Don Luigi: sono passati venti anni, ma non hanno cancellato la sua vitalità esemplare: uomo, prete, servo degli ultimi, perché servo di Gesù Cristo...
Tanti anni fa, una sera, con la commozione che l’istintiva ritrosia sua gli consentiva, di essere figlio di un emigrante clandestino negli Usa, recidivo e respinto più volte, per sfamare la famiglia, mi raccontò: «La prima volta che sono andato in America, una sera, ho camminato per ore sulle banchine del porto di New York... Era il cammino che tante volte lui, mio padre, emigrante per mantenere la famiglia aveva fatto da solo, quando arrivava e quando lo cacciavano...».
Don Zeno, il prete di Nomadelfia, un sogno divenuto realtà contro tutto e contro tutti, e insieme a favore di tutto e tutti. Ammirato anche da chi lo odiava. Difficile essere neutrali di fronte a uno come lui. Inimmaginabile per tanti, ma oggi reale, è in corso il processo di beatificazione…
Come lui pochi, prima, forse nessuno così fuori dagli schemi. Eccolo, dunque.
Zeno Saltini nasce il 30 agosto 1900 a Fossoli, presso Carpi, nono di 12 figli di una coppia di agricoltori agiati. A 14 anni lascia la scuola: così com’è la trova inutile alla vita, e va a lavorare nei campi. A 20 è militare a Firenze, e ascoltando un compagno dire che Gesù Cristo e Chiesa sono il vero ostacolo al progresso umano si rende conto di dover studiare per poter mostrare con la vita e la parola che Cristo invece è libertà e giustizia.
Contadino di nascita, alla campagna restò sempre fisicamente legato alla sua Bassa Padana. Papa Giovanni, due mesi prima che morisse, lo salutò così: “Ecco la tromba dello Spirito Santo in terra mantovana!” Primo Mazzolari nasce nel 1890 a Boschetto di Cremona. A 22 anni è prete, viceparroco e professore di lettere, e per qualche tempo, a varie riprese, anche missionario tra gli italiani emigrati in Svizzera.
La rubrica delle «Lettere» dell’edizione di marzo della nostra rivista ha ospitato, a pagina 13, una lettera di padre Paolo Oggioni in cui narrava le vicende della sua malattia. Nel mese di maggio padre Paolo ha lasciato questa terra per ricevere il premio riservato dal Signore ai buoni servitori nella costruzione del Regno della fraternità e dell’amore. Ci sembra doveroso ricordare oggi la scomparsa di padre Paolo con il ricordo del padre Soosai Rathinam, responsabile della giovane provincia guanelliana comprendente India, Filippine, USA e Vietnam, e che ha avuto il privilegio di stargli accanto e conoscerlo nella sua qualità di confratello, educatore e autentico apostolo di carità.
Padre Paolo era uno di noi e ha scritto alcune delle pagine più importanti e appassionanti della nostra storia. E’ doveroso parlare di lui perché è stato un prezioso dono ricevuto dall'alto. Uno dei compiti più difficili dei suoi futuri biografi sarà quello di stabilire a quale Provincia della Congregazione appartenesse, perché nel suo infaticabile impegno ha servito la Congregazione in tutto il mondo: Italia, America Latina, Stati Uniti d'America, Filippine e persino Africa, se la salute non l’avesse abbandonato nell’ultimo periodo del suo transito terreno.
Loris Capovilla il giorno 26 maggio ha fatto ritorno alla Casa, quella Casa nella quale il mondo è chiamato ad avvicinarsi con l’annuncio, fatto dall’evangelista Giovanni che «Dio lo ha tanto amato da dare il suo Figlio unico per la sua salvezza». Pareva immortale, e don Loris sorrideva quando qualcuno lo faceva notare. Possedeva una memoria prodigiosa, una vivacità incredibile, una energia di vita, di speranza, di prossimità per tutti.
E' morto da 48 anni, ma fa ancora discutere, pro o contro: difficile davanti a lui restare indifferenti. L’hanno sepolto – lo ha voluto lui – in un piccolo cimitero quasi abbandonato di un paesino dimenticato nel Mugello toscano, Barbiana, ma tanti non l’hanno dimenticato. Si chiamava Lorenzo Milani. Nato a Firenze da famiglia di intellettuali ebrei nel 1923. Studia da artista, conosce il mondo, si fidanza anche. Nulla di quello che fa è superficiale, ma a vent’anni scopre Gesù Cristo, si fa cattolico e va in Seminario. A 24 è prete, fa il prete con la sua gente, ma mette anche su una scuola per i “suoi” analfabeti, a Calenzano. Normale? Macché! Succede che per questo disturba tutti: preti e laici, democristiani e comunisti, borghesi e politici.
Don Divo Barsotti, prete, maestro, mistico, solitario, nascosto, schivo e insieme trascinatore. Parlava poco, ma ha scritto moltissimo, vivendo quasi sempre in un eremo: amato da tanti, seguito dai semplici e stimato dai sapienti, sempre libero con tutti, nella Chiesa, ma solo per Dio, il Dio di Gesù Cristo, unico centro della sua vita. Divo: forse mai un nome è stato smentito come questo dalla vita, lunga 92 anni, ma trascorsa quasi interamente nascosta: molti anni e apparentemente pochi fatti, tanti silenzi, tante preghiere, tantissimi scritti: più di 160 libri, tradotti in moltissime lingue.
«Nel tuo provvido amore, (o Padre), hai scelto san Giuseppe perché custodisse il tuo Figlio fatto uomo, circondandolo di affetto paterno, e a noi offrisse l'esempio di una esistenza laboriosa. Pur discendendo dalla stirpe regale di Davide, si guadagnò il pane col sudore della fronte. Nobilitò l'umana fatica sorretto e allietato dalla convivenza di Gesù e di Maria; esercitando la sua arte con impegno e virtù mirabile, divenne maestro di lavoro a Cristo Signore che non disdegnò di essere detto figlio del carpentiere» .
Chiunque abbia avuto, leggendo nei Vangeli, la grazia di mettersi in ascolto dei silenzi di sfan Giuseppe, sa che lui non è una bella statuina del presepio, immobile e decorativa. Era il padre “putativo” di Gesù, ma questo non deve far pensare a un suo ruolo marginale e un po' patetico nella santa Famiglia. Giuseppe ha esercitato la sua paternità a tutti gli effetti. Del resto, anche gli studi psicologici recenti riconoscono che «un padre deve sempre adottare il proprio figlio» (Doltò).
Sino a qualche tempo fa il nome più diffuso in Italia, dopo quella di Maria era il nome di Giuseppe: l'uomo del silenzio faceva riecheggiare il suo nome nei più sperduti borghi d'Italia. In questi ultimi cent'anni la società ha subito grandi trasformazioni, ha sofferto distruzioni, morti, lutti, lacrime, ha sperimentato la bomba atomica, è andata sulla luna, ha riempito il cielo di satelliti. Nel secolo scorso con un ritmo di cinquant'anni, sono saliti alla cattedra di Pietro tre pontefici che nel battesimo avevano ricevuto il nome di Giuseppe: Giuseppe Sarto, San Pio X, Angelo Giuseppe Roncalli, Giovanni XXIII e Joseph Ratzinger, Benedetto XVI. Tre uomini che hanno contribuito con uno stile pastorale diverso a rendere la Chiesa più evangelica. La scena politica, pur nella passionalità e acredine anticlericale, ha cooperato a liberare la Chiesa dalla pesantezza del potere temporale.