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Super User

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Lunedì, 07 Aprile 2014 10:27

Istituzione dell’Eucaristia

Quinto mistero della luce

di Ottavio De Bertolis


Questo mistero fa come da ponte tra la vita di Gesù e la consegna di sé nella Passione: l’Eucaristia infatti riassume tutti i misteri della vita di Gesù, e li rende presenti nell’efficacia di quell’unico Pane che spezziamo. Così nell’Eucaristia troviamo, come in una sintesi, tutti i doni di Gesù agli uomini, e che venivano annunciati e celebrati, per così dire, quasi separatamente nel corso della sua vita terrena: il perdono ai peccatori, la guarigione dei malati, la consolazione dei suoi poveri, come abbiamo già visto. 
Tutte le volte che noi celebriamo la Messa, riviviamo tutto questo: siamo come i pubblicani e i peccatori che mangiano a mensa con Gesù, provocando lo scandalo dei farisei, di coloro che si credevano puri e bravi in base alle loro forze: “Perché il vostro maestro sta a tavola con i pubblicani e i peccatori?”. Nella Messa Gesù, come già nel cenacolo, si fa nostro servo, si inginocchia ai nostri piedi, facendosi non più grande di noi, come tutti noi crediamo che sia, e infatti lo è; ma così agendo si mostra e si fa più piccolo, per togliere da noi ogni timore e ogni paura di Lui e di Dio: chi vede Lui infatti vede il Padre. Gesù non si fa servo e piccolo solo per un momento, come si potrebbe intendere in base a un’interpretazione riduttiva di quel “vi ho dato l’esempio”, appunto, come se, una volta dato l’esempio, si togliesse frettolosamente le vesti del servo per riprendere quelle del padrone. Lui si mostra servo nostro perché è veramente e definitivamente nostro servo; Lui si inginocchia di fronte a noi per lavarci i piedi, non noi ci inginocchiamo di fronte a Lui. 

di Ottavio De Bertolis

Quarto mistero della luce

Questa scena ci prepara alla rivelazione della gloria di Gesù, cioè al mistero stesso del suo dolore. Come nell’Antico testamento, scende una nube: questa è segno della presenza di Dio, e quando Dio si manifesta, il mondo rimane come nascosto, velato. Dio si manifesta come una nube, simbolicamente, non solo perché Lui è il mistero per eccellenza, l’Inafferrabile, ma anche perché, come quando scende la nebbia, le strade che prima ci sembravano così ovvie e normali, cioè la nostra vita di sempre, diventano invece impercorribili, e dobbiamo fermarci. Così quando Dio si manifesta, anche noi dobbiamo fermarci, perdiamo le nostre sicurezze, impariamo a ricercare e ad ascoltare.

Terzo mistero della luce

di Ottavio De Bertolis

 

In questo mistero contempliamo come Gesù Cristo annuncia il Regno di Dio, la sua vicinanza e la sua presenza in mezzo agli uomini: perdonando i peccatori, guarendo i malati, annunciando la Parola. In un solo termine, potremmo dire che Gesù annuncia il Regno, e annunciandolo lo fa presente, “consolando” il suo popolo: la presenza di Dio in mezzo a noi è sempre una presenza di consolazione. Questa presenza sgorga dalla parola che Gesù ci dice, e si riempie di tantissimi colori diversi. Per qualcuno il Regno che viene è innanzi tutto una chiamata a lasciare tutto, farsi libero dai propri ripiegamenti sulla propria vita, a diventare libero per seguire Gesù, come per il pubblicano Levi-Matteo. Per altri, come per l’adultera, è l’esperienza che Dio è più grande del proprio peccato, che non siamo da Lui condannati e giudicati, ma accolti e benvoluti. Per altri, come i lebbrosi, è il fatto inspiegabile di essere risanati, nel corpo o nell’anima, di uscire da una qualche somiglianza con la morte, che i lebbrosi mostrano nel loro corpo, per entrare in una dignità nuova e più grande. Per altri, come gli indemoniati, è scoprire che esiste una Parola che è più forte delle catene che ci legano, delle schiavitù che ci vincolano, delle infelicità che ci attanagliano, è vivere l’incontro inaspettato con Colui che viene a farci liberi e figli di Dio, da estranei o nemici che ci ritenevamo; e così via, in tante forme quante sono le figure che i vangeli ci mostrano, e che si possono concretizzare in noi stessi, nelle nostre vite.

