiche in campo, vanno verificati ogni giorno”: un modo per dire che non si può vivere di rendita sulla propria laurea e che la formazione medica va verificata e potenziata continuamente.
Raccomandava: “Se hai anche solo pochi minuti da dedicare al malato, siediti accanto a lui, sorridi, prendigli la mano ad incontrarlo come un compagno di viaggio, come un fratello di un comune destino, non come un numero o come un carcerato dell’Ospedale. L’ammalato è l’altro da servire”. Provato lui stesso dalla sofferenza, diceva che tutti abbiamo o possiamo avere le ali, “ma solo chi soffre impara a volare”.
Giancarlo viveva nei fatti la presenza di Dio, non risparmiandosi nell’impegno del lavoro e della competenza scientifica e nell’alta tensione morale mantenuta nei cinque anni del male, attualizzando la missione suprema di Cristo che è stata quella di dare la vita.
Don Luigi Verzé l’ha definito “… un medico-sacerdote, forse meglio un sacerdote-medico. Un chirurgo, cioè, che si sente mano di Dio e che ha coscienza di essere lui stesso il sacrificio di Dio”.
Ha vissuto con coerenza ed eroismo la sua fede di Congregato Mariano: un’ulteriore testimonianza che la vera devozione a Maria trasforma l’esistenza.
Aveva ricevuto tanti talenti e poteva percorrere tante strade. Aveva scelto giovanissimo di essere medico, per intima vocazione e per una scelta in cui si fondevano perfettamente il suo desiderio di donazione agli altri e il suo innato amore per il sapere, annullando quasi se stesso per mettersi al servizio della scienza e soprattutto dell’umanità sofferente.
Scrive don Guanella: «Lo stesso divin Salvatore loda come eroica quella persona qualsiasi che con molta diligenza e per vivo affetto a Dio compie i  doveri del proprio stato. Al  cospetto di Dio è eroe colui che sollecita in sudore di giorno e di notte e poi che  dica di  cuore: "Io sono servo inutile"».
 
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