Nei prossimi nostri incontri vogliamo esaminare un brano che ha avuto molta fortuna: il primato di Pietro. Lo possiamo trovare nel capitolo 16 di Matteo: “Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarea di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». Rispose Simone Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù: «Beato te Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» (Mt 16, 13- 17).
Il finale della pericope che stiamo leggendo è il culmine della scena, la vera e propria vocazione di Pietro, nella quale troviamo rispecchiate le nostre. Ma leggiamo con ordine: «Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore”. Grande stupore infatti aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc 5, 8-11).
Proseguiamo con la nostra lettura di Lc 5: «Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca”. Simone rispose: “Maestro abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”. E avendolo fatto presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche, al punto che quasi affondavano».
A questo punto, possiamo fare un’incursione quasi alla fine del discepolato di Pietro; riprenderemo dalla prossima volta un cammino seguendo più da vicino l’ordine del Vangelo. Questo salto in avanti è giustificato perché dopo avere riflettuto sul gruppo di discepoli possiamo riflettere su che cosa significa la vita fraterna, cioè la vita seguendo Gesù non da soli, ma in comune. In un certo senso, significa capire che cos’è la Chiesa, perché ognuno di noi incontra Cristo con altri, lo segue con altri, e anche lo serve negli altri, cominciando proprio dai compagni nella fede.
Troviamo un bel gruppo insieme a Pietro: «Costituì dunque i dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro; poi Giacomo di Zebedeo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali impose il nome di Boanerghes, cioè figli del tuono; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo, e Giuda Iscariota, che poi lo tradì” (Mc 3, 16-19). Se prendessimo questi versetti come un elenco di nomi, sarebbe riduttivo: dobbiamo cercare di grattare sotto quei nomi, per capire qualcosa che può riguardare anche noi.
Con questa serie di riflessioni vogliamo aiutarci nella nostra sequela del Signore contemplando la storia di un discepolo eccezionale: san Pietro. Vogliamo nei prossimi incontri ripercorrere la sua storia per potere noi stessi ritrovarci in essa: del resto tutta la sacra Scrittura è stata scritta per questo, perché tutti quelli che dopo sarebbero venuti potessero ritrovare il senso di quanto a loro stessi è accaduto, il loro incontro con Gesù, le sue promesse, le loro fragilità, la sua fedeltà. In questo senso la Scrittura è per noi fonte continua di edificazione: nel senso letterale, in quanto ci costruisce come discepoli del Signore appunto contemplando la vita di quelli che ci hanno preceduto in questo incontro meraviglioso con Lui.
«Era una notte incantevole, una di quelle notti che ci sono solo se si è giovani, gentile lettore. Il cielo era stellato, sfavillante, tanto che, dopo averlo contemplato, ci si chiedeva involontariamente se sotto un cielo così potessero vivere uomini irascibili e capricciosi. Anche questa domanda è da giovani, caro lettore, proprio da giovani, ma che Dio la faccia sorgere più spesso nell’anima tua! [...] A proposito di persone irascibili e ostinate, non posso non ricordare come mi comportai bene durante tutta quella giornata. Una certa angoscia aveva iniziato a tormentarmi fin dal mattino. A un tratto mi era sembrato che tutti mi lasciassero solo, che tutti mi abbandonassero» (F. Dostoevskij, Le notti bianche, Einaudi, Torino 2014).
Dopo aver visto che cos’è la liturgia, ora proviamo a definire cos’è il celebrare e il proprio di ogni celebrazione. Il Concilio Vaticano II ribadisce che la celebrazione, appartenendo a tutto il corpo che è la Chiesa, ha come soggetto l’intera assemblea liturgica, ossia non solo i presbiteri e i ministri, ma tutti i fedeli.
Se dovessimo presentare un’istantanea della Chiesa dovremmo coglierla nel suo momento celebrativo, ossia quando essa è radunata là dove il vescovo presiede, attorniato dai presbiteri, dai diaconi, dai ministranti e con la partecipazione di tutto il popolo di Dio. Questa è l’immagine perfetta della Chiesa.
Gesù «conosceva quello che c’è nell’uomo» (Gv 2, 25). Con quest’affermazione si chiude il secondo capitolo del Vangelo secondo Giovanni. E, subito, il terzo capitolo si apre con l’incontro di Gesù con «un uomo di nome Nicodemo», un capo dei capi dei Giudei, un maestro d’Israele, ma soprattutto un personaggio che vive un po’ dentro ciascuno di noi: un uomo, appunto, con le sue domande sul senso della vita, un cercatore di Dio, un mendicante.
Proseguendo le meditazioni sulle «domande della fede» che costellano tutta la Bibbia – perché esprimono i dubbi, le paure, i desideri del cuore umano – ci soffermiamo sull’episodio evangelico del mare in burrasca. Al termine di un’intensa giornata di predicazione, Gesù e i dodici salgono in barca per «passare all’altra riva» e far rientro nelle loro case. Mentre i discepoli remano, Gesù sta a poppa e si addormenta su un cuscino, come annota l’evangelista Marco.