La parola di Gesù infatti è come un prisma, nel quale la luce di Dio si rifrange in molteplici colori e varie sfaccettature, ed entra nelle nostre vite con modalità diverse, ma sempre liberando, guarendo, consolando. Direi che contemplando questo mistero possiamo chiedere che il Regno di Dio per noi non sia una teoria, come a volte si ritiene. La fede infatti non è un libro che si legge, una ideologia che professiamo, anche se possiamo scrivere un libro su di essa oppure trarne una dottrina e un insegnamento, ma è innanzi tutto un incontro, vorrei dire un fatto, o una serie di fatti, che ci rivelano, come nascosto dietro le tende, Qualcuno. Questo Qualcuno è Gesù che ancora, come ai tempi della sua vita terrena, passa, sanando e beneficando tutti; dalle sue vesti, dal suo mantello, che è la Parola di cui è rivestito e portatore, sgorga una forza che sana e guarisce, e noi ci troviamo dunque come l’emorroissa, risanata e guarita, nonostante la sua triplice inguaribile impurità, di donna, di pagana, del sangue impuro che da lei sgorga. Oppure, come la samaritana, siamo smascherati nelle nostre piccole furberie, nei nostri pregiudizi, nelle nostre ambiguità e contraddizioni, e la Parola ci rivela per quel che siamo; ma non ci umilia, piuttosto ci solleva, e ci rende anche noi portatori e annunciatori dell’esperienza che abbiamo vissuto. 

L’agire della Chiesa, cioè di tutti noi, non è altro infatti che essere trasparenza di quel che noi stessi abbiamo toccato con le nostre mani, visto con i nostri occhi, ascoltato con le nostre orecchie, come dice San Giovanni nella sua prima lettera. E come potrebbe dire certamente anche Maria, che sentiva dalla gente quanto il suo Figlio compiva, ci rifletteva, custodiva quanto accadeva intorno a sé nel suo cuore, lo confrontava con le parole dei profeti che sentiva annunciare nella sinagoga, riportandole al Figlio che aveva generato e che, unica, sapeva chi era veramente, perché sola sapeva come lo aveva generato. Anche in questo mistero Maria ci appare come la vergine saggia, che illumina la sua vita con l’esercizio continuo e fedele della meditazione della Parola di Dio, con il suo rifletterla e come scrutarla presente nella propria vita, nei segni che Gesù compie, nel vederla attuata e compiuta in quanto il suo Figlio dice e compie.

Possiamo pregare dunque per tutti noi, per le persone di questo mondo: perché anche oggi e anche da noi Gesù vuole farsi incontrare, e vuole che la sua Parola liberi, guarisca e consoli. Possiamo pregare perché questo incontro si compia nella grazia dello Spirito Santo e, infine, per essere noi stessi strumento e come guida agli altri per questo incontro che noi stessi abbiamo sperimentato. 

 

Giovedì, 04 Febbraio 2016 14:29

Il fondatore nelle nostre mani

di Gabriele Cantaluppi

Nel giorno del compleanno di don Guanella, il 19 dicembre, la sua famiglia religiosa ( le suore, i preti e i cooperatori guanelliani) ha concluso le iniziative in programma per solennizzare il centenario della sua nascita al cielo. È stato un anno denso di spunti per ridare vigore al carisma di carità, prendere coraggiosamente il patrimonio della sua santità nelle mani e attivarsi affinché il profumo di un’azione sempre più vasta di attenzione verso gli “scarti” della nostra società vengano “riciclati” e restituiti alla dignità di figli amati e rispettati.

Il logo scelto per l'anno giubilare, opera del padre gesuita Marko Rupnik, si presenta come una piccola sintesi di queste tre forme di misericordia. Mostra, infatti, il Figlio che si carica sulle spalle l’uomo smarrito, recuperando un'immagine molto cara alla Chiesa antica, perché indica l'amore Cristo di che porta a compimento il mistero della sua Incarnazione con la Redenzione. Il disegno è realizzato in modo tale da far emergere che il Buon Pastore tocca in profondità la carne dell'uomo, e lo fa con amore tale da cambiargli la vita. Visibilmente si tratta di un abbraccio.

