Riprendiamo il nostro “viaggio” a tappe sulla “strada” del Credo, una strada pavimentata dalla grazia dello Spirito Santo riversato nella Pentecoste sugli Apostoli e su Maria, quindi sulla Chiesa nei secoli e a poco a poco poi, appunto nel “Credo”, formulato nel corso dei primi secoli, giunto fino a noi con il sigillo del “deposito” della fede. Siamo all’incontro n. 22, se non sbaglio i conti… Abbiamo percorso per tre incontri successivi (18, 19 e 20) la rivelazione dell’avventura del Figlio, “immagine” unica di Dio.
Credo… Siamo giunti a quello che può dirsi ed è il centro del nostro cammino nella scansione del Credo «cristiano», e cioè Gesù Cristo. Abbiamo pensato al «Dio prima di noi», Creatore del cielo e della terra, creatore dell’uomo a sua immagine somigliantissima come «maschio e femmina» (Gen. 1, 26), che ha aperto la via all’umanità in cammino.
è seguito il primo inciampo, segno della limitatezza della creatura che non vuole riconoscersi tale e pretende di «essere come Dio», rappresentato nel racconto misterioso del «peccato originale», rottura dell’uomo creatura con il disegno del Creatore. Ma questa rottura, seguita da una serie di conseguenze negative – la tentazione del dominio dell’uomo sulla donna, l’insicurezza di sé nella nudità, la morte, i dolori del parto, la fatica del lavoro, la rivalità tra fratelli, la ribellione della natura che cerca di sommergere l’umanità nel «diluvio» e altro ancora – è accompagnata fino dal primo momento dalla promessa di salvezza e di redenzione. Tutta la storia di Israele, popolo della promessa e dell’alleanza, è orientata a questa promessa: la venuta del Messia, l’Unto del Signore, il Salvatore di Israele…
di Gianni Gennari
La volta scorsa siamo arrivati alla descrizione del racconto biblico nel capitolo 3 del Libro della Genesi. All’affermazione che Dio ha creato il tutto, e che tutto è buono, anzi che dopo la creazione dell’uomo, voluto maschio e femmina e “immagine somigliantissima” di Dio stesso, tutto è “molto buono”, succede la domanda, implicita nel testo, ma esplicita nella vita di ogni uomo che apre gli occhi sulla realtà, sul perché della evidenza di ciò che appare “non buono”, la morte, la malattia, l’odio, le rivalità tra gli uomini, i conflitti, le forze della natura che schiacciano la fragilità e anche la superbia degli uomini, il non intendersi neppure nel linguaggio tra i figli di Adamo…
Siamo giunti al Dio “creatore”, e creatore di tutto: cioè di “cieli e terra”. La narrazione biblica della creazione – vista nel dialogo precedente – è la spiegazione autorevole che enumera tutte le creature dell’unico Dio e le dispone in un ordine preciso, con la doppia categoria della “divisione” prima, e del “riempimento” poi.
La prima divisione è data dalla creazione della luce divisa dalle tenebre, e riempita col sole e le stelle. La seconda divisione è in alto tra le acque di cielo e terra, le prime origine della pioggia e che ospitano gli uccelli, e le seconde con i pesci del mare. Segue poi la divisione delle acque in basso dalla terra asciutta, questa riempita da animali e piante. Ultima creazione, che perfeziona il tutto, è quella dell’uomo, maschio e femmina, immagine somigliantissima di Dio creatore. Ecco che tutto non è soltanto “buono”, ma dopo la creazione dell’uomo e della donna “Dio vide che era molto buono”!
“Credo”, e poi “Credo in Dio”: così dall’inizio di questi dialoghi, poi fino qui “Padre Onnipotente”, con l’avvertenza forte che questo “Padre” è solo conseguenza della rivelazione del “Figlio” incarnato, non nome spontaneo dato all’ignoto dal nostro umano sentimento di inferiorità prodotto dall’esperienza del limite e che quell’“onnipotente” non è la smisurata dilatazione del rovescio dei nostri fallimenti e delle nostre impotenze di conoscenza e di potere, che nelle religioni inventate dagli uomini producono “miti” e “riti”, ma percezione profondamente cambiata dall’ascolto e dalla memoria della realtà rivelata e donata nella nostra storia con il Figlio Gesù di Nazaret, crocifisso, morto e risorto.
Un Padre speciale, dunque, non certo ad immagine di ciò che la nostra esperienza spesso contraddittoria chiama “paternità”. Non per nulla a immaginare la paternità della divinità come gelosa della crescita dei figli, rivale ed ostile ad essi era giunta proprio e sempre ogni religione inventata dagli uomini, dalla Persia, all’Egitto, alla Grecia, a Roma. La divinità pensata così da noi esigeva il sacrificio di ciò che era più caro, i primogeniti, e l’offerta di tutte le primizie.
Opportuno ricordare, qui, che il capitolo 22 del Libro della Genesi non è “nuovo” perché Abramo pensa che sia volontà divina il sacrificio di Isacco, ma perché il suo “nuovo” Dio, che lo ha chiamato a partire da Ur e ad avviarsi verso il futuro rifiuta il sacrificio del figlio primogenito, e così si apre quella prospettiva che poi i Padri della Chiesa hanno definitivamente descritto così: quello che Dio non ha chiesto ad Abramo lo ha fatto Lui per noi, sacrificando il Figlio suo sul legno, la Croce, e sul monte, il Calvario…
Fino qui, per un anno, abbiamo ragionato sul credere, e poi sul modo nel quale la fede ebraico-cristiana si è a poco a poco presentata nella storia dell’uomo, con la progressiva rivelazione di un Dio che chiama a salvezza, promette liberazione, parla e con la sua parola indica che conoscerLo e riconoscerLo vuol dire osservare le sue “parole”.
In queste, dopo essersi presentato come unico, diverso dagli idoli muti, Egli chiede di essere riconosciuto nella sua “immagine somigliantissima” che è l’uomo creato maschio e femmina, e chiamato a salvezza definitiva nel corso della storia, cioè nel tempo. Questo però ci si rivela come premessa e promessa di eternità credibile, perché in esso si è introdotto l’Eterno stesso, la Parola che si è fatta carne, ed è venuta ad abitare in mezzo a noi. Gesù di Nazaret, figlio eterno del Padre e figlio nel tempo di Maria è presenza di Dio, il Dio che è Egli stesso, una sola realtà con il Padre suo che diventa anche Padre nostro se nella nostra libertà noi accogliamo la sua immagine viva, Cristo e il prossimo, e che si installa nel cuore dell’umanità redenta come “soffio” eterno di vita, la “ruàh” di Dio, lo Spirito Santo e santificatore.
Concludevo l’ultimo nostro dialogo ricordando il primo brano del primo scritto di tutto il Nuovo Testamento, la Prima Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, che risale certamente alla fine degli anni 40, rilevando che lì c’è già, esplicita, tuttala realtà della nostra fede: Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, la Chiesa, l’Apostolo come “episcopos”, sorvegliante della comunione e anche la vita umana nostra vivificata dalle tre virtù teologali.
Questa è la conseguenza della rivelazione e dono di Dio che si perfeziona in Gesù di Nazaret, Dio e Uomo, nel quale tutto è stato creato e tutto è salvato dal dominio del peccato e con la sua vicenda storica conclusa con la rivelazione-dono del mistero Pasquale: Passione, morte, resurrezione, Ascensione, Pentecoste, creazione nello Spirito Santo della nuova Comunità di salvezza che è la Chiesa-Mistero, Corpo Mistico di Cristo che vive attraverso la vicenda storica della istituzione Popolo di Dio tutto sacerdotale del “sacerdozio regale” di tutti i battezzati, come insegna San Pietro dall’inizio, e nel quale ci sono ministeri e carismi diversi che nel corso dei secoli hanno manifestato la grazia e la bontà di Dio unite nella sua misericordia anche ai limiti e alle miserie che vengono da noi, uomini di Battesimo e tutti i Sacramenti, quando vogliamo sostituire le nostre “vie” alle sue. Mi sono accorto che il periodo è lungo, ma si abbia la pazienza di leggerlo a poco a poco, senza precipitarsi sulla parola seguente…
Alla fine del nostro precedente incontro siamo giunti al vero “nuovo”, al vero Dio del nostro Credo cristiano e cattolico. Dio, dopo aver “in molte circostanze e in molti modi” (Ebrei 1, 1) parlato al Suo popolo si rivela definitivamente e si dona in Gesù di Nazaret, nato dal grembo di una donna del popolo, offerto fraternamente come “pane” che si spezza per tutti, acqua che sgorga dal grembo di Dio e invade la storia, servendosi anche di quei Dodici, poveri uomini peccatori che hanno formato la prima comunità di cristiani, e apre la via alla salvezza degli uomini nella storia e fino alla vita eterna. Cristo morto e risorto è tornato al Padre, ma non ci ha lasciati soli.