Giovedì, 03 Dicembre 2015 11:25

Pregare con le mani

La foto di copertina della rivista del mese di novembre due mani alzate in atteggiamento di supplica, mi ha spinto a chiedere il perché si tengono le mani giunte quando si prega. È solo un simbolo oppure è un modo di tenere concentrata l’anima sui sentimenti della preghiera stessa?

Rovira Alessio, Castel Madama (RM)

Nell'antichità cristiana si era solito alzare le mani in atteggiamento di offrire o di ricevere. Come vediamo negli affreschi delle catacombe romane, era l'atteggiamento di chi sta in preghiera, e lo si osserva ancora oggi. Le rubriche liturgiche prescrivono che il sacerdote, in alcuni momenti della Messa, preghi a mani alzate.

In seguito è stato introdotto l'uso delle mani giunte. Le mani giunte ricordano il gesto antico di legare le mani ai prigionieri (azione che ancora si oggi si mantiene viva per le spose nelle liturgie orientali). Per questo, chi stava per essere martirizzato, procedeva con le mani giunte e in quei momenti sicuramente pregava.

Mercoledì, 11 Novembre 2015 14:04

Risplenda la luce perpetua

L’amore per i cari defunti va oltre la barriera del tempo

Il vento della preghiera riaccende la luce della grazia e della comunione con Dio. La vita eterna è «l’attimo di amore senza fine». È un attimo infinito in cui Dio ci avvolge con il suo abbraccio di amore. Nel linguaggio umano dobbiamo ricorrere all’esperienza dei nostri occhi quando guardano la tenerezza di due innamorati, o come un bambino attaccato al seno della madre che fissa i suoi occhietti negli occhi della madre per avere oltre al latte il conforto del suo sorriso e della sua benevolenza. Il catechismo della Chiesa cattolica afferma che il Purgatorio non è tanto un luogo, ma una condizione di fremente nostalgia nel possedere in pienezza quella luce che momentaneamente abbiamo perso a causa della nostra fragilità e dei nostri peccati. Il nostro rapporto con i defunti non cessa al momento della loro morte, ma il sacramento del battesimo, che ci unisce a Cristo risorto, mantiene saldi questi vincoli di comunione. Il nostro amore per i nostri cari defunti va oltre la barriera del tempo. Il nostro cammino di conversione, di preghiera, di digiuni e di opere buone a vantaggio dei nostri fratelli e sorelle bisognose, è come un vento che soffia sul fuoco dell’amore di Dio che abbraccia e riscalda i nostri cari defunti e permette loro di partecipare alla gioia della luce divina.

Mercoledì, 30 Luglio 2014 11:36

Eucarestia. Fonte e vertice di una Chiesa viva

Cinquant’anni fa le cronache hanno raccontato il desiderio di Paolo VI di celebrare l’Eucaristia nel Cenacolo, ma non gli fu permesso. Papa Montini, comunque, si fermò alla soglia dell’aula del Cenacolo e consumò il suo desiderio di rinnovare la comunione con Gesù in pochi istanti. Uno sguardo velato di tristezza che nascondeva il desiderio d’imitare l’apostolo Giovanni, quello di chinarsi sul petto di Gesù e ascoltare i palpiti del suo cuore misericordioso, ma non gli è stato permesso.

di Mario Carrera

«C’è in me una sorgente molto profonda. In quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più di sovente è coperta di pietra e di sabbia: in quel momento Dio è sepolto». Sono parole della giovane ebrea Etty Hillesum, scritte nel campo di concentramento di Auschwitz, che mi sono risuonate nella memoria sentendo parlare papa Francesco della gioia del prete. Quest’avventura del dono totale di sé a Dio e al prossimo come sorgente di gioia a volte sembra un po’ appannata.
Lunedì, 12 Maggio 2014 12:04

Con Maria contemplativi nell'azione

di Nico Rutigliano

Cosa intendiamo per spiritualità? L’insieme dei valori che modellano uno stile di vita. Per noi guanelliani, che vogliamo incarnare i valori di don Guanella, la spiritualità  fa capo a tutte quelle forme di preghiera, di vita e di tratti del comportamento, che plasmano il carattere, i rapporti umani, il modo di pregare, la forma pratica di vivere la carità. La spiritualità investe sia la contemplazione che l’azione; riguarda la preghiera e sfocia nella carità; anima l’unione con Dio e spinge all’amore fraterno.

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