La Pentecoste è l’invasione dello Spirito Santo nella nostra vita. Tutta la nostra vita, se vogliamo, è guidata, sorretta, accarezzata da Dio, anche quando non lo sentiamo: Gesù era amato dal Padre anche quando sulla croce pareva che fosse dimenticato. «La speranza - dice Paolo - non delude perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori». (Romani 5,5)
Siamo, ormai da dieci incontri (questo è l’undicesimo) alla ricerca del “volto” del Dio in cui crediamo. Il Credo infatti comincia da Lui. “Credo in Dio”. Chi è dunque il nostro Dio? Abbiamo visto via via come una religiosità naturale si afferma nella vicenda dell’umanità alla ricerca di superare i limiti di conoscenza e di potere sulla realtà della natura che accompagna, ma anche sovrasta l’umanità facendole fare l’esperienza dei suoi limiti, fino a quella del morire.
Nascono così quelle che chiamiamo “religioni naturali”, in cui l’ignoranza e l’impotenza dell’uomo generano una visione della divinità come riflesso all’opposto dei limiti sperimentati: la divinità, gli dei, sono grandi e l’uomo piccolo, sono sapienti e l’uomo ignorante, sono forti e l’uomo debole… Ecco “i miti”, che descrivono la superiorità delle divinità cui sono attribuiti gli aspetti misteriosi e sconosciuti dell’esperienza umana, ed ecco “i riti”, che dovrebbero servire, con offerte e sacrifici alle divinità, a proteggere l’uomo dai pericoli che la natura gli presenta e che egli non può dominare… La religione naturale, concepita e come inventata dagli uomini, è un antidoto a ignoranza e impotenza. In essa la divinità è opposta all’umanità, lontana, superiore, e protegge solo chi offre sottomissione e sacrifici…
è molto in sintesi, il panorama millenario delle religioni naturali, fino al politeismo antico, e alle sopravvivenze di esse nei popoli ancora primitivi e nei residui ancora vivi in società indigene di vari continenti, culto degli spiriti, dei morti come vivi, voodoo e altre infinite varietà che gli antropologi della religione continuano ad analizzare e descrivere.
Proseguiamo il cammino orientato a conoscere la nostra fede, fondata sul Primo e sul Nuovo Testamento ed espressa nel Credo dai tempi della Chiesa apostolica. Nella Bibbia a poco a poco, adattandosi alla capacità degli uomini, da Abramo in poi, fino a Mosé, ai Profeti, e infine agli Apostoli è arrivato l’annuncio pieno della salvezza in Gesù Cristo. Siamo giunti, la volta scorsa, a scoprire che nella rivelazione biblica antica, da Abramo appunto ai profeti l’unico modo per conoscere Dio non è guardare in alto, ma riconoscerne con i fatti la vera immagine nell’uomo fratello ascoltando la Sua voce che nelle “Dieci Parole” ha chiesto proprio questo. Dio è “conosciuto” – ci dicono i profeti, anche se la nostra sensibilità non è ancora forse abituata a capire bene la novità della loro parola – solo se è “riconosciuto” nel fratello. I Comandamenti, dal terzo in poi – lo abbiamo visto fino qui – parlano solo del nostro rapporto con gli altri uomini…